IL VANGELO SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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INTRODUZIONE
1. Scopo dell'opera


La materia contenuta nei Vangeli si può dividere in cinque parti: le azioni comuni della vita di Gesù; i miracoli; le predizioni; le parole usate per l'istituzione dei dogmi della Chiesa; l'insegnamento morale. Se le prime quattro parti sono state oggetto di controversie, l'ultima è rimasta inattaccabile. Di fronte al codice divino la stessa incredulità s'inchina. È il terreno dove tutti i culti si incontrano, il vessillo sotto il quale tutti possono trovare rifugio, indipendentemente dal credo professato, perché non è mai stato oggetto di dispute religiose, sempre e dappertutto sollevate da questioni di dogma. D'altra parte, discutendone, le sette vi hanno trovato la loro stessa condanna in quanto la maggior parte delle dispute riguarda più la parte mistica che la parte morale, che esige il miglioramento di se stessi. Per gli uomini, la morale è soprattutto una regola di condotta che abbraccia tutte le circostanze della vita pubblica e privata, è il principio di tutti i rapporti sociali fondati sulla giustizia più rigorosa. È, infine, e soprattutto, la via infallibile della felicità a venire, un angolo di velo sollevato sulla vita futura. È questa la parte che costituisce l'oggetto esclusivo di questa opera.

Tutti tengono in massimo conto la morale evangelica; ognuno ne proclama la magnificenza e la necessità, ma molti lo fanno confidando su ciò che hanno sentito dire, o in fede a qualche massima biblica divenuta proverbiale; pochi però la conoscono a fondo, e sono ancor meno quelli che la comprendono e sanno dedurne le conseguenze. La ragione di ciò sta in gran parte nella difficoltà che la lettura del Vangelo presenta, inintelligibile per i più. La forma allegorica e il misticismo intenzionale del linguaggio fanno sì che i più lo leggano per mettersi a posto la coscienza nonché per dovere, come pure leggono le preghiere senza comprenderle, ossia in modo infruttuoso. I precetti morali, sparsi qua e là e confusi fra tante altre cose, passano inavvertiti; diventa allora impossibile afferrarli nella loro complessità, farne l'oggetto di una lettura e di una meditazione separate.

Sono stati scritti, è vero, dei trattati di morale evangelica, ma la loro stesura in uno stile letterario moderno ha privato il Vangelo della primitiva semplicità che costituisce il suo fascino e al tempo stesso la sua autenticità. La medesima cosa succede per le massime estrapolate, ridotte a semplici espressioni proverbiali. Esse diventano pertanto dei semplici aforismi che perdono parte del loro valore e del loro interesse, isolati dagli elementi complementari e privati delle circostanze in cui erano stati formulati.

Per ovviare a questi inconvenienti, abbiamo riunito in quest'opera gli articoli che possono costituire, per così dire, un codice di etica universale, senza distinzione di culto. Nelle citazioni abbiamo conservato tutto ciò che è utile allo sviluppo del pensiero, eliminando solo quanto è estraneo all'argomento.

Abbiamo inoltre rispettato scrupolosamente la traduzione originale di Sacy, e la sua divisione in versetti. Ma anziché attenerci a un ordine cronologico, impossibile e senza vantaggio reale in tale trattazione, abbiamo raggruppato e classificato le massime metodicamente, secondo la loro natura, in modo che esse si deducessero, per quanto possibile, le une dalle altre.

Il riferimento alla numerazione dei capitoli e dei versetti permette di ricorrere alla consultazione corrente, se lo si ritiene opportuno.

È solo un accorgimento pratico che, di per sé, avrebbe semplicemente un'utilità secondaria. L'essenziale era mettere queste massime alla portata di tutti con la spiegazione dei passaggi poco chiari e dello sviluppo di tutte le conseguenze da esse derivanti, in considerazione dell'applicazione alle varie situazioni della vita. È ciò che abbiamo cercato di fare con l'aiuto dei buoni Spiriti che ci assistono.

Molti punti del Vangelo, della Bibbia e dei testi sacri in generale non sono intelligibili, molti sembrano addirittura irrazionali in mancanza di una chiave per comprenderne il vero significato. Ora, questa chiave si trova tutta nello Spiritismo, come hanno già potuto comprendere coloro che lo hanno studiato seriamente, e come si constaterà in seguito.

Lo Spiritismo è presente ovunque, sia nell'antichità sia in tutte le altre epoche dell'umanità. Ovunque di esso si trovano tracce: negli scritti, nei credo religiosi e nei monumenti. È per questo che esso apre non solo orizzonti nuovi per il futuro, ma getta anche una luce non meno viva sui misteri del passato.

A complemento di ogni precetto, abbiamo aggiunto alcune istruzioni scelte fra quelle dettate dagli Spiriti nei vari paesi per il tramite di vari medium. Se queste istruzioni fossero uscite da un'unica fonte, avrebbero potuto risentire dell'influenza personale o dell'ambiente, mentre la molteplicità delle origini prova che gli Spiriti offrono il loro insegnamento ovunque e che, sotto questo aspetto, non c'è nessuno che sia privilegiato.[1]

Quest'opera è al servizio di tutti; ognuno può trovarvi il modo di conformarsi alla morale di Cristo. Gli spiritisti vi troveranno inoltre le applicazioni che più li riguardano personalmente.

Grazie alle comunicazioni stabilite ormai in modo permanente fra gli uomini e il mondo invisibile, la legge evangelica, insegnata in tutto il mondo dagli stessi Spiriti, non sarà più lettera morta perché ognuno la comprenderà e sarà costantemente sollecitato a metterla in pratica dai consigli delle guide spirituali.

Le istruzioni degli Spiriti sono veramente le voci del Cielo che vengono a illuminare gli uomini e a spronarli alla pratica del Vangelo.

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[1] Avremmo certamente potuto fornire per ogni argomento un numero ben più grande di comunicazioni ottenute in moltissimi e diversi luoghi e in centri spiritisti oltre a quelli citati; ma abbiamo dovuto, innanzitutto, evitare la monotonia delle ripetizioni non necessarie e limitare pertanto la nostra scelta a quelle comunicazioni che, per contenuto e forma, rientrassero più specificamente nel quadro di quest'opera, riservando a future pubblicazioni quelle che non hanno trovato posto qui.

Quanto ai medium, ci siamo astenuti dal menzionarli, per lo più dietro loro richiesta, e di conseguenza non abbiamo ritenuto opportuno fare delle eccezioni. D'altra parte il nome dei medium non avrebbe aggiunto alcun valore all'opera degli Spiriti; si sarebbe dunque trattato solo di una questione di amor proprio a cui i medium veramente seri non tengono affatto. Essi comprendono che, essendo il loro ruolo puramente passivo, il valore delle comunicazioni non va assolutamente attribuito al loro merito personale e che sarebbe puerile gloriarsi di un lavoro intelligente al quale contribuiscono solo meccanicamente.


