Capitolo XVI NON SI PUÒ SERVIRE DIO E MAMMONA
Salvezza dei ricchi — Guardarsi dall'avarizia — Gesù in casa di Zaccheo —
Parabola del cattivo ricco — Parabola dei talenti — Utilità provvidenziale della ricchezza —
Disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze — Istruzioni degli Spiriti: La vera proprietà —
Impiego della ricchezza — Distacco dai beni terreni
Salvezza dei ricchi
1. «Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona.» (Luca 16:13)
2. Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, che devo.fare di buono per avere la vita eterna?» Gesù gli rispose: «Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». «Quali?» gli chiese. E Gesù rispose: «Questi: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso». E il giovane a lui: «Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?» Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi». Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni. E Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico in verità che difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. E ripeto: è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago,[1] che per un ricco entrare nel regno di Dio». (Matteo, 19:16-24; Luca 18:18-25; Marco 10:17-25)
[1] Questa ardita metafora può sembrare un po' forzata, perché non si vede il rapporto fra un cammello e un ago. Il fatto è che in ebraico con la stessa parola si indicava la corda (gomena) e il cammello. Nella traduzione è stata dunque adottata quest'ultima accezione, ma è probabile che nella mente di Gesù fosse la prima. Oltre tutto sarebbe più logico.
Guardarsi dall'avarizia
3. Or uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio .fratelloche divida con me l'eredità.» Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?» Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita». E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: "Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?" E disse: "Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti'". Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?" Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio». (Luca 12:13-21)
Gesù in casa di Zaccheo
4. Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Un uomo, di nome Zaccheo, il quale era capo dei pubblicani ed era ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. Allora per vederlo, corse avanti, e salì sopra un sicomoro, perché egli doveva passare per quella via. Quando Gesù giunse in quel luogo, alzati gli occhi gli disse: «Zaccheo, scendi, presto, perché oggi debbo fermarmi a casa tua». Egli si affrettò a scendere e lo accolse con gioia. Veduto questo, tutti mormoravano, dicendo: «È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!» Ma Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo». Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d'Abraamo; perché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto». (Luca 19:1-10)
Parabola del cattivo ricco
5. «C'era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; e c'era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri. Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. E nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; ed esclamò: "Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma". Ma Abraamo disse: "Figlio, ricordati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi". Ed egli disse: "Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento" Abraamo disse: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli"'. Ed egli: "No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno". Abraamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita".» (Luca 16:19-31)
Parabola dei talenti
6. «Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose: entra nella gioia del tuo Signore". Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti".» ( Matteo 25:14-30)
Utilità provvidenziale della ricchezza
7. La ricchezza sembrerebbe un ostacolo insormontabile per la salvezza di quelli che la possiedono, così come si potrebbe dedurre da certe parole di Gesù, se interpretate alla lettera e non secondo il loro spirito. Dio, che la elargisce, avrebbe messo nelle mani di alcuni uno strumento di perdizione senza appello, pensiero che è in contrasto con la logica. La ricchezza è senza dubbio una prova molto rischiosa, più pericolosa della miseria, per la forza trascinante, per le tentazioni cui sottopone e per il fascino che esercita. È il massimo stimolo dell'orgoglio, dell'egoismo e della vita dei sensi. È il laccio più potente che vincola l'uomo alla Terra e fuorvia i pensieri dal Cielo. Produce una tale vertigine che sovente vediamo colui che passa dalla miseria alla ricchezza dimenticare subito sia la sua condizione precedente, sia quelli che con lui avevano condivisa, sia quelli che lo avevano aiutato, diventando perciò insensibile, egoista e futile. Ma, per quanto la ricchezza renda il cammino più difficile, non è detto che lo renda impossibile, e non possa essa diventare persino un mezzo di salvezza nelle mani di colui che sappia farne buon uso, così come certi veleni possono ristabilire la salute se vengono impiegati con discernimento.
Quando Gesù risponde al giovane, che gli domandava come guadagnare la vita eterna: «Va’, vendi ciò che hai e seguimi», non intendeva affatto dire che tutti devono spogliarsi di ciò che possiedono, e che la salvezza si ottiene solo a questo prezzo, ma intendeva dimostrare che l'eccessivo attaccamento ai beni terreni è un ostacolo alla salvezza. Infatti questo giovane si credeva a posto perché aveva osservato determinati comandamenti, ed era tuttavia restio all'idea di dover abbandonare i suoi beni. Il suo desiderio di ottenere la vita eterna non arrivava fino al sacrificio.
