IL CIELO E L'INFERNO OVVERO LA GIUSTIZIA SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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IL CIELO E L'INFERNO OVVERO LA GIUSTIZIA SECONDO LO SPIRITISMO

IL CIELO E L'INFERNO 
owero 
La giustizia divina secando lo Spiritismo 

Esame comparato delle dottrine 
sul passaggio dalla vita corporea alla vita spirituale, 
sulle pene e ricompense future, sugli angeli e sui demoni, sulle pene eterne ecc., 
seguito da numerosi esempi circa la situazione reale dell'anima durante e dopo la morte. 

di 
ALLAN KARDEC 

Autore de II libro degli Spiriti 


"Com'e vero che io vivo", dice Dio il Signore, "io non mi compiaccio della morte dell'empio, ma che I' em pio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie!" (Ezechiele 33:11)



Prefazione [1]


Il titolo di quest'opera indica chiaramente il suo oggetto. Abbiamo raccolto qui tutti gli elementi capaci di chiarire all'uomo il suo destino. Come in altri nostri scritti sulla dottrina spiritista, non abbiamo messo qui nulla che sia il prodotto di un sistema preconcetto o di un'altra concezione personale che non avrebbe autorità: tutto qui è dedotto dall'osservazione e dall'accordo dei fatti.

Il Libro degli Spiriti contiene le basi fondamentali dello spiritismo; è la pietra angolare dell'edificio; vi sono posti tutti i principi della dottrina, anche quelli che devono servire da coronamento; ma era necessario dare i suoi sviluppi, dedurre da lì tutte le conseguenze e tutte le applicazioni, come si dispiegavano dall'insegnamento complementare degli Spiriti e da nuove osservazioni; questo è quello che abbiamo fatto nel Il Libro dei Medium e nel Vangelo Secondo lo Spiritismo da punti di vista speciali; è quello che facciamo in questo lavoro, da un altro punto di vista, ed è quello che faremo successivamente in quelli che ci restano da pubblicare, e che verranno nel tempo.

Le nuove idee non danno frutti se la terra non è pronta a riceverle; ora, per questa terra preparata, non si devono comprendere alcune prime intelligenze che porterebbero solo frutti isolati, ma un certo insieme nella predisposizione generale, così che, non solo porterà frutti più abbondanti, ma che l'idea, trovando punti di appoggio più numerosi, provocano meno opposizione e sii più forte per resistere ai suoi antagonisti. Il Vangelo Secondo lo Spiritismo era già un passo avanti; Il Cielo e L’Inferno è un altro passo, la cui portata sarà facilmente compresa, poiché tocca il cuore di alcune questioni, ma non dovrebbe arrivare prima.

Se consideriamo il tempo in cui apparve lo spiritismo, si riconosce facilmente che è arrivato in modo tempestivo, né troppo presto né troppo tardi; prima avrebbe abortito, perché, senza godere di sufficienti simpatie, avrebbe ceduto ai colpi dei suoi avversari; in seguito avrebbe perso l'occasione favorevole per produrre; le idee avrebbero potuto prendere un altro corso dal quale sarebbe stato difficile dirottarle. Era necessario lasciare il tempo affinché le vecchie idee si consumassero e dimostrassero la loro insufficienza, prima di presentarne di nuove.

Le idee premature falliscono, perché non sei abbastanza maturo per capirle e il bisogno di un cambiamento di posizione non è ancora sentito. Oggi è evidente a tutti che c'è un enorme movimento di opinione; c'è una formidabile reazione nella direzione progressiva contro lo spirito stazionario o retrogrado della routine; i soddisfatti del giorno precedente sono quelli impazienti del giorno successivo. L'umanità è in travaglio; c'è qualcosa, una forza irresistibile che lo spinge in avanti; è come un giovane uscito dall'adolescenza che vede nuovi orizzonti senza definirli e si libera delle tasche dell'infanzia. Qualcosa di meglio è desiderato, cibi più solidi per ragione; ma la cosa migliore rimane vaga; è cercato; tutti si dedicano a questo, dal credente al non credente, dal contadino allo scienziato. L'universo è un vasto cantiere; alcuni demoliscono, altri ricostruiscono; ciascuno scolpisce una pietra per il nuovo edificio il cui progetto definitivo solo il grande architetto ha, e la cui economia sarà compresa solo quando le sue forme cominceranno a essere disegnate dal suolo. Fu quel momento che la saggezza sovrana scelse per l'avvento dello spiritismo.

Gli Spiriti che presiedono al grande movimento rigenerativo agiscono quindi con più saggezza e lungimiranza di quanto possano fare gli uomini, perché contemplano il corso generale degli eventi, mentre noi vediamo solo il circolo limitato del nostro orizzonte. Essendo arrivati i tempi del rinnovamento, secondo i decreti divini, era necessario che, in mezzo alle rovine del vecchio edificio, l'uomo, per non vacillare, potesse vedere le fondamenta del nuovo ordine delle cose; era necessario che il marinaio potesse distinguere la stella polare che doveva guidarlo al porto.

La saggezza degli spiriti che è stata mostrata nell'emergere dello spiritismo, rivelato quasi istantaneamente in tutto il paese, nel tempo più propizio, non è meno evidente nell'ordine logico e nella gradazione delle successive rivelazioni complementari. Non spetta a nessuno costringere la propria volontà a questo riguardo, poiché non misurano i loro insegnamenti in base al grado di impazienza degli uomini. Non ci basta dire: "Vorremmo avere una cosa simile", perché ci sia data; ed è ancora meno conveniente per noi dire a Dio: “Crediamo che sia giunto il momento per te di darci una cosa del genere; pensiamo di essere abbastanza avanzati per riceverlo; ", come sarebbe dirgli:" Sappiamo meglio di te cosa dovrebbe essere fatto. " All'impazienza, gli Spiriti rispondono: “Inizia prima conoscendo bene, comprendendo bene e soprattutto praticando bene ciò che sai, affinché Dio ti giudichi degno di saperne di più; in seguito, quando sarà il momento, potremo agire e scegliere i nostri strumenti ".

La prima parte di questo lavoro, intitolata Dottrina, contiene un esame comparativo delle varie dottrine su paradiso e inferno, angeli e demoni, pene e ricompense future; il dogma delle pene eterne è qui visto in modo speciale, e smentito da argomenti tratti dalle stesse leggi della natura, che ne dimostrano, non solo il lato illogico, già sottolineato cento volte, ma l'impossibilità materiale. Con le pene eterne, scompaiono naturalmente le conseguenze che si credeva di poter trarre da lì.

La seconda parte contiene numerosi esempi a sostegno della teoria, o meglio, che servivano a stabilire la teoria. Devono la loro autorità alla diversità dei tempi e dei luoghi in cui sono stati ottenuti, perché se provenissero da un'unica fonte, li si potrebbe vedere come il prodotto della stessa influenza; lo devono, inoltre, al loro accordo con quanto si ottiene ogni giorno ovunque ci sia dedizione alle manifestazioni spiritiche da un punto di vista serio e filosofico. Questi esempi avrebbero potuto essere moltiplicati all'infinito, poiché non esiste centro spiritista che non possa fornirne un contingente significativo. Per evitare noiose ripetizioni, dobbiamo fare una scelta tra le più istruttive. Ognuno di questi esempi è uno studio, in cui tutte le parole hanno la loro portata per chiunque le mediti attentamente, poiché da ogni punto una luce brilla sulla situazione dell'anima dopo la morte, e il passaggio, finora così oscuro e così temuto, dalla vita corporea alla vita spirituale. È la guida del viaggiatore prima di entrare in un nuovo paese. La vita dall'oltretomba vi si svolge in tutti i suoi aspetti, come un vasto panorama; ognuno trarrà nuove ragioni di speranza e conforto e nuovo sostegno per rafforzare la propria fede nel futuro e nella giustizia di Dio.

In questi esempi, presi principalmente da fatti contemporanei, nascondiamo nomi propri ogni volta che lo troviamo utile, per ragioni di comodità facilmente apprezzabili. Coloro che potrebbero interessare questi esempi ti riconosceranno facilmente; al pubblico nomi più o meno noti e talvolta molto oscuri non avrebbero aggiunto nulla al istruzioni che possono essere tratte da lì.

Gli stessi motivi che ci hanno fatto omettere i nomi dei medium nel Vangelo Secondo lo Spiritismo, ci hanno fatto astenerci dal nominarli in quest'opera, fatta per il futuro ancor più che per il presente. Sono tanto meno importanti in quanto non potrebbero essere accreditati con qualcosa per cui il loro spirito non ha partecipato con nulla. La medianità, inoltre, non è concessa a questo o quell'individuo; è una facoltà fuggitiva, subordinata alla volontà degli Spiriti che vogliono comunicare, che è posseduta oggi e che può essere assente il giorno dopo, che non è mai applicabile a tutti gli Spiriti indistintamente, e, quindi, non costituisce un merito come talento acquisito attraverso il lavoro e gli sforzi dell'intelligenza. I medium sinceri, coloro che comprendono la gravità della loro missione, si considerano strumenti che la volontà di Dio può distruggere quando vogliono, se non agiscono secondo i loro disegni; si rallegrano di una facoltà che permette loro di diventare utili, ma non traggono vanità. In effetti, su questo punto ci conformiamo ai consigli dei nostri spiriti guida.

La Provvidenza ha voluto che la nuova rivelazione non fosse privilegio di nessuno, ma che avesse organi in tutto il paese, in tutte le famiglie, tra i grandi come tra i piccoli, secondo queste parole di cui i medium del nostro tempo sono la realizzazione: " In tempi recenti, ha detto il Signore, spanderò il mio Spirito su ogni carne; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno; i tuoi giovani avranno visioni e i tuoi anziani avranno sogni. In quei giorni, spanderò il mio Spirito sui miei uomini e sulle mie donne, e profetizzeranno ". (Atti, cap. II, v. 17, 18.)

Ma è anche detto: "Ci saranno falsi cristi e falsi profeti". (Vedi il Vangelo Secondo lo Spiritismo, cap. XXI.)

Ora sono arrivati questi ultimi tempi; non è la fine del mondo materiale, come si credeva, ma la fine del mondo morale, cioè l'era della rigenerazione.
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[1] Sebbene nell'originale della quarta edizione francese, del 1869, questa prefazione non compaia, abbiamo scelto di tradurre ciò che appare nella prima edizione, del 1865, e di inserirlo qui. (Nota del team di revisione)



PARTE PRIMA - DOTTRINA



Capitolo I - IL FUTURO E IL NULLA

1. Noi viviamo, pensiamo e agiamo; ecco ciò che è positivo. E che fioriremo non è meno certo. Ma, lasciando la Terra, dove andiamo? Che cosa diventiamo dopo la morte? Staremo meglio o peggio? Esisteremo o non esisteremo? Essere o non essere questa l'alternativa. O sempre o mai. O tutto o niente: o vivremo eternamente o tutto sarà finito per sempre. Su tutto ciò sarà bene riflettere.

Ogni uomo sperimenta la necessità di vivere, di gioire, di amare, di essere felice. Provate a dire a uno, che sappia di essere sul punto di morire, che vivrà ancora, che la sua ora non è ancora scoccata; ma ditegli, soprattutto, ch'egli sarà più felice di quanto sia mai stato, e il suo cuore allora palpiterà di gioia.

Ma a che servirebbero queste aspirazioni di felicità se un soffio potrebbe farle svanire?

C'è forse qualcosa di più desolante di questo pensiero della distruzione assoluta? Affetti cari, intelligenza, progresso, scienza laboriosamente acquisita, tutto sarebbe annientato, tutto andrebbe perduto! Quale necessità ci sarebbe di sforzarci a divenire migliori, quale necessità ci costringerebbe a reprimere le nostre passioni, ad affaticarci, per elevare il nostro spirito, se non dobbiamo raccoglierne alcun frutto, soprattutto con questo pensiero per cui domani, forse, ciò non servirà più a niente? Se così fosse, la sorte dell'uomo sarebbe cento volte peggiore di quella del bruto, perché il bruto vive completamente nel presente, nella soddisfazione dei suoi appetiti materiali, senza alcuna aspirazione per il futuro. Una segreta intuizione ci dice però che ciò non è possibile.

2. Non credendo che nel nulla, l'uomo concentra necessariamente tutti i suoi pensieri sulla vita presente. In effetti, non potrebbe logicamente preoccuparsi di un avvenire che egli non si attende. Questa esclusiva preoccupazione del presente lo porta naturalmente a pensare prima di tutto a sé stesso; è questo dunque il più potente stimolo dell'egoismo, e il non credente è coerente con questo stesso principio quando arriva a questa conclusione: godiamo fintantoché siamo qui; godiamo il più possibile, poiché dopo di noi tutto è fini to; godiamo in fretta, poiché non sappiamo quanto questo durerà. Oppure quando arriva a quest'altra conclusione, ben altrimenti grave per la società: godiamo in qualsiasi modo; ciascuno per sé; la felicità, su questa Terra, è del più scaltro.

Se il rispetto umano ne trattiene alcuni, quale freno possono avere coloro che non temono nulla? Costoro dichiarano che le leggi umane non riguardano che gli inetti; è per questo che impiegano tutto il loro ingegno nel mezzo migliore per eluderle. Se c'è una dottrina insana e antisociale, di sicuro è quella del nichilismo, perché rompe i veri legami della solidarietà e della fraternità, su cui si fondano i rapporti sociali.

3. Supponiamo che, per una qualsiasi circostanza, un intero popolo acquisisca la certezza che in otto giorni, in un mese, o se vogliamo in un anno, esso sarà annientato, che non un solo individuo sopravviverà, che di esso non resterà più alcuna traccia dopo la morte. Che farà questo popolo durante questo tempo di attesa?

Si impegnerà per il suo miglioramento, per la sua istruzione? Si affaticherà per vivere? Rispetterà i diritti, i beni, la vita dei suoi simili? Si sottometterà alle leggi, a un'autorità, qual si voglia, anche la più legittima, cioè all'autorità paterna? Ci sarà per lui un qualsiasi dovere? Certamente no.

Ebbene, ciò che non accade in massa, viene realizzato dalla dottrina del nichilismo, ogni giorno, isolatamente, individualmente. E se le conseguenze non sono poi così disastrose come potrebbero esserlo, è in primo luogo perché, nella maggior parte dei non credenti, c'è più millanteria che vera e propria miscredenza, più dubbio che convinzione; e perché essi hanno paura del niente più di quanto non vogliano far sembrare: l'appellativo di spirito forte lusinga il loro amor proprio; in secondo luogo, perché i non credenti assoluti sono in grandissima minoranza; essi subiscono, loro malgrado, l'influenza dell'opinione contraria e sono sostenuti da una forza materiale. Ma qualora la miscredenza assoluta diventasse un giorno l'opinione della maggioranza, la società entrerebbe in dissoluzione. È a questo che tende la diffusione della dottrina del nichilismo. [1]

Quali che siano le conseguenze, qualora il nichilismo s'imponesse come una verità, bisognerebbe accettarlo. E né i sistemi contrari né il pensiero del male che ne conseguirebbe potrebbero ostacolarne l'esistenza. Ora, non bisogna nasconderci che lo scetticismo, il dubbio e l'indifferenza guadagnano terreno ogni giorno, nonostante gli sforzi della religione; ma questo è positivo. Se la religione si dimostra impotente nei confronti della miscredenza, è perché le manca qualcosa per combatterla, dimodoché se essa si condannasse all'immobilità, in un determinato momento si troverebbe infallibilmente sopraffatta. Ciò che le manca in questo secolo di positivismo, in cui si cerca di comprendere prima di credere, è senza dubbio la convalida delle sue dottrine attraverso fatti positivi; e così pure la concordanza di certe dottrine con i dati positivi della Scienza. Se essa dice bianco e se i fatti dicono nero, bisogna optare tra l'evidenza e la fede cieca.

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[1] Un giovane di diciotto anni era affetto da una malattia cardiaca dichiarata incurabile. La Scienza aveva così sentenziato: "Egli potrebbe morire entro otto giorni, come entro due anni, ma non andrà oltre". Il giovane venne a conoscenza di ciò. Subito abbandona gli studi e si dà a eccessi d'ogni genere. Allorché gli si fa presente come una vita di disordini sia pericolosa nelle sue condizioni, egli risponde: "Che m'importa, dal momento che non ho che due anni da vivere? A che mi servirebbe affaticare l'animo con le rinunce? Godo del poco tempo che mi resta e cerco di divertirmi fino all'ultimo". Ecco la conseguenza del nichilismo.

Se questo giovane fosse stato spiritista, avrebbe detto: "La morte distruggerà solo il mio corpo, che io lascerò come un abito usato, ma il mio Spirito vivrà sempre. Io sarò, nella mia vita futura, ciò che avrei fatto di me stesso in questa vita. Niente di quello che in essa potrei acquisire riguardo a qualità morali e intellettuali andrà perduto, perché ciò sarà tanto di guadagnato per il mio avanzamento; ogni imperfezione di cui mi libererò sarà un passo in più verso la felicità. La mia felicità o infelici a venire dipendono dall'utilità o dall'inutilità della mia presente esistenza. È dunque mio interesse mettere a profitto il poco tempo che mi resta ed evitare tutto ciò che potrebbe diminuire le mie forze".

Quale di queste due dottrine è preferibile?
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4. È in queste circostanze che lo Spiritismo viene a opporre una diga alla diffusione della miscredenza, non solo attraverso la razionalità, non solo attraverso la prospettiva dei pericoli ch'essa comporta, ma attraverso i fatti materiali, rendendo visibili e tangibili l'anima e la vita futura.

Ognuno è senza dubbio libero nella scelta delle sue credenze, libero di credere in qualcosa o di non credere in nulla. Ma coloro che cercano di far prevalere nello spirito delle masse, della gioventù soprattutto, la negazione del futuro, ricorrendo all'autorità del loro sapere e all'influenza della loro posizione, seminano nella società germi di perturbazione e di dissoluzione, incorrendo in una grande responsabilità.

5. C'è un'altra dottrina che cerca di preservarsi dall'imputazione di essere materialista — poiché ammette l'esistenza di un principio intelligente al di fuori della materia — ed è quella dell'assorbimento nel Tutto Universale. Secondo questa dottrina, ogni individuo assimila, al momento di nascere, una particella di questo principio, la quale costituisce la sua anima e le dà vita, intelligenza e sentimento. Alla morte, quest'anima ritorna al punto di origine comune e si disperde nell'infinito, come una goccia d'acqua nell'oceano.

Questa dottrina è senza dubbio un passo avanti sul materialismo puro, poiché qualcosa ammette, mentre l'altra non ammette nulla. Ma le conseguenze sono esattamente le stesse. Che l'uomo sia immerso nel nulla o nel serbatoio comune, è per lui la medesima cosa; se nel primo caso egli è annichilito, nel secondo egli perde la sua individualità; è, perciò, come se non esistesse; non per questo i rapporti sociali cessano di rompersi, e per sempre.

L'essenziale, per lui, è la conservazione del suo io; senza ciò, che gli importa di essere o non essere? Il futuro gli si presenta sempre nullo; è la vita presente la sola cosa che gli interessi e lo preoccupi. Dal punto di vista delle conseguenze morali, poi, questa dottrina è così insensata, così disperante che istiga all'egoismo tanto quanto il materialismo propriamente detto.

6. Si può fare, inoltre, la seguente obiezione: tutte le gocce d'acqua attinte nell'oceano si assomigliano e hanno proprietà identiche, come le parti di un medesimo tutto; perché allora le anime, se esse sono prese nel grande oceano dell'intelligenza universale, si assomigliano così poco? Perché la genialità accanto alla stupidità? Le virtù più eccelse accanto ai vizi più ignobili? La bontà, la dolcezza, la pazienza accanto alla malvagità, alla crudeltà, alla barbarie? Come mai le parti di un tutto omogeneo possono essere così diverse le une dalle altre? Si dirà forse che è l'educazione che le modifica? Ma allora da dove vengono le qualità innate, le intelligenze precoci, gli istinti buoni e gli istinti cattivi, indipendenti da ogni educazione e, spesso, assai poco in armonia con l'ambiente in cui si sviluppano?

L'educazione, senza alcun dubbio, modifica le qualità intellettuali e morali dell'anima; ma qui si presenta un'altra difficoltà. Chi dà all'anima l'educazione per farla progredire? Altre anime che, per la loro comune origine, non devono più essere migliorate. Oltre a ciò l'anima, rientrando nel Tutto Universale da cui era sortita, dopo aver progredito durante la vita, vi apporta un elemento più perfetto. Da ciò consegue che questo Tutto deve, a lungo andare, trovarsi profondamente modificato e migliorato. Come accade allora che da questo Tutto escano incessantemente delle anime ignoranti e perverse?

7. In questa dottrina, la sorgente universale d'intelligenza che rifornisce le anime umane è indipendente dalla Divinità. Questo non è precisamente il panteismo. Il panteismo propriamente detto se ne differenzia in quanto esso considera il principio universale della vita e dell'intelligenza come costituenti la Divinità. Dio è allo stesso tempo spirito e materia. Tutti gli esseri, tutti i corpi della natura compongono la Divinità, di cui essi sono le molecole e gli elementi costitutivi. Dio è l'insieme di tutte le intelligenze riunite; ogni individuo, essendo una parte del Tutto, è lui stesso Dio; nessun essere superiore e indipendente è al comando dell'insieme. L'Universo è una immensa repubblica senza un capo, o piuttosto una repubblica dove ognuno è un capo con potere assoluto.

8. A questo sistema si possono opporre numerose obiezioni; le principali sono queste: non potendosi concepire la Divinità senza un'infinita perfezione, ci si domanda come un tutto perfetto possa essere formato da parti tanto imperfette e che abbiano bisogno di progredire. Essendo ogni parte sottoposta alla legge del progresso, ne risulta che Dio, Lui stesso, deve progredire; e se Egli progredisce incessantemente, all'origine dei tempi, ha dovuto essere ben imperfetto. Come un essere imperfetto, formato da volontà e idee così divergenti, ha potuto concepire le leggi così armoniose, così mirabili per unità, saggezza e previdenza, che reggono l'Universo? Se tutte le anime sono porzioni della Divinità, tutte hanno concorso alle leggi della Natura. Come si spiega allora che esse protestino incessantemente contro queste leggi, che sono opera loro? Una teoria non può essere accettata come vera se non alla condizione di soddisfare la ragione e di dar conto di tutti i fatti che essa abbraccia. Se un solo fatto la smentisce è perché essa non contiene la verità assoluta.

9. Dal punto di vista morale, le conseguenze sono anch'esse illogiche. C’è innanzi tutto per le anime, come nel sistema precedente, l'assorbimento in un tutto e la perdita dell'individualità. Se si ammette, secondo l'opinione di qualche panteista, che esse conservano la loro individualità, Dio non ha più una volontà unica, ma è un composto di miriadi di volontà divergenti. Inoltre, essendo ogni anima parte integrante della Divinità, nessuna è dominata da una potenza superiore; di conseguenza, non incorre in alcuna responsabilità per i suoi atti, buoni o cattivi che siano. L'anima non ha nessun interesse a fare il bene e può fare il male impunemente, poiché è padrona sovrana.

10. Oltre al fatto che questi sistemi non soddisfano né la ragione né l'aspirazione umana, ci si scontra, come ben si vede, con delle difficoltà insormontabili, poiché essi sono impotenti a risolvere tutte le questioni di fatto che sollevano. L'uomo ha dunque tre alternative: il nulla, l'assorbimento o l'individualità dell'anima prima e dopo la morte. È a questa ultima credenza che ci riconduce invincibilmente la logica; e questa credenza è anche quella che ha costituito la base di tutte le religioni dacché il mondo esiste.

Se la logica ci conduce all'individualità dell'anima, essa ci conduce anche a quest'altra conseguenza: che la sorte di ogni anima, cioè, deve dipendere dalle sue qualità personali. Sarebbe infatti irrazionale ammettere che l'anima sottosviluppata del selvaggio o quella dell'uomo perverso fossero al medesimo livello di quella del saggio o dell'uomo dabbene. Secondo i principi della giustizia, le anime devono avere la responsabilità dei loro atti; ma, perché esse siano responsabili, è necessario che siano libere di scegliere trai l bene e il male. Sanza libero arbitrio, ci sarebbe fatalità, e con la fatalità non potrebbe esserci la responsabilità.

11. Tutte le religioni hanno egualmente ammesso il principio della sorte felice o infelice delle anime dopo la morte, principio altrimenti detto delle pene o delle gioie future, che si riassumono nella dottrina del cielo e dell'inferno, dottrina che si incontra dappertutto. Ma ciò su cui esse essenzialmente è sulla natura di queste pene e di queste gioie e, soprattutto, sulle condizioni che possono meritare le une e le altre. Da qui, posizioni di fede contraddittorie, che hanno dato origine ai differenti culti, e, da qui, i doveri particolari imposti da ciascuno di essi per onorare Dio e raggiungere il cielo ed evitare l'inferno.

12. Tutte le religioni hanno dovuto, alla loro origine, relazionarsi con il grado di avanzamento morale e intellettuale degli uomini. Costoro, ancora troppo materialistici per comprendere il valore delle cose puramente spirituali, hanno fatto consistere la maggior parte dei doveri religiosi nell'adempimento di forme esteriori. Per un certo tempo, queste forme hanno soddisfatto la loro ragione; più tardi, facendosi luce nel loro spirito, essi avvertono la vacuità che le formule lasciano dietro di sé, e se la religione non colma tale vuoto essi abbandonano la religione e diventano filosofi.

13. Se la religione, adattatasi, in principio. alle limitate cognizioni degli uomini, avesse sempre seguito il movimento progressivo dello spirito umano, non ci sarebbero affatto dei non credenti, dal momento che è nella natura stessa dell'uomo aver bisogno di credere; ed egli crederà se gli si darà un nutrimento spirituale in armonia con i suoi bisogni intellettuali.

L'uomo vuole sapere da dove viene e dove va. Se gli si indica un fine che non risponde né alle sue aspirazioni né all'idea ch'egli si è fatta di Dio, né ai dati positivi che gli fornisce la Scienza; se, inoltre, gli si impongono, per raggiungere quel fine, delle condizioni di cui la sua ragione non gli mostra l'utilità, egli allora respinge tutto. Il materialismo e il panteismo gli sembrano più razionali, perché qui si discute e si ragiona; si ragiona falsamente, è vero, ma egli preferisce ragionare falsamente piuttosto che non ragionare affatto.

Ma qualora gli si indichi un futuro dalle condizioni logiche, del tutto degno della grandezza, della giustizia e dell'infinita bontà di Dio, allora egli abbandonerà il materialismo e il panteismo, di cui avverte il vuoto nel proprio intimo e che aveva accettato solo in mancanza di una migliore credenza. Lo Spiritismo dà qualcosa di meglio, ed è per questo che è accolto con sollecitudine da tutti coloro che sono tormentati dall'incertezza bruciante del dubbio, e che non trovano né nelle credenze né nelle filosofie ordinarie ciò che cercano. Lo Spiritismo ha per l'uomo la logica del ragionamento e la conferma dei fatti. È per questo che lo si è inutilmente combattuto.

14. Istintivamente l'uomo crede nel futuro; ma, non avendo egli finora avuto alcuna base certa per definirlo, è intervenuto allora con la sua fantasia, la quale ha creato i sistemi che hanno originato la diversità delle credenze. La Dottrina Spiritista non essendo affatto un'opera di fantasia più o meno ingegnosamente architettata, ma il risultato dell'osservazione dei fatti materiali che si svolgono oggi sotto i nostri occhi raccoglierà sul futuro, come già sta facendo ora, le opinioni divergenti o fluttuanti, e porterà a poco a poco, e attraverso la forza delle cose, l'unità della credenza su questo punto, credenza che non sarà più basata su una ipotesi, ma, su una certezza. L'unificazione, fatta relativamente alla sorte futura delle anime, sarà il primo punto di contatto tra i differenti culti, un passo smisurato verso la tolleranza religiosa in primo luogo e, più tardi, verso la completa fusione.




Capitolo II - PAURA DELLA MORTE



Cause della paura della morte

1. L'uomo, a qualsiasi livello della scala sociale egli appartenga, fin dallo stato selvaggio, ha il sentimento innato del futuro. La sua intuizione gli dice che la morte non è l'ultima fase dell'esistenza, e che quelli che noi rimpiangiamo non sono perduti irrimediabilmente. La credenza nel futuro è intuitiva e infinitamente più generalizzata della credenza nel nulla. Come si spiega allora che, fra coloro che credono nell'immortalità dell'anima, si incontrino ancora sia un così forte attaccamento alle cose della Terra sia una così grande paura della morte?

2. La paura della morte è un effetto della saggezza della Provvidenza e una conseguenza dell'istinto di conservazione comune a tutti gli esseri viventi. Essa è necessaria fintanto che l'uomo non sia sufficientemente illuminato sulle condizioni della vita futura come contrappeso alla tendenza che, senza questo freno, lo porterebbe ad abbandonare prematuramente la vita terrena e a trascurare il lavoro su questa Terra, che deve invece servire al proprio avanzamento.

È per questo che, presso i popoli primitivi, il futuro non è che una vaga intuizione, più tardi una semplice speranza, ancor più tardi, infine, una certezza, ma ancora controbilanciata da un segreto attaccamento alla vita corporea.

3. Nella misura in cui l'uomo comprende meglio la vita futura, la paura della morte diminuisce; ma, nel medesimo tempo, comprendendo meglio la sua missione terrena, egli attende la sua fine con più calma, con più rassegnazione e senza timore. La certezza della vita futura dà un altro corso alle sue idee, un altro scopo ai suoi impegni terreni. Prima di questa certezza, egli lavora solo per la vita attuale; con questa certezza, egli lavora in vista del futuro senza tuttavia trascurare il presente, poiché sa che il suo futuro dipende dalla direzione più o meno buona ch'egli imprime al presente. La certezza di ritrovare dopo la morte i suoi amici, di continuare i rapporti che ha avuto sulla Terra, di non perdere i frutti di alcun lavoro, di progredire incessantemente in intelligenza e perfezione, gli danno la pazienza di attendere e il coraggio di sopportare le fatiche transitorie della vita terrena. La solidarietà, ch'egli vede stabilirsi tra i morti e i vivi, gli fa comprendere la solidarietà che deve esistere tra i vivi; la fraternità ha perciò la sua ragion d'essere; la carità uno scopo nel presente e nel futuro.

4. Per liberarsi dalle paure della morte, bisogna poter considerare questa sotto il suo vero punto di vista, vale a dire esser penetrati con il pensiero nel mondo spirituale ed essersene fatti un'idea quanto più esatta possibile. Ciò denota da parte dello Spirito incarnato una certa evoluzione e una certa attitudine a liberarsi dalla materia. Presso coloro che non sono sufficientemente avanzati, la vita materiale prevale ancora sulla vita spirituale.

Attaccandosi alle apparenze, l'uomo non vede la vita che nel suo corpo, mentre la vita reale è nell'anima. Quando il corpo viene privato della vita, ai suoi occhi tutto è perduto, ed egli se ne dispera. Se, invece di concentrare il suo pensiero sul rivestimento esteriore, egli lo spostasse sull'origine stessa della vita, sull'anima che è l'essere reale che sopravvive a tutto, egli rimpiangerebbe meno il corpo, fonte di miserie e dolori. Ma, per questo, è necessaria una forza che lo Spirito non acquisisce che con la maturità.

La paura della morte nasce dunque dall'insufficienza delle nozioni sulla vita futura. Ma essa denota il bisogno di vivere e la paura che la distruzione del corpo non sia la fine di tutto. La paura è anche provocata dal segreto desiderio della sopravvivenza dell'anima, ancora offuscato dall'incertezza.

La paura si affievolisce nella misura in cui aumenta la certezza e scompare quando la certezza è completa.

Ecco il lato provvidenziale della questione. Sarebbe saggio, però, non abbagliare l'uomo la cui ragione non fosse ancora abbastanza forte da sopportare la prospettiva troppo positiva e seducente di un futuro che gli potesse far trascurare il presente, necessario al suo avanzamento materiale e intellettuale.

5. Questo stato di cose è mantenuto e prolungato da cause puramente umane, che spariranno con il progresso. La prima di queste di cause è l'aspetto con cui viene presentata la vita futura, aspetto che potrebbe bastare a intelligenze poco avanzate, ma che non potrebbe soddisfare le esigenze della ragione degli uomini che meditano. "Dal momento — dicono questi — che principi, contestati dalla logica e dai dati positivi della Scienza, ci vengono presentati come verità assolute, significa che essi non sono delle verità." Da qui, presso alcuni, l'incredulità e, presso un gran numero, una credenza adombrata dal dubbio. La vita futura è per loro un'idea vaga, una probabilità piuttosto che una certezza assoluta; essi vi credono, essi vorrebbero che così fosse e, malgrado ciò, esclamano: "Se, tuttavia, così non fosse?! Il presente è positivo, occupiamocene subito; il futuro verrà a sua volta".

"E poi — aggiungono — che cos'è, in definitiva, questa anima? Un punto, un atomo, una scintilla, una fiamma? Come la si sente? Come la si vede? Come la si percepisce?" L'anima per loro non è affatto una realtà effettiva: è un'astrazione. Gli esseri che sono loro cari, ridotti nel loro pensiero allo stato di atomi, sono per essi come perduti e non hanno più ai loro occhi quelle qualità per le quali si erano resi amabili. Essi non comprendono né l'amore di una scintilla, né quello che si può provare per lei, ed essi stessi sono mediocremente soddisfatti d'essere trasformati in monadi. Da qui il ritorno al positivismo della vita terrena, che possiede qualcosa di più sostanziale Considerevole è il numero di coloro che sono dominati da questo pensiero.

6. Un'altra ragione, che lega alle cose terrene quegli stessi che moltofermamente credono alla vita futura, attiene all'impressione che essi conservano dall'insegnamento che, al riguardo, è stato loro impartito fin dall'infanzia.

Il quadro che della vita futura fa la religione — bisogna convenirne — non è né particolarmente seducente né particolarmente consolante. Da un lato, vi si vedono le contorsioni dei dannati che espiano in torture e fiamme senza fine i loro errori di un istante. Per costoro i secoli si succedono ai secoli, senza la speranza né di un'attenuazione delle pene né di alcuna pietà; e, cosa che è ancora più atroce, per costoro il patimento è senza efficacia. Dall'altro lato, le anime languenti e sofferenti del purgatorio attendono la loro liberazione attraverso il buon cuore dei vivi, che pregheranno o faranno pregare per loro, e non attraverso i loro stessi sforzi, per il proprio progresso. Queste due categorie compongono l'immensa maggioranza della popolazione dell'altro mondo. Al disopra si libra quella moltitudine molto limitata degli eletti, che godono per l'eternità d'una beatitudine contemplativa. Questa eterna inutilità, preferibile senza dubbio al nulla, non è da meno di una fastidiosa monotonia. Così, nei dipinti che ritraggono i beati, si vedono delle figure angeliche che respirano, però, la noia piuttosto che la vera felicità.

Questo stato non soddisfa né le aspirazioni né l'idea istintiva del progresso, che appare il solo compatibile con la felicità assoluta. Si fa fatica a credere che il selvaggio ignorante, refrattario al senso morale, si trovi, per il solo fatto d'aver ricevuto il battesimo, allo stesso livello di colui che è pervenuto al più alto grado della scienza e della morale pratica, dopo lunghi anni di lavoro. Ed è ancor meno concepibile che il bambino morto in tenera età, prima cioè di avere coscienza di sé stesso e dei suoi atti, goda dei medesimi privilegi, per il solo fatto di una cerimonia alla quale la sua volontà non ha alcuna parte. Questi ragionamenti non cessano di agitare i più ferventi, per poco che essi possano rifletterci.

7. Non rientrando affatto il lavoro progressivo che si compie sulla Terra nella felicità futura, la naturalezza con cui essi credono di acquisire questa felicità per mezzo di alcune pratiche esteriori, la possibilità stessa di acquistarla col denaro senza un serio cambiamento del carattere e dei costumi, tutto ciò fa sì che sia lasciato ai piaceri della Terra ogni loro valore. Più di un credente afferma nel suo intimo che, poiché il suo futuro è assicurato dal compimento di certe formule, o da donazioni postume che non lo privano di nulla, sarebbe superfluo imporsi dei sacrifici o arrecare una qualsiasi difficoltà al profitto altrui, dal momento che si può ottenere la propria salvezza, ciascuno lavorando per sé.

Di certo, tale non è il pensiero di tutti, poiché ci sono grandi e belle eccezioni. Ma non ci si può nascondere che non sia questo il caso del maggior numero, soprattutto delle masse poco illuminate. Inoltre, l'idea che ci si fa delle condizioni per essere felici nell'altro mondo non contempla l'attaccamento ai beni di questo mondo e, di conseguenza, non contempla l'egoismo.

8. Aggiungiamo a ciò che tutto, nelle usanze, concorre a far rimpiangere la vita terrena e a temere il passaggio dalla Terra al cielo. La morte è circondata solo da cerimonie lugubri che terrificano piuttosto che procurare speranza. Se si rappresenta la morte, ciò avviene sempre sotto un aspetto repellente, e mai come un sonno di transizione; tutti i suoi simboli ricordano la distruzione del corpo, mostrandolo orrido e scarnificato; nessuno simbolizza l'anima che radiosa si libera dai suoi lacci terreni. La partenza verso questo mondo più felice non è accompagnata che dalle lamentazioni dei sopravvissuti, come se a coloro che se ne vanno accadesse la disgrazia più grande; si dà loro un eterno addio, come se non li si dovesse mai più rivedere. Ciò che per essi si rimpiange sono le gioie di questa Terra, come se non dovessero affatto trovarne di più grandi. "Quale disgrazia — dicono — morire quando si è giovani, ricchi, felici e quando si ha davanti a sé un brillante avvenire!" L'idea di una situazione più felice, sfiora a malapena la loro mente, perché tale idea è tutt'altro che radicata. Tutto concorre, dunque, a ispirare il terrore della morte, invece di infondere speranza. Senza dubbio, l'uomo sarà per lungo tempo impegnato a disfarsi di questi pregiudizi, ma vi arriverà nella misura in cui la sua fede si affermerà, ed egli si farà un'idea più sensata della vita spirituale.

9. La credenza popolare, inoltre, colloca le anime in regioni a malapena accessibili al pensiero, dove diventano in qualche modo estranee ai vivi. La Chiesa stessa pone tra quelle e questi ultimi una barriera insuperabile: essa dichiara interrotta ogni relazione e impossibile ogni comunicazione. Se le anime si trovano all'inferno, ogni speranza di rivederle è perduta per sempre, a meno che non ci si vada noi stessi; se esse si trovano, invece, tra gli eletti, sono del tutto assorbite dalla loro beatitudine contemplativa.

Tutto ciò interpone tra i morti e i vivi una distanza tale che si guarda alla separazione come se fosse eterna. Ed è per questo che si preferisce avere ancora presso di sé gli esseri che si amano, anche se sulla Terra soffrono, piuttosto che vederli partire, sia pure alla volta del cielo. Inoltre, l'anima che è in cielo è realmente felice di vedere, per esempio, suo figlio, suo padre, sua madre o i suoi amici bruciare eternamente?




Perché gli spiritisti non temono la morte

10. La Dottrina Spiritista trasforma completamente la maniera di considerare il futuro. La vita futura non è più una ipotesi, ma una realtà. Lo stato delle anime dopo la morte non è più un sistema, ma il risultato dell'osservazione. Il velo è sollevato; il mondo spirituale ci appare in tutta la sua realtà pratica. Non sono gli uomini che l'hanno scoperto attraverso lo sforzo di una ingegnosa concezione, ma sono gli abitanti stessi di quel mondo che vengono a descriverci la loro situazione. Lì noi li vediamo a tutti i livelli della scala spirituale, in tutte le fasi della felicità e della infelicità; noi assistiamo a tutte le peripezie della vita d'oltretomba. Sta lì, per gli spiritisti, il motivo della calma con la quale essi considerano la morte, il motivo della serenità dei loro ultimi istanti sulla Terra. Ciò che li sostiene non è soltanto la speranza, è la certezza; essi sanno che la vita futura non è che la continuazione della vita presente in migliori condizioni, ed essi l'attendono con la stessa fiducia con cui attendono il sorgere del Sole dopo una notte di tempesta. I motivi di questa fede sono nei fatti di cui essi sono testimoni, e nell'accordo di questi fatti con la logica, la giustizia e la bontà di Dio, e con le intime aspirazioni dell’Umanità.

Per gli spiritisti l'anima non è più un'astrazione; essa ha un corpo etereo che fa di essa un essere ben definito, che il pensiero accetta e comprende; il che è già molto per fissare le idee sulla sua individualità, sulle sue attitudini e le sue percezioni. Il ricordo di coloro che ci sono cari riposa su qualcosa di reale. Non ce li rappresentiamo più come fuggevoli fiamme che nulla dicono al nostro pensiero, ma sotto una forma concreta, che ce li mostra ancor meglio degli esseri viventi. Inoltre, invece di essere sperduti nelle profondità dello Spazio, essi sono intorno a noi; il mondo corporeo e il mondo spirituale sono in perpetui rapporti e si assistono mutuamente. Poiché il dubbio sul futuro non è più permesso, il timore della morte non ha più ragion d'essere. La si vede arrivare a sangue freddo, come una liberazione, come la porta della vita e non quella del nulla.





Capitolo III - IL CIELO

1. La parola cielo, generalmente, designa lo spazio indefinito che circonda la Terra e, più in particolare, la parte che è al di sopra del nostro orizzonte. Essa viene dal latino caelum, formata dal greco coïlos, cavo, concavo, perché il cielo si presenta ai nostri occhi come una immensa concavità. Gli Antichi credevano all'esistenza di molti cieli sovrapposti, composti di materia solida e trasparente, che formavano delle sfere concentriche, il cui centro era la Terra. Queste sfere, girando attorno alla Terra, trascinavano con sé gli astri che si trovavano nel loro circuito.

Questa idea, che era conforme alla insufficienza di cognizioni astronomiche, fu quella di tutte le teogonie che fecero dei cieli, così scaglionati, i diversi gradi della beatitudine; l'ultimo era la dimora della suprema felicità. Secondo l'opinione comune ce n'erano sette; da qui l'espressione essere al settimo cielo, per esprimere una perfetta felicità. I Musulmani ne ammettono nove, in ognuno dei quali la felicità dei credenti si accresce. L'astronomo Tolomeo [1] ne contava undici, l'ultimo dei quali era chiamato Empireo, [2] a causa della luce splendente che vi regna. Questo è ancor oggi il nome poetico dato al luogo della gloria eterna. La teologia cristiana riconosce tre cieli: il primo è quello della regione dell'aria e delle nuvole; il secondo è quello dove si muovono gli astri; il terzo, al di là della regione degli astri, è la dimora dell'Altissimo, la dimora degli eletti, che contemplano Dio faccia a faccia. È secondo questa credenza che si narra che san Paolo fu elevato al terzo cielo.

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[1] Tolomeo visse ad Alessandria, in Egitto, nel secondo secolo dell'Era Cristiana.

[2] Empireo, dal greco pŷr, fuoco.
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2. Le differenti dottrine, relativamente alla dimora dei più beati, si basano tutte sul doppio errore, secondo cui la Terra è il centro dell’Universo, e la regione degli astri è limitata. È al di là di questo limite immaginario che tutte le dottrine hanno collocato questa residenza fortunata, la dimora dell'Onnipotente. Singolare anomalia, questa, che colloca l'Autore di tutte le cose, Colui che tutte le governa, ai confini della Creazione, invece che nel centro, da dove l'irraggiamento del Suo pensiero potrebbe estendersi su tutto!

3. La Scienza, con l'inesorabile logica dei fatti e dell'osservazione, ha portato la sua fiaccola fin nelle profondità dello spazio e ha mostrato la nullità di tutte queste teorie. La Terra non è più il perno dell'Universo, ma uno dei più piccoli astri che ruotano nell'immensità; il Sole stesso non è che il centro d'un vortice planetario; le stelle sono innumerevoli Soli attorno ai quali ruotano innumerevoli mondi, separati da distanze appena accessibili al pensiero, quantunque a noi sembrino toccarsi. In questo grandioso insieme, retto dalle eterne leggi dove si rivelano la saggezza e tutta la potenza del Creatore, la Terra non appare che come un punto impercettibile e uno dei meno favoriti riguardo ad abitabilità. Quindi ci si domanda perché mai Dio ne avrebbe fatta l'unica sede della vita e vi avrebbe relegato le sue creature predilette. Tutto, al contrario, dimostra che la vita è dappertutto, e che l'Umanità è infinita come l'Universo. Rivelandoci la Scienza mondi simili alla Terra, se ne deduce che Dio non avrebbe potuto crearli senza un fine. Egli ha dovuto perciò popolarli di esseri capaci di governarli.

4. Le idee dell'uomo risultano in ragione di ciò ch'egli sa; come tutte le scoperte importanti, quella della costituzione dei mondi ha dovuto imprimere a esse un altro corso. Sotto l'influenza di queste nuove conoscenze, le credenze hanno dovuto modificarsi, il Cielo è stato dislocato; la regione stellare, essendo senza limiti, non può più servirgli. Dove sta, allora? Di fronte a tale questione tutte le religioni restano mute.

Lo Spiritismo viene a risolverla dimostrando il vero destino dell'uomo. Presi come punto di partenza la natura di quest'ultimo egli attributi di Dio, si arriva alla conclusione; vale a dire che partendo dal conosciuto si arriva allo sconosciuto attraverso una deduzione logica, senza parlare delle osservazioni dirette che lo Spiritismo permette di fare.

5. L'uomo si compone di corpo e di Spirito. Lo Spirito è l'essere principale, razionale, intelligente. Il corpo è l'involucro materiale che riveste temporaneamente lo Spirito per l'adempimento della sua missione sulla Terra e l'esecuzione del lavoro necessario al suo avanzamento. Il corpo, una volta usato, si distrugge, mentre lo Spirito sopravvive alla sua distruzione. Senza lo Spirito, il corpo non è che una materia inerte, è come uno strumento privato del braccio che lo fa agire; senza il corpo, lo Spirito è tutto: la vita e l'intelligenza. Abbandonando il corpo, esso torna nel mondo spirituale, da cui era uscito per incarnarsi.

Esistono, pertanto, due mondi: quello corporeo, composto dagli Spiriti incarnati, e quello spirituale composto dagli Spiriti disincarnati. Gli esseri del mondo corporeo, per il fatto stesso di avere un involucro materiale, sono attaccati alla Terra o a un qualsiasi globo; il mondo spirituale è dappertutto, intorno a noi e nello Spazio; nessun limite è a esso assegnato. In ragione della natura fluidica del loro involucro, gli esseri che lo compongono, invece di trascinarsi penosamente sul suolo, superano le distanze con la rapidità del pensiero. La morte del corpo non è che la rottura dei lacci che lo tengono prigioniero.

6. Gli Spiriti sono creati semplici e ignoranti, ma dotati di attitudini per conoscere tutto e per progredire, in virtù del loro libero arbitrio. Con il progresso, essi acquisiscono nuove conoscenze, nuove facoltà, nuove percezioni e, di conseguenza, nuovi piaceri, sconosciuti agli Spiriti inferiori; essi vedono, ascoltano, sentono e comprendono ciò che gli Spiriti arretrati non possono né vedere né ascoltare né sentire né comprendere. La felicità è in ragione del progresso compiuto; di modo che, di due Spiriti, l'uno può non essere felice quanto l'altro, unicamente perché non è altrettanto avanzato intellettualmente e moralmente, senza che per questo sia necessario che stiano, ciascuno, in un luogo diverso. Pur stando l'uno al fianco dell'altro, l'uno può trovarsi nelle tenebre, mentre tutto è risplendente attorno all'altro, esattamente come per un cieco e un vedente che si diano la mano: questo percepisce la luce, da cui quello non riceve la minima impressione. Essendo la felicità degli Spiriti inerente alle loro qualità, essi l'attingono in ogni luogo in cui si trovino, sulla superficie della Terra, nell'ambiente degli incarnati o nello Spazio.

Un comune paragone farà ancor meglio comprendere questa situazione. Poniamo che in un concerto si trovino due individui, l'uno buon musicista dall'orecchio esercitato, l'altro senza alcuna conoscenza della musica e dall'udito poco delicato. Il primo prova una sensazione di felicità, mentre il secondo resta insensibile, perché l'uno comprende e percepisce ciò che, invece, non fa alcuna impressione sull'altro. Così avviene per tutte le gioie degli Spiriti, le quali sono proporzionate alla capacità che ognuno ha di percepirle. Il mondo spirituale possiede dappertutto splendori, armonie e sensazioni che gli Spiriti inferiori, ancora sottoposti alla influenza della materia, non intravedono neppure, e che sono accessibili solo agli Spiriti purificati

7. Il progresso, presso gli Spiriti, è il frutto del loro stesso lavoro; ma, poiché sono liberi, lavorano per il loro avanzamento con più o meno operosità, con più o meno negligenza, secondo la loro volontà; essi accelerano, così, o ritardano il loro progresso e, di conseguenza, la loro felicità. Mentre alcuni avanzano rapidamente, altri languono per lunghi secoli nei ranghi inferiori. Sono essi stessi, dunque, gli artefici della loro situazione, felice o infelice che sia, secondo queste parole del Cristo: "A ciascuno secondo le sue opere!" Ogni Spirito che resti indietro non può prendersela che con sé stesso, così come quello che avanza ne ha tutto il merito; la felicità che egli ha così conquistata non ha che maggior valore ai suoi occhi.

La suprema felicità è appannaggio solo degli Spiriti perfetti, altrimenti detti puri Spiriti. Essi non la ottengono se non dopo aver progredito in intelligenza e in moralità. Il progresso intellettuale e il progresso morale raramente marciano fianco a fianco; ma quanto lo Spirito non ottiene in un determinato tempo, l'otterrà in un altro, di modo che i due progressi finiranno per raggiungere il medesimo livello. Questa è la ragione per cui si vedono spesso individui intelligenti e colti molto poco avanzati moralmente, e viceversa.

8. L'incarnazione è necessaria al doppio progresso morale e intellettuale dello Spirito: al progresso intellettuale, per l'attività ch'egli è obbligato a svolgere nel lavoro; al progresso morale, per il bisogno che gli uomini hanno gli uni degli altri. La vita sociale è la pietra di paragone delle buone e delle cattive qualità. La bontà, la cattiveria, la dolcezza, la violenza, la benevolenza, la carità, l'egoismo, l'avarizia, l'orgoglio, l'umiltà, la sincerità, la franchezza, la lealtà, la malafede, l'ipocrisia, in una parola tutto ciò da cui è costituito l'uomo dabbene o l'uomo perverso ha per movente, per scopo e per stimolo i rapporti dell'uomo con i suoi simili. Per l'uomo che vivesse isolato non ci sarebbero né vizi né virtù; se con l'isolamento si preserva dal male, egli si preclude anche il bene.

9. Una sola esistenza corporea è manifestamente insufficiente perché lo Spirito possa acquisire tutto ciò che di bene gli manca, e disfarsi di tutto ciò che di male è in lui. Il selvaggio, per esempio, potrebbe mai, in una sola incarnazione, raggiungere il livello morale e intellettuale dell'europeo più avanzato? Ciò è materialmente impossibile. Si deve, dunque, rimanere eternamente nell'ignoranza e nella barbarie, privati dei piaceri che soltanto lo sviluppo delle facoltà può procurare? Il semplice buon senso respinge una tale supposizione, che sarebbe nello stesso tempo la negazione della giustizia e della bontà di Dio e quella della legge progressiva della Natura. È per questo che Dio, sovranamente giusto e buono, accorda allo Spirito dell'uomo tante esistenze quante sono necessarie per raggiungere il suo obiettivo, che è la perfezione.

In ogni nuova esistenza, lo Spirito apporta ciò che ha acquisito, nelle esistenze precedenti, in attitudini, in conoscenze intuitive, in intelligenza e in moralità. Ogni esistenza si trova così a essere un passo avanti sulla via del progresso (vedere cap. I, n. 3, nota n. 1).

L'incarnazione è inerente alla inferiorità degli Spiriti; essa non è più necessaria a coloro che ne hanno superato il limite, che progrediscono nello stato spirituale, o nelle esistenze corporee dei mondi superiori, e che nulla hanno più della materialità terrena. Da parte di questi, l'incarnazione è volontaria, avendo lo scopo di esercitare sugli incarnati un'azione più diretta e tendendo alla realizzazione della missione di cui essi sono incaricati, accanto a loro. Così, con abnegazione, gli Spiriti ne accettano le vicissitudini e le sofferenze.

10. Nell'intervallo delle esistenze corporee, lo Spirito torna, per un tempo più o meno lungo, nel mondo spirituale, dove egli è o felice o infelice a seconda del bene o del male che ha compiuto. Lo stato spirituale è lo stato normale dello Spirito, poiché questo deve essere il suo stato definitivo e poiché il corpo spirituale non muore mai. Lo stato corporeo non è che transitorio e passeggero. È soprattutto nello stato spirituale ch'egli raccoglie i frutti del progresso realizzato con il suo lavoro durante l'incarnazione. Ed è anche allora ch'egli si prepara a nuove lotte e prende le risoluzioni che si sforzerà di mettere in pratica al suo ritorno nell'Umanità.

