Istruzioni Degli Spiriti
L'affabilità e la dolcezza
6.
La benevolenza verso i simili, frutto dell'amore per il prossimo,
induce all'affabilità e alla dolcezza che ne sono la manifestazione.
Tuttavia non ci si deve sempre fidare delle apparenze. L'educazione e le
consuetudini mondane possono far vedere solo la vernice di queste
qualità. Quanti ce ne sono la cui finta bonomia non è che una maschera,
un abito il cui taglio ben calcolato dissimula le deformità nascoste! Il
mondo è popolato da gente del genere, che ha il sorriso sulle labbra e
il veleno nel cuore; dolci finché niente li urta, ma che mordono alla minima contrarietà; la cui lingua, dorata quando parlano in faccia, cambia in dardo avvelenato quando parlano alle spalle.
A questa categoria appartengono anche uomini dal fare benevolo che,
tiranni domestici in privato, fanno soffrire la loro famiglia e fanno
pesare sui subalterni il loro orgoglio e il loro dispotismo. Sembra che
vogliano rivalersi dei freni che sono stati loro imposti altrove e che,
non osando comportarsi con autorità con gli estranei, che li
metterebbero subito a posto, vogliano almeno sentirsi temuti da quelli
che non possono rivoltarglisi. La loro vanità gioisce nel poter dire:
«Qui comando io e sono obbedito», senza pensare che potrebbero
aggiungere, a maggior ragione: «E sono detestato».
Non basta
che del latte e del miele scorrano dalle labbra se il cuore non è per
niente puro. È solo ipocrisia. Colui la cui affabilità e dolcezza non
sono finte, non si smentisce mai. È la stessa persona in pubblico e in
privato. D'altra parte si sa bene che, se si ingannano gli uomini con le
apparenze, non si inganna Dio.
(Lazare, Parigi, 1861)
La pazienza
7. Il
dolore è una benedizione che Dio manda solo agli eletti. Non
affliggetevi dunque quando soffrite, ma al contrario benedite Dio
onnipotente che vi ha segnato con il dolore su questo mondo per la
gloria nel Cielo.
Siate pazienti, anche la pazienza è una
carità, e voi dovete praticare la legge della carità insegnata da
Cristo, inviato di Dio. La carità, quella che consiste nell'elemosina
data ai poveri, è la più facile delle carità. Ma ce n'è una ben più
difficile e conseguentemente ben più meritoria, ed è quella di perdonare coloro che Dio ha messo sul nostro cammino per essere gli strumenti delle nostre sofferenze e per mettere la nostra pazienza alla prova.
La vita è difficile, lo so, è fatta di mille piccole cose che sono
punture di spillo che finiscono col ferire. Ma si devono osservare i
doveri che ci vengono imposti, e bisogna tener conto delle consolazioni e
del compenso che avremo come contropartita. Allora noi vedremo che le
benedizioni sono più numerose dei dolori. Quando si guarda in alto, il
fardello sembra meno pesante di quanto non lo sia quando si china la
fronte verso terra.
Coraggio, amici, Cristo è il vostro
modello. Ha sofferto più di uno qualsiasi di voi e non aveva niente da
rimproverarsi, mentre voi, voi dovete espiare il vostro passato e
fortificarvi per l'avvenire. Siate dunque pazienti, siate cristiani,
questa parola comprende tutto.
(Uno Spirito Amico, Le Havre, 1862)
L'obbedienza e la rassegnazione
8. La
dottrina di Gesù insegna ovunque l'obbedienza e la rassegnazione, due
virtù sorelle della dolcezza, molto attive quantunque gli uomini le
confondano, a torto, con la negazione del sentimento e della volontà. L'obbedienza è il consenso della ragione, la rassegnazione è il consenso del cuore. Tutt'e
due sono delle forze attive in quanto portano il fardello delle prove
di cui la ribellione insensata si libera. Il pusillanime non può essere
rassegnato, tanto meno l'orgoglioso e l'egoista possono essere
obbedienti. Gesù è stato l'incarnazione di queste virtù disprezzate
dall'antico materialismo. Egli venne nel momento in cui la società
romana stava rovinando nella fragilità della sua corruzione. Venne a far
brillare, in seno all'umanità frustrata, i trionfi del sacrificio e
della rinuncia alle cose materiali.
Ogni epoca viene così
segnata dalla virtù che deve salvarla o dal vizio che può perderla. La
virtù della vostra generazione è l'attività intellettuale, il suo vizio è
l'indifferenza morale. Io dico solamente attività, in quanto il genio
si eleva improvvisamente e scopre da sé gli orizzonti che i più vedranno
solo dopo, mentre l'attività è l'unione degli sforzi di tutti per
raggiungere uno scopo meno vistoso, ma che dimostra l'alto livello
intellettuale di un'epoca. Assecondate l'impulso che noi stiamo dando ai
vostri Spiriti, obbedite alla grande legge del progresso che è la
parola d'ordine della vostra generazione. Infelice lo Spirito pigro, che
blocca il suo intelletto! Infelice! Perché noi, che siamo le guide
dell'umanità in marcia, noi lo fustigheremo e faremo leva sulla sua
volontà ribelle, nel doppio sforzo del freno e dello sprone. Qualsiasi
resistenza orgogliosa dovrà cedere prima o poi. Ma beati quelli che sono
mansueti, poiché presteranno ascolto con dolcezza agli insegnamenti.