La proposta di Gesù era una prova decisiva per mettere in luce ciò che quel giovane pensava nel suo profondo. Senza dubbio egli poteva essere un perfetto e onesto uomo agli occhi del mondo, non fare torto a nessuno, non maledire il prossimo, non essere né vano né orgoglioso. Senza dubbio onorava il padre e la madre, ma non possedeva la vera carità, perché la sua virtù non arrivava fino all'abnegazione. Ecco ciò che Gesù ha voluto dimostrare: la messa in pratica del principio «Senza carità nessuna salvezza».
La conseguenza di queste parole, intese nel loro più rigoroso significato sarebbe l'abolizione della ricchezza in quanto nociva alla felicità futura e fonte di infiniti mali sulla Terra. Si tratterebbe inoltre di condannare il lavoro che può procurarla, conseguenza assurda, che ricondurrebbe l'uomo alla vita primitiva e che, proprio per questo, sarebbe in contraddizione con la legge del progresso, che è una legge di Dio.
Se la ricchezza è fonte di molti mali, se fomenta tante cattive passioni, se è causa persino di crimini, bisogna non riferirsi alla ricchezza in sé, ma all'uomo che ne abusa, come abusa di tutti i doni di Dio. A causa dell'abuso, l'uomo rende pernicioso quanto di più utile potrebbe esserci per lui. Questo è la conseguenza dello stato di inferiorità del mondo terreno. Se la ricchezza producesse solo del male, Dio non l'avrebbe messa sulla Terra. Spetta all'uomo ricavarne del bene. Se non è un elemento diretto del progresso morale è, senza tema di smentita, un potente elemento di progresso intellettuale.
Infatti, missione dell'uomo è lavorare per il miglioramento materiale del globo. Deve dissodare la terra, bonificarla, predisporla perché possa ricevere un giorno tutta la popolazione che la sua superficie comporta. E per nutrire questa popolazione che aumenta incessantemente, bisogna incrementare la produzione. Se la produzione di una regione è insufficiente, bisogna andare a cercarla altrove. Proprio per questo le relazioni fra popolo e popolo diventano una necessità. Per facilitarle è necessario abbattere gli ostacoli materiali che li dividono e rendere le comunicazioni più rapide. Per i lavori, che sono opera di secoli, l'uomo ha dovuto procurarsi dei materiali fin nelle viscere della terra. Ha cercato nella scienza il modo per impiegarli con maggiore sicurezza e rapidità. Ma per fare ciò gli ci sono volute delle risorse: la necessità ha fatto sì che la sua ricchezza crescesse, così come gli ha fatto scoprire le scienze. L'attività resa necessaria da questi lavori ha fatto crescere e sviluppare la sua intelligenza. Questa intelligenza, che si concentra dapprima nella soddisfazione dei beni materiali, l'aiuterà più tardi a comprendere le grandi verità morali. Essendo la ricchezza il primo mezzo di questa immensa realizzazione, possiamo ben dire che senza di essa non ci sarebbero i grandi lavori, le attività, gli stimoli, le ricerche. È dunque con ragione che la ricchezza viene considerata come un elemento di progresso.
Disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze
8. La disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze è uno di quei problemi che si cerca di risolvere, ma invano se si considera solo la vita presente. La prima domanda che si presenta è questa: perché non tutti gli uomini sono ugualmente ricchi? Non lo sono per una ragione molto semplice: perché non tutti sono ugualmente intelligenti, attivi e laboriosi per conquistarla, né sobri e previdenti per conservarla. È d'altra parte matematicamente dimostrato che la ricchezza ugualmente ripartita darebbe a ognuno una quota minima e insufficiente e, ammettendo questa ripartizione, l'equilibrio verrebbe rotto in breve tempo dalla diversità dei caratteri e delle attitudini. E supponendola possibile e duratura, avendo ognuno appena di che vivere, ne deriverebbe l'annullamento di tutti i grandi lavori che concorrono al progresso e al benessere dell'umanità. E supponendo ancora che desse a tutti il necessario, verrebbe comunque meno lo stimolo che spinge l'uomo alle grandi scoperte e alle imprese utili. Se Dio la concentra in certi settori, è perché da lì si diffonda in quantità sufficienti, secondo le necessità.