2. Autorevolezza della Dottrina Spiritista

Controllo universale dell'insegnamento degli Spiriti


Se la Dottrina Spiritista fosse una concezione puramente umana, avrebbe per garanti solo i lumi di colui che l'avesse concepita. Ora, nessuno su questa Terra può avere la fondata pretesa di possedere, lui solo, la verità assoluta. Se gli Spiriti, che l'hanno rivelata, si fossero manifestati a un solo uomo, niente ne garantirebbe la fonte, perché bisognerebbe credere sulla parola di colui che sostenesse di aver ricevuto il loro insegnamento. Pur ammettendo, da parte sua, la più completa buona fede, tutt'al più potrebbe coinvolgere le persone della cerchia delle sue conoscenze. Potrebbe avere dei seguaci di parte, ma non arriverebbe mai a ottenere il consenso di tutti.

Dio ha voluto che la nuova rivelazione arrivasse agli uomini per vie più rapide e più autentiche. È per questo che ha incaricato gli Spiriti di portarla da un capo all'altro della Terra, manifestandosi ovunque, senza dare a nessuno il privilegio esclusivo di ascoltare la loro parola. Un uomo può essere ingannato, può ingannarsi da se stesso, ma ciò non potrebbe accadere allorché milioni di persone vedono e intendono la stessa cosa: questa è una garanzia per ognuno di noi e per tutti. D'altra parte si può far tacere un uomo, ma non una moltitudine. Si possono bruciare i libri, ma non si possono bruciare gli Spiriti. Ora, anche bruciando tutti i libri, la fonte della dottrina non verrebbe assolutamente estinta per la semplice ragione che non si trova sulla Terra, ma sorge ovunque e tutti possono attingerla.

In mancanza di uomini per diffondere questa dottrina, ci saranno sempre gli Spiriti che raggiungeranno tutti né vi sarà alcuno che non potrà essere raggiunto.

In realtà sono dunque gli Spiriti che diffondono questa dottrina, con l'aiuto di moltissimi medium che essi destano ovunque. Se essi avessero avuto un unico interprete, per privilegiato che fosse, lo Spiritismo sarebbe a malapena conosciuto. Questo stesso interprete, a qualsiasi classe appartenesse, sarebbe lui stesso oggetto di pregiudizio da parte di molti, e non in tutte le parti del mondo sarebbe ben accetto, mentre gli Spiriti, comunicando ovunque, a tutti e a qualsiasi credo ognuno appartenga, sono accettati universalmente.

Lo Spiritismo non ha nazionalità, è al di fuori di qualsiasi culto particolare, non viene imposto da nessuna classe sociale, in quanto chiunque può ricevere istruzioni dai propri parenti e amici d'oltretomba. Ed è così che dev'essere per poter chiamare tutti gli uomini alla fraternità: se non si fosse posto in terreno neutro, avrebbe mantenuto i dissensi anziché dirimerli.

È l'universalità nell'insegnamento degli Spiriti che fa la forza dello Spiritismo; essa è anche la ragione della sua così rapida diffusione. Mentre la voce di un solo uomo, sia pure con l'appoggio della stampa, avrebbe impiegato anni e anni prima di giungere all'orecchio di tutti, ecco che migliaia di voci si fanno sentire simultaneamente in tutti i punti della Terra, per proclamare gli stessi principi comunicandoli tanto ai più sapienti quanto ai più ignoranti affinché nessuno ne sia privato. È un vantaggio di cui nessuna dottrina ha fruito fino a oggi. Dunque se lo Spiritismo è una verità, non teme né il malvolere degli uomini né le rivoluzioni morali né gli sconvolgimenti fisici del globo, perché niente di tutto ciò può sfiorare gli Spiriti.

Ma non è questo il solo vantaggio di una situazione tanto eccezionale. Lo Spiritismo ne ricava una garanzia potentissima contro gli scismi che potrebbero essere dovuti sia all'ambizione di alcuni, sia alle contraddizioni di certi Spiriti. Queste contraddizioni sono sicuramente un ostacolo, ma un ostacolo che porta in sé il rimedio insieme al male.

Si sa che gli Spiriti, a causa delle loro differenti capacità, sono lontani dal possedere singolarmente tutta la verità. Non è dato a tutti penetrare certi misteri. Il loro sapere è proporzionale al loro grado di avanzamento. Gli Spiriti inferiori non ne sanno più degli uomini e, semmai, meno di taluni uomini. Ci sono fra di loro, come fra gli uomini, dei presuntuosi e dei falsi sapienti che credono di sapere ciò che non sanno, dei sistematici che prendono le loro idee per verità. Infine ci sono gli Spiriti dell'ordine più elevato, quelli completamente smaterializzati, i soli che si sono spogliati delle idee e dei pregiudizi terreni. Ma si sa pure che gli Spiriti ingannatori non si fanno scrupolo di nascondersi sotto nomi fittizi per fare accettare le loro utopie. Ne consegue che, riguardo a tutto ciò che si trova al di fuori dell'insegnamento esclusivamente morale, le rivelazioni che ognuno può ottenere hanno un carattere individuale senza garanzia di autenticità, si sa che esse devono venire considerate come opinioni personali del tale o talaltro Spirito e che sarebbe imprudente accettarle e diffonderle alla leggera come verità assolute.

La prima verifica alla quale si deve sottoporre, senza eccezione, tutto ciò che viene dagli Spiriti è indubbiamente quella della ragione. Qualsiasi teoria in manifesta contraddizione con il buon senso, con una logica rigorosa e con i dati obbiettivi già in nostro possesso, da qualsiasi insigne firma sia sottoscritta, non dev'essere accettata di primo acchito. Ma nella maggior parte dei casi una verifica non è sufficiente, a causa dei limiti delle conoscenze di alcuni e per la tendenza di molti a ritenere il proprio giudizio come unico arbitro della verità. In casi simili, come si regolano quelli che non hanno una fiducia assoluta in se stessi? Si attengono all'opinione della maggioranza adottandola come guida. Così ci si deve comportare riguardo all'insegnamento degli Spiriti che, d'altronde, ce ne forniscono essi stessi i mezzi.

La concordanza degli insegnamenti degli Spiriti è dunque la migliore verifica. Ma non basta: bisogna anche che essa si verifichi in determinate condizioni.

La meno valida di tutte le condizioni è quando un medium interroga lui stesso più Spiriti su una questione dubbiosa. È quanto mai evidente che, se il medesimo si trova sotto il dominio di un'ossessione, o se ha a che fare con uno Spirito ingannatore, questo Spirito gli può dire la stessa cosa sotto nomi diversi. E così non c'è garanzia sufficiente, nemmeno se c'è concordanza fra gli insegnamenti ricevuti da medium di uno solo centro, perché possono subire la stessa influenza.

La sola garanzia seria dell'insegnamento degli Spiriti sta nella concordanza .fra rivelazioni fatte spontaneamente tramite numerosi medium estranei gli uni agli altri e in luoghi diversi.

Si comprende che qui non si tratta assolutamente di comunicazioni che riguardano secondi scopi, ma dei principi stessi della dottrina.