(Lazare, Parigi, 1863)
La collera
9. L'orgoglio
vi porta a credere di essere più di quanto non siate, a non tollerare
un confronto che possa sminuirvi, a vedervi talmente al di sopra dei
vostri fratelli, sia come spirito sia come posizione sociale, sia anche
riguardo a privilegi personali, che il minimo accostamento con altri vi
irrita e vi urta. E che succede allora? Succede che vi lasciate prendere
dalla collera.
Cercate l'origine di questi accessi di
demenza passeggera, che vi assimilano al bruto facendovi perdere il
controllo. Cercate, e troverete quasi sempre che alla base c'è
l'orgoglio umiliato. Non è forse l'orgoglio colpito da una
contraddizione che vi fa rifiutare le osservazioni giuste, che vi fa
respingere con collera i più saggi consigli? L'impazienza stessa,
causata da contrarietà sovente puerili, trae origine dall'importanza
data alla propria persona, di fronte alla quale si crede che ognuno
debba inchinarsi.
Nella sua frenesia, l'uomo collerico accusa
tutto e tutti, dalla natura da lui ritenuta malvagia fino agli oggetti
che manda in frantumi perché non gli obbediscono. Ah! Se in quei momenti
potesse vedersi a sangue freddo, avrebbe paura di se stesso o si
troverebbe ridicolo! Da ciò si può immaginare l'impressione che deve
fare sugli altri. Solo per rispetto verso se stesso, dovrebbe sforzarsi
di vincere una tendenza che lo fa oggetto di pietà.
Se
pensasse che la collera non porta nessun rimedio, che altera la sua
salute, che compromette persino la sua vita, si renderebbe conto che la
prima vittima è proprio lui. Ma, soprattutto, un'altra considerazione
dovrebbe indurlo a moderarsi: il pensiero che egli rende infelici tutti
quelli che gli stanno attorno. Se ha del cuore, non prova rimorso nel
far soffrire quelli che di più ama? E quale rimpianto mortale se, in un
accesso di collera, commettesse un'azione che dovesse rimproverarsi per
tutta la vita!
Insomma, la collera non esclude certe qualità
di cuore, ma impedisce di compiere il bene, può far commettere molto
male, e questo dovrebbe bastare per impegnarsi a dominarla. Lo
Spiritista è inoltre sollecitato a dominarsi da un altro motivo: la
collera è contraria alla carità e all'umiltà cristiana.
(Uno Spirito Protettore, Bordeaux, 1863)
10.
Secondo l'errata opinione che non si può cambiare la propria natura,
l'uomo si ritiene dispensato dallo sforzarsi di correggere i suoi
difetti, di cui volentieri si compiace e che comporterebbero troppa
perseveranza. È così, per esempio, che l'uomo incline alla collera trova
quasi sempre delle attenuanti al suo temperamento. Piuttosto che
ammettere di essere colpevole, fa ricadere la colpa sulla sua natura,
accusando così indirettamente Dio delle sue malefatte. È, ancora una
volta, una conseguenza dell'orgoglio, che si trova mischiato con tutte
le sue imperfezioni.
È fuor di dubbio che ci sono
temperamenti che si abbandonano più di altri ad atti violenti, come ci
sono muscoli più duttili che meglio si prestano ai tours de force. Ma
non crediate che consista in ciò la causa principale della collera e
convincetevi che uno Spirito mite, anche se si trovasse in un corpo
bilioso, sarà sempre mite, e che uno Spirito violento, in un corpo
debole, non per questo sarà più dolce. Ma la violenza si manifesterà
diversamente: non avendo un organismo adatto ad assecondare i suoi
impulsi, la collera rimarrà concentrata, mentre nel caso contrario si
espanderà.
Non è il corpo a dare la collera a chi non ce
l'ha, così come non è il corpo a dargli tutti gli altri vizi. Tutte le
virtù e tutti i vizi sono inerenti allo Spirito. Senza ciò dove starebbe
il merito e la responsabilità? L'uomo menomato non può raddrizzarsi
perché lo Spirito nulla può per questo, ma può modificare ciò che è
dello Spirito, quando c'è una ferma volontà. L'esperienza non prova
forse, Spiritisti, fin dove può giungere la potenza della volontà,
attraverso le trasformazioni veramente miracolose che voi sapete
operare? Dite dunque a voi stessi che l'uomo resta vizioso solo perché vuole restarvi. Ma colui che lo vuole può sempre correggersi, altrimenti la legge del progresso non esisterebbe per l'uomo.
(Hahnemann, Parigi, 1863)