Capitolo XVII - SIATE PERFETTI
Caratteri della perfezione — L'uomo dabbene — I buoni Spiritisti — Parabola della semina —
Istruzioni degli Spiriti: Il dovere — La virtù — I superiori e gli inferiori —
L'uomo nel mondo — Aver cura del corpo e dello spirito
Caratteri della perfezione
1. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste. (Matteo 5:44-48)
2. Poiché Dio possiede la perfezione infinita in tutto, questa massima, “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste», presa alla lettera fa presupporre che si possa raggiungere la perfezione assoluta. Se alla creatura fosse dato di essere tanto perfetta come il Creatore, diventerebbe uguale, cosa inammissibile. Ma gli uomini ai quali Gesù si rivolgeva non avrebbero certamente compreso questa sottigliezza. Pertanto si limitò a presentare un modello dicendo loro di sforzarsi di raggiungerlo.
È dunque necessario intendere con queste parole la perfezione relativa, quella di cui l'umanità è suscettibile di comprensione e che di più può avvicinarla alla Divinità. In che cosa consiste questa perfezione? Gesù lo dice: «Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e vi perseguitano». Egli dimostra con ciò che l'essenza della perfezione è la carità nella sua più ampia accezione, perché essa comporta la pratica di tutte le altre virtù.
Infatti, se si osservano le conseguenze di tutti i vizi e persino quelle dei semplici difetti, si riconoscerà che non ce n'è alcuno che non alteri tanto o poco che sia, il sentimento della carità, perché tutti i vizi traggono la loro origine dall'egoismo e dall'orgoglio, che della carità sono la negazione. Infatti tutto ciò che va ad alimentare in modo esagerato il sentimento dell'io distrugge, o quanto meno affievolisce, gli elementi della vera carità, che sono: la benevolenza, l'indulgenza, l'abnegazione e la dedizione. L'amore per il prossimo, portato fino all'amore per i propri nemici, non potendosi alleare con nessun difetto contrario alla carità è, proprio per questa ragione, sempre indizio di una superiorità morale maggiore o minore. Da ciò risulta che il grado della perfezione è in ragione della profondità di questo amore. È per questo che Gesù, dopo aver dato ai Suoi discepoli le regole della carità, relativamente a quanto essa ha di più sublime, disse loro: «Siate dunque perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste».
L'uomo dabbene
3. Il vero uomo dabbene è quello che pratica la legge della giustizia, dell'amore e della carità nella sua purezza più grande. Se interroga la sua coscienza riguardo le proprie azioni, si domanderà se ha minimamente violato questa legge, se ha mai fatto del male, se ha fatto tutto il bene che poteva, se ha trascurato volontariamente un'occasione per essere utile, se ha qualcosa da rimproverarsi, se infine ha fatto agli altri tutto quello che avrebbe voluto fosse stato fatto a lui.
Ha fede in Dio, nella Sua bontà, nella Sua giustizia e nella Sua saggezza. Sa che niente succede senza il Suo permesso e si sottomette in tutto alla Sua volontà.
Ha fede nell'avvenire. È per questo che pone i beni spirituali al di sopra dei beni temporali.
Sa che tutte le vicissitudini della vita, tutti i dolori e tutte le disillusioni sono delle prove o delle espiazioni e le accetta senza lamentarsi.
L'uomo dabbene, pervaso dal sentimento di carità e d'amore per il prossimo, fa il bene per il bene, senza attendersi un ritorno, ricambia con il bene il male ricevuto, prende la difesa del debole contro il forte e sacrifica sempre il suo interesse alla giustizia.
Trova soddisfazione nelle opere di bene che distribuisce, nei servizi che presta, nel cercare di fare felici le persone, nelle lacrime che asciuga, nella consolazione che dà agli afflitti. Il suo primo agire è pensare agli altri prima che a se stesso, cercare l'interesse degli altri prima del proprio. L'egoista, al contrario, calcola i profitti e le perdite di qualsiasi azione generosa.
È buono, umano e benevolo con tutti, senza distinzione di razza e di religione, perché vede in tutti gli uomini i suoi fratelli.
Rispetta negli altri qualsiasi convinzione sincera e non lancia anatemi contro chi non la pensa come lui.
In ogni circostanza la carità è la sua guida. Si dice che chi porta danno agli altri con parole malevole, che urta la sensibilità di qualcuno con il suo orgoglio e il suo disprezzo, che non indietreggia di fronte all'idea di causare una sofferenza, una contrarietà, anche minima, quando potrebbe evitarla, manca al dovere di amare il prossimo e non merita la clemenza del Signore.
L'uomo dabbene non ha né odio né rancore né desiderio di vendetta. Sull'esempio di Gesù, perdona e dimentica le offese e ricorda solo benefici, perché sa che gli sarà perdonato nella misura in cui lui stesso avrà perdonato.
È indulgente con le debolezze altrui, perché sa che lui stesso ha bisogno di indulgenza, e si ricorda di queste parole di Cristo: «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra».