L'esperienza dimostra che, quando un nuovo principio non è ancora ben definito, viene insegnato spontaneamente in luoghi diversi, nello stesso tempo e in modo identico, se non nella forma, quanto meno nella sostanza. Dunque, se a uno Spirito piace formulare un sistema eccentrico, basato sulle sue sole idee ed estraneo alla verità, si può essere certi che questo sistema resterà circoscritto e cadrà di fronte all'unanimità delle istruzioni date altrove, come già si è potuto constatare da vari esempi. È questa unanimità che ha fatto decadere tutti i sistemi parziali sorti all'origine dello Spiritismo, quando ognuno spiegava i fenomeni a modo suo e prima ancora che si conoscessero le leggi che reggono i rapporti fra il mondo visibile e quello invisibile.

Tale è la base sulla quale ci fondiamo quando formuliamo un principio della ,dottrina. Non è che le diamo per vere perché sono idee nostre. Noi non ci poniamo assolutamente come arbitri supremi della verità e non diciamo a nessuno: «Credete la tal cosa perché ve la diciamo noi». La nostra stessa opinione, ai nostri occhi, è solo la nostra opinione personale che può essere giusta o errata, perché noi non siamo meno infallibili degli altri. Per noi un principio non è verità unicamente perché ci viene insegnato, ma perché ha ricevuto la sanzione della concordanza fra molteplici comunicazioni. Nella nostra situazione, avendo ricevuto le comunicazioni di circa mille centri spiritisti, disseminati nei diversi punti del globo, siamo in grado di osservare i principi sui quali si fonda questa concordanza. È questa possibilità di osservazione che ci ha guidati fino a oggi ed è sempre questa che ci guiderà nei nuovi campi che lo Spiritismo è chiamato a esplorare. E così, studiando attentamente le comunicazioni che giungono da varie parti, non solo dalla Francia, noi riconosciamo, in virtù della natura tutta particolare delle rivelazioni, che c'è un orientamento a entrare in un nuovo corso e che è venuto il momento di fare un passo avanti. Queste rivelazioni, a volte sottintese, sono sovente passate inavvertite da parte di molti che le hanno ricevute, mentre altri hanno creduto di essere stati i soli ad averle ricevute. Prese isolatamente, sarebbero senza valore per noi: solo la coincidenza fra le varie comunicazioni conferisce loro un peso. Quindi, quando il momento sarà venuto per affidarle apertamente alla grande divulgazione, allora ognuno di noi si ricorderà di aver ricevuto delle istruzioni in questo senso. È questo movimento generale che noi osserviamo, che studiamo con l'assistenza delle nostre guide spirituali e che ci aiuta a giudicare l'opportunità di fare una cosa o di astenerci dal farla.

Questa messa a confronto universale è una garanzia per la futura unità dello Spiritismo e annullerà tutte le teorie contraddittorie. È là che in futuro si cercherà il criterio della verità. Ciò che ha determinato il successo della dottrina formulata ne Il libro degli Spiriti e ne Il libro dei Medium, è stato il fatto che ovunque si è potuto ricevere direttamente dagli Spiriti la conferma di ciò che questi libri contengono. Se da tutte le parti fossero giunti degli Spiriti a contraddirli, questi libri avrebbero da tempo subito la sorte di quelli che trattano teorie puramente fantasiose. Lo stesso supporto della stampa non avrebbe potuto salvarli dal naufragio, mentre essi, ancorché privi di questo supporto, hanno fatto lo stesso un rapido cammino perché hanno avuto l'aiuto degli Spiriti, la cui buona volontà ha inoltre compensato ampiamente il cattivo volere degli uomini. Così sarà di tutte le idee emanate sia dagli Spiriti sia da quegli uomini che non riuscissero a sostenere la prova di questa verifica, la cui potenza nessuno può contestare.

Supponiamo allora che a certi Spiriti piaccia dettare, a qualsiasi titolo, un libro in senso contrario; supponiamo pure che la malevolenza, ostile e intenzionale nel voler gettare discredito sulla dottrina, arrivi a suscitare delle comunicazioni apocrife. Quale influenza potrebbero avere questi scritti, se poi venissero smentiti ovunque dagli Spiriti? È dell'adesione di questi ultimi che bisognerebbe assicurarsi, prima di diffondere un sistema in loro nome. Fra il sistema di uno solo e quello di tutti, la distanza è uguale a quella esistente fra l'unità e l'infinito. Che possono, infine, tutti gli argomenti dei detrattori sull'opinione delle masse, quando milioni di voci amiche, partite dallo spazio e provenienti da tutti gli angoli dell'universo, in seno a ogni famiglia, li sconfiggono risolutamente? L'esperienza, sotto questo punto di vista, non ne ha già dato conferma? Dove sono finite tutte quelle pubblicazioni che, stando a quanto dicevano, avrebbero dovuto, per così dire, annientare lo Spiritismo? Qual è quella che ne ha rallentato il cammino? Fino a oggi non è mai stata considerata la questione sotto questo punto di vista, una delle più gravi, senza tema di smentita. Ognuno ha tenuto conto di sé, senza tener conto degli Spiriti.

Il principio della concordanza è una garanzia in più contro le deviazioni che certe sette potrebbero far subire allo Spiritismo, volendone trarre dei vantaggi adattandolo a loro misura. Chiunque volesse sviarlo dal suo fine provvidenziale fallirebbe per la semplicissima ragione che gli Spiriti, in virtù dell'universalità del loro insegnamento, farebbero cadere qualsiasi modifica che si discostasse dalla verità.

Da tutto ciò deriva una verità capitale: che chiunque, cioè, volesse intralciare o sanzionare l'essenza delle idee prestabilite potrebbe anche causare una perturbazione momentanea e circoscritta localmente, ma non potrebbe mai dominare il tutto, né attualmente e ancor meno in futuro.

Emerge ancor più evidente che le istruzioni date dagli Spiriti, sui punti della dottrina non ancora chiariti, non riuscirebbero a dettar legge finché dovessero restare isolate. Pertanto esse devono, di conseguenza, essere accettate solo con riserva e a titolo informativo.

Da qui il dovere di usare la massima prudenza quando si pubblica e, nel caso in cui le istruzioni venissero reputate degne di pubblicazione, esse dovrebbero essere presentate solo come frutto di opinioni personali, più o meno attendibili, ma aventi, in ogni caso, necessità di conferma. È tale conferma che bisogna attendere prima di presentare un principio come verità assoluta, se non si vuole essere accusati di leggerezza o di credulità avventata.

Gli Spiriti superiori procedono, nelle loro rivelazioni, con estrema saggezza. Essi affrontano le grandi problematiche della dottrina solo gradualmente, nella misura in cui la capacità di intendere risulta atta a comprendere verità di ordine superiore, e man mano che le circostanze si presentano propizie alla diffusione di idee nuove. È per questo che all'inizio gli Spiriti non hanno potuto dire tutto, e non l'hanno a tutt'oggi ancora detto, non cedendo alla pressione di persone troppo impazienti, che vogliono raccogliere i frutti prima che siano maturi. Sarebbe dunque superfluo voler anticipare il tempo assegnato a ogni cosa dalla Provvidenza, in quanto gli Spiriti vera mente seri rifiuterebbero il loro appoggio. Ma gli Spiriti leggeri, poco preoccupati della verità, sono sempre disposti a rispondere a tutto. Per questa ragione, su tutte le questioni premature, si hanno sempre delle risposte contraddittorie.

