20. Altri si fondano su una
ragione più pretestuosa: l'immutabilità dei decreti divini. Dio, dicono
essi, non può mutare le Sue decisioni su richiesta delle Sue creature.
Se così fosse, niente più sarebbe stabile' nel mondo. È necessario che
l'uomo, pertanto, non chieda niente a Dio: deve solo sottomettersi a Lui
e adorarlo.
C'è in questa idea un fraintendimento circa
l'immutabilità della legge divina o, meglio, una ignoranza della legge
per quanto concerne il castigo futuro. Questa legge è rivelata dagli
Spiriti del Signore oggi che l'uomo è maturo per comprendere ciò che
nella fede è conforme o contrario agli attributi divini.
Secondo il dogma sull'eternità assoluta delle pene, non si prende in
considerazione il rimorso del colpevole né il suo pentimento, e inutile è
qualsiasi suo desiderio di migliorarsi. Come dire che egli è condannato
a restare nel male eternamente. Se invece è condannato per un tempo
determinato, la pena cesserà quando il tempo sarà esaurito. Ma chi dice
che allora sarà giunto ad avere sentimenti migliori? Chi dice,
sull'esempio di molti condannati della Terra alla loro uscita di
prigione, che non sarà cattivo quanto prima? Nel primo caso si
manterrebbe nel dolore della punizione un uomo ritornato al bene. Nel
secondo, si grazierebbe chi è rimasto colpevole. La legge di Dio è più
previdente. Sempre giusta, equa e misericordiosa, non fissa nessuna
durata della pena, qualunque essa sia. Si riassume così: