4. Amare i propri nemici è
un non senso per il miscredente. Quello, per il quale la vita presente
rappresenta il tutto, vede nel suo nemico solo un essere nocivo, che
turba la sua tranquillità e crede di potersene sbarazzare solo con la
morte. Da qui il desiderio di vendetta, non essendoci nessun altro
interesse a perdonare se non quello di soddisfare il proprio orgoglio
agli occhi del mondo. Perdonare, in certi casi, gli sembra persino una
debolezza indegna di lui. Se non si vendica, conserva comunque del
rancore e un segreto desiderio di fare del male.
Per il
credente, e per lo Spiritista in particolare, il modo di vedere è
tutt'altro, perché egli volge lo sguardo al passato e al futuro, fra i
quali la vita presente è solo un punto. Egli sa che, per la destinazione
stessa della Terra, deve aspettarsi di trovare degli uomini cattivi e
perversi; che le cattiverie alle quali è esposto fanno parte delle prove
che deve subire. Il punto di vista elevato dal quale osserva gli rende
le vicissitudini meno amare, sia che vengano da uomini o da cose. Se non si lamenta delle prove, non deve lamentarsi neppure di coloro che ne sono gli strumenti. Se, invece di lamentarsi, ringrazia Dio di metterlo alla prova, deve ringraziare la mano che gli dà l'occasione di dimostrare la sua pazienza e rassegnazione. Questi
pensieri lo predispongono naturalmente al perdono. Egli sente inoltre
che quanto più è generoso tanto più egli cresce ai suoi stessi occhi e
si trova fuori dal tiro dei dardi del suo malvagio nemico.
Come l'uomo che occupa un livello elevato su questa Terra non si sente
offeso dagli insulti di colui che ritiene inferiore, così avviene per
chi nel mondo morale si eleva al di sopra del mondo materiale. Egli
comprende che l'odio e il rancore lo avvilirebbero e lo sminuirebbero.
Ora, per essere superiore al proprio avversario, bisogna avere un'anima
più grande, più nobile, più generosa.