I principi qui enunciati non provengono affatto da teorie personali, ma sono la logica e obbligata conseguenza delle condizioni nelle quali gli Spiriti si manifestano. È ben evidente che, se uno Spirito dice una cosa da un lato, mentre milioni di Spiriti dicono il contrario dall'altro, presumibilmente la verità non sta dalla parte di chi è il solo, o quasi, a essere di un certo avviso. Ora, pretendere di essere l'unico ad avere ragione contro tutti sarebbe illogico da parte degli Spiriti tanto quanto lo è da parte degli uomini. Gli Spiriti veramente saggi, se non si sentono sufficientemente illuminati su una questione, non la pongono mai in modo assoluto; ma dichiarano di trattarla solodal loro punto di vista, e sono loro stessi che consigliano di attenderne la conferma.

Per quanto grande, bella e giusta possa essere un'idea, è impossibile che essa ottenga, fin dall'inizio, il consenso generale. I conflitti di opinione che ne derivano sono la conseguenza inevitabile dell'animazione che suscita. Questi conflitti sono persino necessari per far emergere meglio la verità, ed è utile che essi abbiano luogo fin dall'inizio affinché le idee false vengano più prontamente tolte di mezzo. Gli Spiritisti che dovessero avere delle remore, devono venire pienamente rassicurati. Tutte le pretese isolate cadranno, per la forza stessa delle cose, di fronte al grande e possente criterio del controllo universale.

Non sarà dall'opinione di un uomo che si avrà l'unione, ma dalla voce unanime degli Spiriti. Non sarà un uomo, men che meno noi o qualunque altro, che fonderà l'ortodossia spiritista; neppure sarà uno Spirito a imporsi su tutti: è l'universalità degli Spiriti che comunicano su tutta la Terra per volere di Dio. In ciò consiste il carattere essenziale della Dottrina Spiritista; lì sta la sua forza, la sua autorevolezza. Dio ha voluto che la sua legge poggiasse su una base inamovibile. È per questo che non l'ha riposta nella fragile mente di uno solo.

Di fronte a questo potente areopago, che non conosce né consorterie né gelose rivalità né settarismi né confini politici, andranno a infrangersi tutte le opposizioni, tutte le ambizioni, qualsiasi pretesa di supremazia individuale. Perché noi stessi ci distruggeremmo se volessimo sostituire le nostre idee con questi decreti sovrani. È solo questo areopago che dirimerà tutte le questioni discordi, che farà tacere i dissensi e darà torto o ragione secondo giustizia. Di fronte a questo imponente accordo di tutte le voci del Cielo, che cosa possono le opinioni di un uomo o di uno Spirito? Meno di una goccia d'acqua nell'oceano, meno della voce di un fanciullo soffocata dalla tempesta.

L'opinione universale, ecco il giudice supremo, ecco chi decide in ultima istanza. Essa è formata da tutte le opinioni individuali: se una di esse è vera, ha solo un peso relativo sulla bilancia; se è falsa non può prevalere su tutte le altre. In questo immenso complesso, le individualità si cancellano. Ecco un altro motivo di insuccesso per l'orgoglio del genere umano.

Questo insieme armonioso già si delinea. Ora, questo secolo non passerà prima di risplendere in tutto il suo fulgore, così da dare stabilità a tutte le incertezze. Infatti, quando il campo sarà sufficientemente arato, voci possenti avranno ricevuto la missione di farsi intendere per riunire gli uomini sotto una stessa bandiera. In attesa, coloro i quali oscilleranno fra i due opposti sistemi potranno vedere in quale direzione si orienterà l'opinione generale: è l'indicazione sicura del senso in cui si pronuncia la maggioranza degli Spiriti sui diversi punti su cui s'incontrano. È un segno non meno certo che indica quale dei due sistemi è quello giusto.


3. Cenni storici


Per ben comprendere certi passaggi dei Vangeli, è necessario conoscere in che senso molte parole, frequentemente impiegate, sono state usate, parole che caratterizzano i costumi e la società ebraica dell'epoca. Queste parole, non avendo più per noi lo stesso significato, vengono sovente male interpretate e per questa ragione generano una sorta di incertezza. La comprensione del loro significato originario spiega inoltre il vero valore di certe massime che di primo acchito possono sembrare strane.


SAMARITANI. Dopo lo scisma delle dieci tribù, Samaria divenne la capitale del regno dissidente di Israele. Distrutta e ricostruita in più riprese, essa fu, sotto i Romani, il capoluogo della Samaria, una delle quattro province in cui venne divisa la Palestina. Erode, detto il Grande, l'abbellì con sontuosi monumenti e, per accattivarsi Augusto, le diede il nome di Augusta, in greco Sebaste.

I Samaritani furono quasi sempre in guerra con i re di Giuda. Un'avversione profonda, risalente alla separazione, si perpetuò costantemente fra i due popoli che evitavano qualsiasi relazione reciproca. I Samaritani, per rendere la scissione ancora più profonda e non doversi recare a Gerusalemme per le celebrazioni delle feste religiose, costruirono un loro tempio e adottarono delle riforme: ammettevano solo il Pentateuco contenente le leggi di Mosè, rifiutando tutti gli altri libri annessi in seguito. I loro libri sacri erano scritti con i più antichi caratteri ebraici. Agli occhi degli Ebrei ortodossi, essi erano degli eretici e pertanto disprezzati, colpiti da anatemi e perseguitati. L'antagonismo fra le due fazioni si fondava dunque unicamente su divergenze di opinioni religiose, benché le loro credenze avessero la stessa origine. Erano i Protestanti di quei tempi.

Ancor oggi si trovano dei Samaritani in qualche contrada del Levante, particolarmente a Naplosa e a Giaffa. Essi osservano la legge di Mosè con maggiore rigore degli altri Ebrei e contraggono matrimonio solo fra di loro.


NAZARENI. Nome dato, nell'antica legge, agli Ebrei che facevano voto, per la vita o per un determinato tempo, di osservare un'esistenza perfettamente pura: si impegnavano alla castità, all'astinenza dagli alcolici e a conservare la chioma. Sansone, Samuele e Giovanni Battista erano Nazareni.

Più tardi gli Ebrei diedero questo nome ai primi cristiani in riferimento a Gesù di Nazareth.

È stato anche il nome di una setta eretica dei primi secoli dell'era cristiana la quale, come gli Ebioniti che ne adottarono alcuni principi, univa le pratiche mosaiche ai dogmi cristiani. Questa setta scompare nel quarto secolo.


PUBBLICANI. Si chiamavano così, nell'antica Roma, gli appaltatori di tasse pubbliche, incaricati dell'esazione delle imposte e del reclutamento delle entrate di qualsiasi natura, sia a Roma sia nelle altre parti dell'impero. Erano il corrispettivo degli appaltatori generali, degli esattori dell'ancien régime in Francia e di quelli che ancora esistono in alcuni paesi. I rischi che correvano facevano chiudere un occhio sulle ricchezze che sovente accumulavano e che, per molti, erano il prodotto di esazioni e di profitti scandalosi. Il nome di pubblicano si estese più tardi a tutti coloro che maneggiavano denaro pubblico e ai loro subalterni. Oggi questo termine si usa in senso spregiativo per designare finanzieri e faccendieri di pochi scrupoli. A volte si dice: «Avido come un pubblicano; ricco come un pubblicano» riguardo a qualcuno che ha accumulato una fortuna di origine sospetta.