Ammesso ciò, ci si domanda perché Dio dà la ricchezza a persone incapaci di farla fruttare per il bene di tutti. Ecco un'altra prova della saggezza e bontà di Dio. Dando all'uomo il libero arbitrio, Egli ha voluto che arrivasse, con la sua esperienza personale, a distinguere il bene dal male, e che la pratica del bene fosse il risultato dei suoi sforzi e della sua stessa volontà. L'uomo non deve essere fatalmente condotto né al bene né al male, altrimenti sarebbe solo uno strumento passivo e irresponsabile, come gli animali. La ricchezza è un mezzo per metterlo alla prova moralmente. Ma, poiché essa è allo stesso tempo un potente mezzo di azione per il progresso, Dio non vuole che rimanga a lungo improduttiva ed è per questa ragione che la trasferisce continuamente. Tutti devono possederla, per provare a servirsene e per dimostrare l'uso che ne sanno fare. Siccome è materialmente impossibile che tutti la possiedano nello stesso tempo, e poiché se tutti la possedessero nessuno lavorerebbe, e il miglioramento della Terra ne soffrirebbe, ognuno la possiede quando è il suo turno. Chi non la possiede oggi l'ha già posseduta o l'avrà in un'altra esistenza e chi l'ha oggi potrà non averla domani. Ci sono ricchi e poveri, perché Dio, essendo giusto, decide che ognuno a sua volta debba lavorare. La povertà è per gli uni la prova della pazienza e della rassegnazione; la ricchezza è per gli altri la prova della carità e dell'abnegazione.
Ci si duole con ragione nel vedere il pessimo uso che alcuni fanno della loro ricchezza, le ignobili passioni suscitate dalla cupidigia, e ci si domanda se Dio è giusto a dare la ricchezza a tali persone. È chiaro che, se l'uomo avesse una sola esistenza, niente giustificherebbe una tale ripartizione dei beni della Terra. Ma se, invece di limitare le proprie vedute alla vita presente, si considerasse l'insieme delle esistenze, si vedrebbe che tutto sta in equilibrio con giustizia. Stando così le cose, il povero non ha dunque più motivo di accusare la Provvidenza né di invidiare i ricchi, e i ricchi non hanno più di che gloriarsi per quanto possiedono. Se questi d'altro canto abusano delle ricchezze, non sarà né con i decreti né con le leggi suntuarie che si potrà limitare il superfluo e il lusso e rimediare al male. Le leggi possono momentaneamente cambiare l'apparenza, ma non possono cambiare il cuore. È per questo che le leggi hanno solo una durata temporanea e sono sempre seguite da una reazione sfrenata. L'origine del male si trova nell'egoismo e nell'orgoglio. Gli abusi, di qualsiasi natura, cesseranno da se stessi quando gli uomini si regoleranno in base alla legge della carità.
ISTRUZIONI DEGLI SPIRITI
La vera proprietà
9. L'uomo non possiede di suo se non quanto può portare via con sé da questo mondo. Di ciò che trova arrivando e di ciò che lascia partendo egli fruisce durante la sua permanenza sulla Terra. Ma, poiché è forzato a lasciare tutto, egli ne ha solo l'usufrutto e non il possesso reale. Che cosa possiede dunque? Niente di ciò che è destinato all'uso del corpo, ma tutto ciò che è a uso dell'anima: l'intelligenza, le conoscenze, le qualità morali. Ecco ciò che porta e riporta via con sé, ciò che nessuno ha la facoltà di togliergli, ciò che gli servirà nell'Aldilà più ancora che qui. Da lui dipende essere più ricco alla partenza che all'arrivo, perché da ciò che avrà acquisito in bene dipende la sua posizione futura. Quando qualcuno va in un paese lontano, mette in valigia le cose necessarie per quel soggiorno, ma non si carica assolutamente di ciò che è inutile. Fate dunque lo stesso riguardo alla vita futura e fate provvista di tutto ciò che potrà servirvi là.
A un viaggiatore che arrivi in una locanda si dà una buona sistemazione se può pagare bene, a uno che ha poco da spendere si dà una sistemazione meno confortevole. Quanto a chi non ha niente, dormirà sulla paglia. Così è dell'uomo che arriva nel mondo degli Spiriti: il posto che gli verrà assegnato dipenderà dai suoi averi, ma non è con l'oro che potrà pagarlo. Non gli verrà certo domandato: «Quanto avevi sulla Terra? Quale posizione occupavi? Eri un principe o un operaio?» Ma gli si domanderà: «Che cosa hai riportato?» Non si calcolerà assolutamente il valore dei suoi beni né dei suoi titoli, ma la somma delle sue virtù. Ora, in base a questo computo, l'operaio può essere più ricco del principe. Invano quest'ultimo addurrà che prima della sua dipartita ha pagato la sua entrata nell'Aldilà con l'oro. Gli si risponderà: «Qui i posti non si comperano, si guadagnano con il bene che si è fatto. Con la moneta della Terra hai potuto comperare campi, case, palazzi; qui tutto si paga con la moneta del cuore. Sei ricco di queste qualità? Sii il benvenuto e vai ai primi posti, dove tutta la felicità ti attende. Sei povero di queste qualità? Vai all'ultimo posto, dove sarai trattato in ragione dei tuoi averi».
(Pascal, Ginevra, 1860)