Non si compiace nel cercare i difetti degli altri né a porli in evidenza. Se la necessità lo obbliga a questo, cerca sempre quanto di bene possa attenuare il male.
Prende in esame le sue imperfezioni e lavora senza sosta per combatterle. Impiega tutti gli sforzi per poter dire che il domani ha in sé qualcosa di meglio del giorno precedente.
Non cerca di far valere né se stesso né il suo talento a spese altrui. Cerca, al contrario, tutte le occasioni per far emergere ciò che di meglio c'è negli altri.
Non si vanta né della sua ricchezza né dei suoi vantaggi personali, perché sa che tutto quello che gli è stato dato può venirgli tolto.
Usa, ma assolutamente non abusa, dei beni che gli vengono concessi, perché sa che si tratta di un deposito di cui dovrà rendere conto, e che l'impiego più pregiudizievole che possa farne per se stesso è quello di servirsene per la soddisfazione delle passioni.
Se l'ordine sociale ha messo degli uomini alle sue dipendenze, li tratta con bontà e benevolenza, perché sono uguali a lui davanti a Dio. Fa uso della sua autorità per elevarli moralmente e non per schiacciarli con il suo orgoglio ed evita tutto ciò che potrebbe rendere più penosa la loro posizione di subalterni.
Il subordinato, da parte sua, comprende i doveri che la sua condizione comporta e si fa scrupolo di adempierli coscienziosamente. (vedere al n. 9 di questo cap.)
L'uomo dabbene, infine, rispetta tutti i diritti assegnati dalle leggi di natura ai suoi simili, come vorrebbe fossero rispettati nei suoi confronti.
Questo non è l'elenco di tutte le qualità che distinguono l'uomo dabbene, ma chiunque si sforzi di possederle è sul cammino che conduce a tutte le altre.
I buoni Spiritisti
4. Lo Spiritismo ben compreso, ma soprattutto vivamente sentito, conduce spontaneamente ai sopraddetti risultati, che caratterizzano il vero Spiritista, così come il vero Cristiano, essendo l'uno e l'altro un tutt'uno. Lo Spiritismo non instaura nessuna nuova morale, ma facilita negli uomini la comprensione e la pratica della morale di Gesù, procurando una fede solida e chiara a quelli che dubitano o vacillano.
Però, molti di quelli che credono nelle manifestazioni spiritiste non ne comprendono né le conseguenze né la portata morale o, se le comprendono, non le applicano a se stessi. Da che cosa dipende? Da un'assenza di rigore della dottrina? No, perché essa non contiene né allegorie né un linguaggio figurato che possa dar luogo a errate interpretazioni. La chiarezza è la sua stessa essenza, ed è ciò che costituisce la sua forza, perché va dritta all'intelletto. Non ha niente di misterioso, e i suoi seguaci non sono in possesso di alcun segreto tenuto nascosto alla gente comune.
Per comprenderla è dunque necessaria un'intelligenza fuori dal comune? No, perché ci sono uomini di notevole intelligenza che non la comprendono, mentre ci sono intelligenze comuni, persino di giovani appena usciti dall'adolescenza, che l'apprendono con ammirevole precisione nei minimi dettagli. Ciò deriva dal fatto che la parte, per così dire, materiale della scienza richiede solo gli occhi per osservarla, mentre la parte essenziale dello Spiritismo comporta un certo grado di sensibilità, che si può chiamare maturità del senso morale, maturità indipendente dall'età e dal grado di istruzione perché corrisponde soprattutto allo sviluppo dello Spirito incarnato.
In alcuni, i legami con la materia sono ancora troppo tenaci per permettere allo Spirito di liberarsi delle cose della Terra. Le nebbie che lo avvolgono gli impediscono la visione dell'infinito. È per questo che essi non rompono con le loro preferenze né con le loro abitudini, non comprendendo che c'è qualcosa di meglio di quello che posseggono. Il credere negli Spiriti è per loro un semplice fatto, ma modifica solo poco o niente le loro tendenze istintive. In una parola, vedono solo un raggio di luce, insufficiente per orientarli e dar loro quella forte ispirazione in grado di vincere le loro inclinazioni. Si attaccano più ai fenomeni che alla morale, che gli sembra banale e monotona. Domandano agli Spiriti di iniziarli subito ai nuovi misteri, senza chiedersi se si sono resi degni di essere introdotti nei segreti del Creatore. Sono gli Spiritisti imperfetti, alcuni dei quali restano per strada, o si allontanano dai loro fratelli di fede, perché indietreggiano di fronte all'obbligo di migliorare se stessi, ossia riservano le loro simpatie per coloro che condividono le loro debolezze o le loro prevenzioni. Comunque, l'accettazione dei principi della dottrina è un primo passo che renderà il secondo più facile in un'altra esistenza.