Durante il dominio romano, le imposte furono la cosa che gli Ebrei accettarono con maggiore difficoltà e che causò il maggiore malcontento. Ne seguirono numerose rivolte, poiché gli Ebrei ne fecero una questione religiosa considerandole contrarie alla legge. Si formò anche un potente partito alla testa del quale c'era un certo Giuda, detto il Galonita, che aveva stabilito il principio del rifiuto delle imposte. I Giudei avevano dunque in orrore le imposte e, di conseguenza, tutti quelli che erano incaricati a riscuoterle. Da ciò derivò una forte avversione per i pubblicani, a qualsiasi rango essi appartenessero. Fra di loro potevano anche trovarsi individui stimabilissimi, ma, a causa del loro incarico, erano guardati con disprezzo. E anche quelli che li frequentavano venivano accomunati nella stessa riprovazione. Gli Ebrei di rango avrebbero temuto di compromettersi stabilendo con loro stretti rapporti personali.


GABELLIERI. Erano esattori di modesto livello, incaricati principalmente di esigere il balzello per il diritto di ingresso nelle città. La loro funzione corrispondeva, grosso modo, a quella dei doganieri e degli esattori del dazio. In generale, essi condividevano la riprovazione dei pubblicani. È per questa ragione che nel Vangelo si trova sovente il nome pubblicano riferito a persona di malaffare. Questa qualifica non implicava minimamente quella di corrotto e di persona senza scrupoli. Era un termine spregiativo sinonimo di cattiva compagnia, indegna di essere frequentata dalle persone perbene.


FARISEI (dall'ebraico Parasch: divisione, separazione). La tradizione costituiva una parte importante della teologia giudaica. Consisteva nella raccolta delle interpretazioni che in progressione di tempo venivano date al significato delle Scritture e che erano diventate articoli di dogma. Fra i dottori, la tradizione era oggetto di interminabili discussioni, la maggior parte delle volte su una semplice questione di interpretazione di parole o di forma, sul genere delle dispute teologiche o delle sottigliezze della scolastica medioevale. Da questi contrasti nacquero varie sette che pretendevano di avere ognuna il monopolio della verità e, come quasi sempre succede, si detestavano cordialmente l’un l’altra.

Fra queste sette la più importante era quella dei Farisei, che ebbero come capo Hillel, dottore ebreo nato a Babilonia, fondatore di una celebre scuola, in cui si insegnava che la fede era data solo dalle Scritture. La sua origine si fa risalire al periodo che va dal 200 al 180 a.C. I Farisei furono perseguitati in diverse epoche, particolarmente sotto Hircano, sommo pontefice e re degli Ebrei, sotto Aristobalo e sotto Alessandro, re di Siria. Tuttavia, avendo quest'ultimo restituito loro beni e onori, essi riaffermarono la loro potenza, che conservarono fino alla caduta di Gerusalemme, avvenuta nell'anno 70 dell'era cristiana, epoca in cui il loro nome scomparve a seguito dell'esodo degli Ebrei.

I Farisei prendevano parte attiva alle controversie religiose. Servili osservanti delle pratiche esteriori del culto e del cerimoniale, pieni di ardente zelo di proselitismo, nemici degli innovatori, essi facevano mostra di una grande severità di principi. Ma, sotto le apparenze di una devozione scrupolosa, nascondevano costumi dissoluti, molto orgoglio e soprattutto un eccessivo amore per il potere. La religione era per loro un mezzo per imporsi piuttosto che l'oggetto di una fede sincera. Essi mostravano solo la facciata e l'ostentazione della virtù e riuscivano a esercitare una grande influenza sul popolo, ai cui occhi apparivano dei santi. Per questo erano molto potenti a Gerusalemme.

Essi credevano, o per lo meno facevano professione di credere, alla Provvidenza, all'immortalità dell'anima, alle pene eterne e alla resurrezione dei morti (vedere cap. IV, n. 4 di questa opera). Gesù, che apprezzava soprattutto la semplicità e le qualità del cuore, che della legge preferiva lo spirito che vivifica alla lettera che uccide, si impegnò, durante tutta la Sua missione, a smascherare la loro ipocrisia e, di conseguenza, se ne fece dei nemici accaniti. È per questo che essi si allearono ai principi dei sacerdoti per sobillare il popolo contro di Lui e farlo condannare.


SCRIBI. Nome dato in principio ai segretari dei re di Giudea e a certi intendenti dell'esercito ebraico. Più tardi questa denominazione venne applicata soprattutto ai dottori che insegnavano la legge di Mosè e la interpretavano per il popolo. Essi facevano causa comune con i Farisei, di cui condividevano i principi e l'avversione per gli innovatori. È per questo che Gesù li accomunava nella stessa riprovazione.


SINAGOGA (dal greco synagōghē, assemblea, congregazione). In Giudea c'era un solo tempio, quello di Salomone a Gerusalemme, dove si celebravano le grandi solennità del culto. Gli Ebrei, tutti gli anni, vi si recavano in pellegrinaggio per le feste principali, come la Pasqua, la Dedicazione e i Tabernacoli. È in queste occasioni che Gesù fece numerosi viaggi. Le altre città non avevano templi, ma sinagoghe, edifici dove gli Ebrei si riunivano nei giorni di sabato per le preghiere pubbliche, sotto la guida degli Anziani, degli Scribi o dei Dottori della Legge. Vi si facevano anche le letture tratte dai libri sacri, che venivano spiegate e commentate, e tutti potevano prendervi parte. Per questo Gesù, senza essere un sacerdote, insegnava nelle sinagoghe nei giorni di sabato.

Dopo la caduta di Gerusalemme e l'esodo degli Ebrei, le sinagoghe, nelle città in cui si trovavano, servirono da templi per la celebrazione del culto.


SADDUCEI. Setta ebraica formatasi verso il 248 a.C., detta così da Sadoc, suo fondatore. I Sadducei non credevano all'immortalità dell'anima né alla resurrezione e neppure agli angeli, buoni e cattivi. Benché credessero in Dio, non si aspettavano niente dopo la morte e Lo servivano solo in vista di ricompense temporali perché, secondo loro, solo a questo si limitava la Sua Provvidenza. Così la soddisfazione dei sensi era, ai loro occhi, lo scopo essenziale della vita. Quanto alle Scritture, si attenevano al testo dell'antica legge, non ammettevano né la tradizione né alcuna interpretazione. Essi collocavano le buone opere e l'osservanza pura e semplice della legge al di sopra della pratica esteriore del culto. Erano, come si può notare, i materialisti, i teisti e i sensualisti dell'epoca. Questa setta era poco numerosa, ma contava personaggi importanti e divenne un partito politico costantemente avverso ai Farisei.


ESSENI. Setta ebraica formatasi verso il 150 a.C., ai tempi dei Maccabei, i cui membri, che abitavano in specie di monasteri, formavano fra loro una sorta di associazione morale e religiosa. Si distinguevano per la dolcezza dei costumi e l'austerità della morale, insegnavano l'amore di Dio e del prossimo, l'immortalità dell'anima e credevano nella resurrezione. Osservavano il celibato, condannavano la schiavitù e la guerra, mettevano i loro beni in comune e si dedicavano all'agricoltura. In antitesi ai sensuali Sadducei, che negavano l’immortalità, e ai Farisei rigorosi riguardo le pratiche esteriori e la virtù solo apparente, non presero mai parte alle dispute che dividevano queste due sette. Il loro genere di vita si avvicinava a quello dei primi Cristiani, e i principi della morale che professavano spingono alcuni a pensare che Gesù vi abbia fatto parte prima di iniziare la Sua missione pubblica. Certo è che deve averli conosciuti, ma niente prova che ne sia stato un affiliato, e tutto ciò che è stato scritto a questo proposito è ipotetico.[2]

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[2] La Morte di Gesù, opera attribuita a un fratello esseno, è un libro completamente apocrifo, scritto allo scopo di avallare una certa opinione, e contiene la prova della sua origine moderna.
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TERAPEUTI (dal greco therapeutai, derivato da therapéuein, servire e curare, ossia servitori di Dio e guaritori). Settari ebraici contemporanei di Cristo, stabilitisi principalmente ad Alessandria d'Egitto, erano in stretto rapporto con gli Esseni, di cui professavano i principi, e come loro si erano consacrati alla pratica di tutte le virtù. Si nutrivano in modo estremamente frugale. Votati al celibato, alla contemplazione e alla vita solitaria, formavano un vero e proprio ordine religioso. Filone, filosofo platonico, ebreo di Alessandria, è stato il primo a parlare dei Terapeuti. Egli li considera una setta del giudaismo. Eusebio, san Girolamo e altri Padri della Chiesa pensavano che fossero Cristiani. Comunque, sia che fossero giudei o cristiani, è evidente che, come gli Esseni, essi costituivano il tratto d'unione fra il giudaismo e il cristianesimo.


4. Socrate e Platone precursori dell'idea Cristiana e dello Spiritismo


Stando al fatto che Gesù ha dovuto conoscere la setta degli Esseni, sarebbe errato dedurre che vi abbia attinto la sua dottrina e che, se fosse vissuto in un altro contesto storico, avrebbe professato altri principi. Le grandi idee non emergono mai tutt'a un tratto. Quelle che si basano sulla verità hanno sempre dei precursori che ne aprono parzialmente il cammino. Poi, quando giunge il tempo, Dio invia un uomo con la missione di riassumere, coordinare e completare questi elementi sparsi e di formarne un corpo unico. Perciò l'idea, non arrivando bruscamente, trova al suo apparire degli spiriti completamente disposti ad accettarla. Così è stato dell'idea cristiana, presentita parecchi secoli prima di Cristo e degli Esseni, e di cui Socrate e Platone sono stati i principali precursori.

Socrate, come Cristo, non ha scritto nulla o, per lo meno, non ha lasciato niente di scritto. Come Cristo, è morto di morte violenta, vittima del fanatismo per aver attaccato le credenze correnti e posto la virtù reale al di sopra dell'ipocrisia e del simulacro della forma, in una parola, per aver combattuto i pregiudizi religiosi. Come Gesù fu accusato dai Farisei di corrompere il popolo con i suoi insegnamenti, così anche Socrate fu accusato dai Farisei del suo tempo — giacché ogni epoca ha avuto i suoi Farisei — di corrompere la gioventù proclamando il dogma dell'unità di Dio, dell'immortalità dell'anima e della vita futura. Inoltre noi conosciamo la dottrina di Gesù solo attraverso gli scritti dei Suoi discepoli, così come conosciamo quella di Socrate attraverso gli scritti del suo discepolo Platone. Noi riteniamo utile riassumere qui i punti salienti per mostrare le concordanze con i principi del cristianesimo.

A coloro i quali considerassero questo parallelo una profanazione e pretendessero che non ci possa essere equivalente fra la dottrina di un pagano e quella di Cristo, noi risponderemo che la dottrina di Socrate non è pagana, poiché ebbe lo scopo di combattere il paganesimo; che la dottrina di Gesù, più completa e più pura di quella di Socrate, non ha niente da perdere dal confronto; che la grandezza della missione divina di Cristo non ne viene sminuita; che, d'altra parte, non si può soffocare la Storia. L'uomo è arrivato a un tale livello che la luce traspare da se stessa da sotto il moggio, ed è maturo per guardarla in faccia. Peggio per coloro che non vogliono aprire gli occhi. È venuto il tempo di considerare le cose a Vasto raggio e dall'alto, non più dal punto di vista meschino e ristretto degli interessi settari e di casta.

Queste citazioni dimostreranno inoltre che, se Socrate e Platone hanno presentito le idee cristiane, nella loro dottrina si trovano pure i principi fondamentali dello Spiritismo.


Compendio della dottrina di Socrate e di Platone


I. L'uomo è un'anima incarnata. Prima della sua incarnazione essa esisteva già, unita ai tipi primordiali e alle idee del vero, del bene e del bello. Se ne è separata incarnandosi e, ricordandosi il suo passato, è più o meno tormentata dal desiderio di ritornarvi.

Questo enunciato spiega nel modo più chiaro possibile la distinzione e l'indipendenza del principio intelligente e del principio materiale. Esiste inoltre la dottrina della preesistenza dell'anima, della vaga intuizione che essa conserva di un altro mondo al quale aspira, della sua sopravvivenza al corpo, della sua uscita dal mondo spirituale per incarnarsi, e del rientro in questo stesso mondo dopo la morte. È infine, in germe, la dottrina della caduta degli Angeli.

II. L'anima si smarrisce e si confonde quando si serve del colpo per considerare qualcosa, ha delle vertigini come se fosse ebbra perché si aggrappa a cose che sono, per loro natura, soggette a mutamenti. Invece, quando contempla la sua stessa essenza, si rapporta a ciò che è puro, eterno e immortale, ed essendo della stessa natura, vi permane estasiata il maggior tempo possibile. Allora i suoi turbamenti cessano, perché essa è unita a ciò che è immutabile, ed è questo stato dell'anima che noi chiamiamo saggezza.

Pertanto l'uomo che considera le cose dal basso, terra terra, dal

punto di vista materiale, si fa delle illusioni. Per apprezzarle equamente, bisogna vederle dall'alto, cioè da un punto di vista spirituale. Il vero saggio deve dunque in qualche modo isolare l'anima dal corpo, per vedere con gli occhi dello spirito. Ed è ciò che insegna lo Spiritismo (vedere cap. II, n. 5 di questa opera).

III. Fintanto che noi avremo il nostro corpo, e l'anima si troverà immersa in questa corruzione, non saremo mai in possesso dell'oggetto dei nostri desideri: la verità. Infatti, il corpo ci oppone moltissimi ostacoli per il fatto di dover prendercene cura. Inoltre, ci riempie di desideri, di appetiti, di timori, di mille chimere e di mille sciocchezze, cosicché con il corpo è impossibile essere saggi anche solo per un istante. Ma se è impossibile la conoscenza pura mentre l'anima convive con il corpo, delle due l'una: o non conoscere mai la verità o conoscerla dopo la morte. Affrancati dalla follia del corpo, converseremo allora, è ragionevole pensarlo, con uomini ugualmente liberi e conosceremo da noi stessi l'essenza delle cose.