Chi può, a buon diritto, qualificarsi come un vero e sincero Spiritista si trova a un grado superiore di avanzamento morale. Lo Spirito già domina con maggiore completezza la materia e ha una percezione più chiara del futuro. I principi della Dottrina Spiritista fanno vibrare in lui le fibre delle sensibilità che rimangono mute negli altri. In una parola, è stato colpito nel profondo del cuore: per questo la sua fede è incrollabile. Quello è come il musicista che si commuove per certe melodie, mentre questo sente solo il suono. Il vero Spiritista si riconosce dalla sua trasformazione morale e dagli sforzi che fa per dominare le cattive inclinazioni. Mentre l'uno si compiace del proprio limitato orizzonte, l'altro, comprendendo che c'è qualcosa di meglio, si sforza di staccarsi da quell'orizzonte e ci riesce quando ha una ferma volontà.
Parabola della semina
5. In quel giorno Gesù, uscito di casa, si mise a sedere presso il mare; e una grande.folla si radunò intorno a lui; cosicché egli, salito su una barca, vi sedette; e tutta la folla stava sulla riva. Egli insegnò loro molte cose in parabole, dicendo: «Il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e la mangiarono. Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma, levatosi il sole, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. Un'altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra cadde nella buona terra e portò .frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi per udire oda.» (Matteo 13:1-9)
«Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore! Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. Ma quello che ha ricevuto il seme in buona terra, è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta». (Matteo 13:18-23)
6. La parabola della semina rappresenta perfettamente i vari aspetti esistenti circa il modo di mettere a profitto gli insegnamenti del Vangelo. In effetti tante sono le persone per le quali l'insegnamento è solo lettera morta che, esattamente come la semenza, cade sulla roccia e non produce frutti.
Ciò trova un'applicazione, non meno logica, nelle differenti categorie di Spiritisti. Non è forse, questa parabola, l'emblema di coloro che, attratti solo dai fenomeni materiali, non ne traggono nessuna conseguenza perché li vedono solo come oggetto di curiosità? Non simbolizza forse quelli che cercano solo l'aspetto appariscente delle comunicazioni degli Spiriti e si interessano solo a ciò che soddisfa la loro immaginazione, ma che, dopo averli intesi, continuano a essere freddi e indifferenti come prima? Non simbolizza forse quelli che trovano i consigli molto buoni e li apprezzano, ma si aspettano che siano gli altri ad applicarli e non essi stessi? O quelli infine per i quali gli insegnamenti sono come i semi caduti sulla terra fertile e producono dei frutti?
ISTRUZIONI DEGLI SPIRITI
Il dovere
7. Il dovere è un obbligo morale, prima verso noi stessi, poi verso gli altri. Il dovere è la legge della vita e lo incontriamo nelle circostanze meno importanti, come nelle azioni più elevate. Io voglio parlare, qui, solo del dovere morale e non di quello che si riferisce alle professioni.
Nell'ordine dei sentimenti, il dovere è molto difficile da compiersi perché si trova in antagonismo con le seduzioni dell'interesse e del cuore. Le sue vittorie non hanno testimoni, e le sue sconfitte non subiscono repressioni. Il dovere intimo dell'uomo è lasciato al suo libero arbitrio. Pungolo della coscienza, questa guardiana della probità interiore, lo avverte e lo sostiene, ma rimane sovente impotente di fronte alle sottigliezze della passione. Il dovere del cuore, fedelmente osservato, eleva l'uomo. Ma questo dovere come può essere definito? Dove comincia? Dove termina? Il dovere inizia precisamente nel punto in cui voi minacciate la felicità o la tranquillità del vostro prossimo, e termina laddove voi non vorreste veder varcare quel limite riguardo a voi stessi.
Dio ha creato tutti gli uomini uguali di fronte al dolore. Piccoli o grandi, ignoranti o colti, tutti soffrono per le stesse cause, affinché ognuno stimi con giudizio il male che può fare. Lo stesso criterio non vale per il bene, infinitamente più vario nelle sue manifestazioni. L'uguaglianza di fronte al dolore è una sublime provvidenza di Dio, che vuole che i Suoi figli, istruiti dall'esperienza comune, non commettano il male prendendo a pretesto la non conoscenza delle sue conseguenze.
Il dovere è la summa pratica di tutte le speculazioni morali, è una fortezza dell'anima che affronta le angosce della lotta. Esso è austero e docile, pronto a piegarsi alle varie complicazioni, ma rimane inflessibile di fronte alle tentazioni. L'uomo che compie il suo dovere ama Dio più delle sue creature, e le creature più di se stesso. È allo stesso tempo giudice e schiavo della sua stessa causa.
Il dovere è la più bella gemma della ragione. Esso la mette in risalto come i figli mettono in risalto la loro madre. L'uomo deve amare il dovere, non perché lo preservi dai mali della vita, ai quali l'umanità non può sottrarsi, ma per dare all'anima il vigore necessario al suo sviluppo.
Il dovere cresce e si irradia in forma elevata in ognuna delle tappe superiori dell'umanità. L'obbligo morale della creatura verso Dio non finisce mai e deve riflettere le virtù dell'Eterno, che non accetta un abbozzo imperfetto, perché vuole che la bellezza della Sua opera risplenda davanti a Lui.
(Lazare, Parigi, 1863)