È per questo che i veri filosofi si preparano a morire, e la morte non sembra loro per niente temibile. (Allan Kardec, Il Cielo e l'Inferno, 1a parte, cap. II; 2a parte, cap. I)

Qui sta il principio delle facoltà dell'anima offuscate dalle interferenze degli organi fisici, e dell'espandersi di queste facoltà dopo la morte. Ma qui si tratta solo delle anime elette; non è lo stesso per le anime impure.

IV. L'anima allo stato impuro è appesantita e viene trascinata di nuovo verso il mondo visibile dall'orrore dell'invisibile e dell'immateriale. Essa allora erra, dicono, intorno a monumenti e tombe, dove si sono visti a volte dei fantasmi tenebrosi, come devono essere le immagini delle anime che hanno lasciato il corpo senza essere completamente pure e che trattengono ancora qualcosa di materiale, cosa che permette all'occhio di percepirle. Queste non sono le anime dei buoni, bensì dei cattivi, obbligate a errare in questi luoghi dove portano le pene della loro vita precedente e dove continuano a errare finché il loro attaccamento alla materia le riconduce in un corpo. E allora esse riprendono sicuramente le stesse abitudini che, durante la vita precedente, avevano costituito le loro preferenze.

Non solamente il principio della reincarnazione è qui chiaramente espresso. Ma anche lo stato delle anime, che sono ancora sotto il dominio della materia, è descritto esattamente così come lo Spiritismo lo mostra nelle evocazioni. Questo principio dice inoltre che la reincarnazione è una conseguenza dell'impurità dell'anima, mentre l'anima purificata ne è libera. Lo Spiritismo non dice diversamente. Aggiunge solo che l'anima, che errando ha preso buone soluzioni e che ha conoscenze acquisite, rinascendo porta con sé meno difetti, più virtù e più idee intuitive di quante non ne avesse avute nella precedente esistenza. E così ogni esistenza rappresenta un progresso morale e intellettuale. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte: "Esempi")

V. Dopo la nostra morte, l'angelo (daimon, demone) che ci era stato assegnato durante la nostra vita, ci porta in un luogo dove si riuniscono tutti coloro che devono essere condotti nell'Ade per esservi giudicati. Le anime, dopo aver soggiornato nell'Ade il tempo necessario, vengono ricondotte in questa vita per numerosi e prolungati periodi.

È la dottrina degli Angeli Custodi, o Spiriti protettori, e delle reincarnazioni successive dopo intervalli più o meno lunghi in cui errano.

VI. I demoni colmano l'intervallo che intercorre fra Cielo e Terra; sono il legame che unisce il Grande Tutto a se stesso, La divinità non entra mai in contatto diretto con l'uomo, ma è attraverso la mediazione dei demoni che gli dei trattano e si intrattengono con lui, sia durante la veglia sia durante il sonno.

La parola daimon, da cui deriva demone, non veniva considerata in senso negativo come succede oggi; non ci si riferiva assolutamente a esseri cattivi, bensì a tutti gli Spiriti in generale, fra i quali si distinguevano gli Spiriti superiori chiamati gli dei, e gli Spiriti meno elevati, o demoni propriamente detti, che comunicavano direttamente con gli uomini. Lo Spiritismo dice inoltre che gli Spiriti popolano lo spazio; che Dio comunica con gli uomini solamente attraverso Spiriti puri incaricati di trasmettere la Sua volontà; che gli Spiriti comunicano con gli uomini durante la veglia e il sonno. Sostituite la parola demone con la parola Spirito e avrete la Dottrina Spiritista; sostituitela con la parola angelo e avrete la Dottrina Cristiana.

VII. La preoccupazione costante del filosofo (nel senso in cui veniva inteso da Socrate e Platone) è di farsi carico della massima cura dell'anima, non tanto per questa vita, che rappresenta solo un istante, quanto in vista dell'eternità. Se l'anima è immortale, non è forse saggio vivere in funzione dell'eternità?

Il Cristianesimo e lo Spiritismo insegnano la stessa cosa.

VIII. Se l'anima è immateriale, dovrà andare, dopo questa vita, in un mondo ugualmente invisibile e immateriale, così come il corpo decomponendosi ritorna alla materia. Però, bisogna distinguere bene l'anima pura, veramente immateriale che si nutre, come Dio, di sapere e di pensiero, dall'anima più o meno contaminata da impurità materiali, che le impediscono di elevarsi verso il divino, e la trattengono nei luoghi del suo passaggio terreno.

Socrate e Platone, come si vede, comprendevano perfettamente i differenti gradi di smaterializzazione dell'anima. Essi insistono sulla differenza di situazioni, derivante dal più o meno elevato livello di purezza dell'anima stessa. Ciò che essi dicevano per intuizione, lo Spiritismo lo dimostra con i numerosi esempi che ci mette sotto gli occhi. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte)

IX. Se la morte fosse la dissoluzione completa dell'uomo, sarebbe un grande vantaggio per i cattivi liberarsi simultaneamente, dopo la morte, di corpo, anima e vizi. Chi ha ornato la propria anima, non con ornamenti estranei, ma idonei, solo questi potrà attendere serenamente l'ora della sua dipartita per l'Aldilà.

In altri termini, sarebbe come sostenere che il materialismo, che proclama il niente dopo la morte, ossia l'annullamento di qualsiasi ulteriore responsabilità morale, è di conseguenza un incitamento al male; che il cattivo ha tutto da guadagnarci dal male; che solo l'uomo, che si è spogliato dei suoi vizi e si è arricchito di virtù, può tranquillamente attendere il risveglio nell'altra vita. Lo Spiritismo ci mostra, con gli esempi che ci mette giornalmente sotto gli occhi, com'è penoso per il malvagio il passaggio da una vita all'altra e l'ingresso nella vita futura. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte, cap. I)

X. Il colpo conserva segni ben evidenti delle cure che gli sono state prestate o degli infortuni in cui è incorso. Lo stesso è dell'anima. Quando è spogliata del corpo, essa porta le tracce evidenti del suo carattere, dei suoi affetti e delle impronte che ogni atto della vita le ha lasciato. Così la più grande disgrazia che possa accadere a un uomo è quella di andare nell'Aldilà con l'anima carica di colpe. Tu vedi, Calliclate, come né tu né Polo né Gorgia sapreste provare che dobbiamo condurre altra vita se non quella utile per quando saremo là. Fra tante opinioni diverse, l'unica che resta incrollabile è quella secondo cui è meglio ricevere che commettere un'ingiustizia, e ci si deve innanzi tutto impegnare non ad apparire un uomo dabbene, ma a esserlo. (Dialoghi di Socrate dal carcere ai suoi discepoli)

Qui si ritrova un altro punto capitale, confermato oggi dall'esperienza, secondo il quale l'anima non purificata conserva le idee, le tendenze, il carattere e le passioni che aveva sulla Terra. La massima: meglio ricevere che commettere un'ingiustizia, non è forse perfettamente cristiana? È lo stesso pensiero che Gesù esprime con questa figura retorica: «Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra» (vedere cap. XII, nn. 7 e 8 di questa opera).

XI. Delle due l'una: o la morte è la fine di tutto oppure è il passaggio dell'anima in un altro luogo. Se tutto deve finire, la morte è come una di quelle rare notti che passiamo senza sognare e senza coscienza di noi stessi. Ma se la morte è solo un cambiamento di dimora, il passaggio in un altro luogo dove i trapassati devono riunirsi, che felicità sarà incontrare quelli che si sono conosciuti! Il mio più grande piacere sarebbe esaminare da vicino gli abitanti di questo luogo e di distinguervi, come qui, i saggi da quelli che credono di esserlo e non lo sono. Ma è tempo di lasciarci, io per morire e voi per vivere. (Socrate ai suoi giudici)

Secondo Socrate, gli uomini vissuti sulla Terra si ritrovano dopo la morte e si riconoscono. Lo Spiritismo ce li mostra che continuano ad avere i rapporti che ebbero, di modo che la morte non è né un'interruzione né la cessazione della vita, ma una trasformazione.

Se Socrate e Platone avessero conosciuto gli insegnamenti che Gesù diede cinquecento anni dopo, e che gli Spiriti danno oggi, non avrebbero parlato diversamente. In ciò non vi è nulla che possa sorprendere, se si considera che le grandi verità sono eterne e che gli Spiriti progrediti hanno dovuto conoscerle prima di venire sulla Terra, dove le hanno diffuse; che Socrate, Platone e i grandi filosofi dei loro tempi hanno potuto far parte, più tardi, del novero di coloro che hanno assecondato Gesù nella Sua divina missione; che sono stati scelti esattamente per essere più di altri in grado di comprenderne i divini insegnamenti; e che infine possono attualmente far parte della pleiade degli Spiriti incaricati di venire a insegnare agli uomini le stesse verità.

XII. Non si deve mai rendere ingiustizia per ingiustizia né fare del male a chicchessia per quanto male ci abbia fatto. Ciononostante, poche persone accettano questo principio, e quelli che non sono d'accordo non possono che disprezzarsi reciprocamente.

Non è questo forse il principio della carità, che ci insegna a non rendere mai male per male e a perdonare i nostri nemici?

XIII. È dai frutti che si riconosce l'albero. Bisogna giudicare ogni azione per quel che produce: chiamarla malvagia quando ne proviene del male, buona quando ne nasce del bene.

Questa massima: «È dai frutti che si riconosce l'albero» si trova ripetuta più volte nel Vangelo.

XIV. La ricchezza è un grande pericolo. Qualsiasi uomo che ami la ricchezza non ama se stesso né ciò che possiede, ma qualcosa che gli è ancora più estraneo di ciò che gli appartiene (vedere cap. XVI di quest'opera).

XV. Le più belle preghiere e i più bei sacrifici piacciono alla Divinità meno di un'anima virtuosa che si sforzi di assomigliarle. Sarebbe grave se gli dei dessero più importanza alle nostre offerte che alla nostra anima. Se così fosse, i più colpevoli potrebbero propiziarseli. Ma non esistono altri veramente giusti e saggi se non quelli che, con le loro parole e i loro atti, adempiono il loro compito riguardo a ciò che devono agli dei e agli uomini (vedere cap. X, nn. 7 e 8 di quest'opera).

XVI. Io chiamo uomo vizioso colui che ama più il corpo dell'anima. L'amore, che è ovunque nella natura e che ci invita a esercitare la nostra intelligenza, lo si trova persino nel moto degli astri. È l'amore che addobba la natura con i suoi ricchi tappeti, la abbellisce e fissa la sua dimora là dove si trovano fiori e profumi. È ancora l'amore che dà la pace agli uomini, la calma ai mari, il silenzio ai venti e la tregua al dolore.

L'amore che deve unire gli uomini con un legame fraterno è in accordo con questa teoria di Platone sull'amore universale come legge della natura. Socrate, avendo detto che l'amore non è né un dio né un mortale, ma un grande demone», ossia un grande Spirito che presiede l'amore universale, fu per questo imputato di empietà.

XVII. La virtù non può essere insegnata; chi la possiede l'ha ricevuta da Dio come un dono.

È più o meno la dottrina cristiana della grazia. Ma se la virtù è un dono di Dio, è un favore, allora ci si può chiedere perché non venga concessa a tutti. D'altro canto, se è un dono, chi la possiede non ne ha alcun merito. Lo Spiritismo è più esplicito. Dice che colui che la possiede l'ha acquisita con fatica nelle esistenze che si sono precedentemente succedute, spogliandolo man mano delle sue imperfezioni. La grazia è la forza con cui Dio favorisce tutti gli uomini di buona volontà, affinché si spoglino del male e facciano il bene.

XVIII. È una naturale predisposizione di tutti accorgersi più dei difetti degli altri che dei propri.

Il Vangelo dice «Perchéguardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?» (Vedere cap. X, nn. 9 e 10 di quest'opera).

XIX. Se, nella maggior parte dei casi, i medici non ottengono buoni risultati, è perché curano il corpo senza preoccuparsi dell'anima. Infatti, se il tutto non è in buone condizioni, è impossibile che la parte stia bene.

Lo Spiritismo offre la chiave dei rapporti esistenti fra anima e corpo e dimostra che c'è una reazione costante dell'una sull'altro. Apre così una nuova via alla scienza e, mostrandole la vera causa di certe affezioni, le fornisce i mezzi per combatterle. Quando la scienza terrà conto dell'influenza della componente spirituale nell'economia organica, essa scienza registrerà un minor numero di insuccessi.

XX. Tutti gli uomini, fin dall'infanzia, praticano più il male che il bene.

Queste parole di Socrate toccano la grave questione della predominanza del male sulla Terra, questione insolubile senza la conoscenza della pluralità dei mondi e del destino della Terra, dove abita soltanto una piccola parte dell'umanità. Solo lo Spiritismo ne dà la soluzione, che è stata sviluppata qui di seguito, nei capitoli II, III e V.

XXI. C'è della saggezza nel non credere di sapere quanto tu non sai.

Questa massima è rivolta a coloro che criticano ciò di cui sovente non conoscono una parola. Platone completa questo pensiero di Socrate dicendo: «Cerchiamo innanzi tutto, se possibile, di renderli più onesti nelle parole. Altrimenti non preoccupiamoci di loro e cerchiamo solamente la verità. Facciamo in modo di istruirci, ma non pronunciamo ingiurie,. È così che devono agire gli Spiritisti riguardo a coloro che li contraddicono, siano essi in buona o cattiva fede. Se Platone fosse in vita oggi, troverebbe le cose più o meno come ai suoi tempi e potrebbe usare lo stesso linguaggio. Anche Socrate troverebbe delle persone pronte a schernire chi crede negli Spiriti e a trattarlo come un pazzo, cosa che farebbero anche con il suo discepolo Platone.

È per aver professato questi principi che Socrate venne prima beffeggiato, poi accusato di empietà e condannato infine a bere la cicuta. Infatti le nuove grandi verità, andando a urtare interessi e pregiudizi, non possono imporsi senza lotta e senza fare dei martiri.