Lo Spirito progredisce egualmente nell'erraticità. Egli vi attinge conoscenze speciali che modificano le sue idee e che egli non potrebbe acquisire sulla Terra. Lo stato corporeo e lo stato spirituale sono per lui l'origine di due tipi di progresso correlati l'uno con l'altro; è per questo che passa, alternativamente, nelle esistenze peculiari a ciascuno dei due mondi.

11. La reincarnazione può aver luogo sulla Terra o su altri mondi. Fra gli altri mondi, ve ne sono alcuni più avanzati di altri, dove l'esistenza si svolge in condizioni meno penose che sulla Terra, sia fisicamente che moralmente, ma dove non sono ammessi che Spiriti giunti a un grado di perfezione relativamente allo stato di questi mondi.

La vita nei mondi superiori è già una ricompensa, perché qui si è preservati dalle vicissitudini e dai mali ai quali si è esposti sulla Terra. I corpi meno materiali, quasi fluidici, non sono qui soggetti né alle malattie né alle infermità né alle stesse necessità. Essendone i cattivi Spiriti esclusi, gli uomini qui vivono in pace, senza altra preoccupazione che quella del loro avanzamento, per mezzo del lavoro intellettuale. Nei mondi superiori regna la vera fraternità, perché non c'è egoismo; la vera uguaglianza, perché non c'è orgoglio; la vera libertà, perché non ci sono né disordini da reprimere, né ambiziosi che cercano di opprimere il debole. Paragonati alla Terra, questi mondi sono dei veri paradisi; e sono le tappe del cammino del progresso che conduce allo stato definitivo. Essendo la Terra un mondo inferiore destinato alla purificazione degli Spiriti imperfetti, è questa la ragione per cui il male vi domina finché piacerà a Dio farne la dimora di Spiriti più avanzati.

È così che lo Spirito, progredendo gradualmente nella misura in cui si sviluppa, giunge all'apogeo della felicità. Ma, prima d'aver raggiunto il punto culminante della perfezione, egli gode di una felicità relativa al suo avanzamento, così come il bimbo gioisce dei piaceri della prima età, più tardi di quelli della giovinezza e, finalmente, di quelli più concreti dell'età matura.

12. La felicità degli Spiriti beati non consiste nella oziosità contemplativa, che sarebbe, come spesso è stato detto, una eterna e intollerabile inutilità. La vita spirituale, a tutti i suoi livelli, è al contrario una costante operosità, ma un'operosità esente da fatiche. La suprema felicità consiste nel godimento di tutti gli splendori della creazione, che nessun linguaggio umano potrebbe rendere, e che neppure la immaginazione più feconda saprebbe concepire. Consiste ancora nella conoscenza profonda di tutte le cose; nell'assenza di ogni sofferenza fisica e morale; in una intima soddisfazione, in una serenità d'animo che niente riesce ad alterare; nell'amore puro che unisce tutti gli esseri, grazie all'assenza di ogni attrito a causa del contatto coi malvagi. Ma la suprema felicità consiste soprattutto, nella contemplazione di Dio e nella comprensione dei suoi misteri rivelati ai più degni. Essa consiste anche nei compiti per i quali si è felici di essere incaricati. I puri Spiriti sono i Messia o messaggeri di Dio, per la trasmissione e l'esecuzione delle sue volontà; essi compiono le grandi missioni, presiedono alla formazione dei mondi e dell'armonia generale dell'Universo, compito glorioso al quale si giunge solo con la perfezione. Quelli dell'ordine più elevato sono i soli a possedere i segreti di Dio, ispirandosi al Suo pensiero, di cui sono i diretti rappresentanti.

13. Le attribuzioni degli Spiriti sono proporzionate al loro avanzamento, ai lumi ch'essi posseggono, alle loro capacità, alla loro esperienza e al grado di fiducia ch'essi ispirano al Signore sovrano. Qui nessun privilegio, nessun favore che non sia il premio al merito: tutto è misurato e pesato sulla bilancia della rigorosa giustizia. Le missioni più importanti sono affidate solo a quelli che Dio considera adatti a eseguirle, e incapaci di fallire o di comprometterne i risultati. Mentre, sotto l'occhio stesso di Dio, i più degni compongono il consiglio supremo, a capi superiori è affidata la direzione dei vortici planetari; ad altri è conferita quella dei mondi speciali. Seguono, quindi, secondo l'ordine dell'avanzamento e della subordinazione gerarchica, le attribuzioni più limitate di coloro che sono preposti all'evoluzione dei popoli, alla protezione delle famiglie e degli individui, all'impulso di ogni branca del progresso, alle diverse operazioni della Natura fino ai più infimi dettagli della creazione. In questo vasto e armonioso insieme, ci sono occupazioni per tutte le capacità, per tutte le attitudini, per tutte le buone volontà; occupazioni accettate con gioia, sollecitate con ardore, perché sono un mezzo d'avanzamento per gli Spiriti che aspirano a elevarsi.

14. Accanto alle grandi missioni affidate agli Spiriti superiori, ce ne sono poi altre, di ogni grado d'importanza, concesse agli Spiriti di tutti gli ordini; dal che si può affermare che ogni incarnato ha la sua missione, ha cioè dei doveri da compiere, per il bene dei suoi simili: dal padre di famiglia, cui spetta la cura di far progredire i figli, fino all'uomo di genio che lancia nella società nuovi elementi di progresso. È in queste missioni secondarie che spesso si verificano delle inadempienze, delle prevaricazioni, dei rifiuti, ma che pregiudicano solo l'individuo e non l'insieme.

15. Tutte le intelligenze concorrono, dunque, all'opera generale, a qualsiasi grado esse siano giunte, e ciascuna secondo la misura delle sue forze; le une allo stato d'incarnazione, le altre allo stato di Spirito. Dappertutto, dal basso fino all'alto della scala, c'è operosità, tutte istruendosi, aiutandosi a vicenda, prestandosi mutuo appoggio, tendendosi la mano per raggiungere la sommità.

Così si stabilisce la solidarietà tra il mondo spirituale e il mondo corporeo, in altre parole, tra gli uomini e gli Spiriti, tra gli Spiriti liberi e gli Spiriti prigionieri. Così si perpetuano e si consolidano, attraverso la purificazione e la continuità dei rapporti, le vere simpatie e i nobili affetti.

Dappertutto, dunque, movimento e vita. Non un angolo dell'infinito che non sia popolato; non una regione che non sia incessantemente percorsa da innumerevoli legioni di esseri radiosi, invisibili per i rozzi sensi degli incarnati, ma la cui vista riempie di ammirazione e di gioia le anime liberatesi dalla materia. Dappertutto, infine, c'è una felicità relativa a tutti i progressi, a tutti i doveri compiuti; ciascuno racchiude in sé gli elementi della sua felicità, in ragione della categoria in cui lo colloca il suo grado d'avanzamento.

La felicità attiene alle qualità stesse degli individui, e non allo stato materiale dell'ambiente in cui essi si trovano. La felicità è perciò ovunque ci siano degli Spiriti capaci d'essere felici; nessun posto delimitato le è assegnato nell'Universo. In qualsiasi luogo si trovino, i puri Spiriti possono contemplare la maestà divina, perché Dio è dappertutto.

16. Tuttavia la felicità non è affatto personale. Se non la si attingesse che in sé stessi, se non si potesse condividerla con altri, sarebbe cosa tristemente egoista; tuttavia essa si trova anche nella comunione di idee che unisce tra loro gli esseri simpatici. Gli Spiriti felici, attirati gli uni verso gli altri dalla similitudine delle idee, dei gusti e dei sentimenti, formano vasti gruppi, o famiglie, omogenei, in seno ai quali ogni individualità irradia le proprie qualità e si pervade degli effluvi sereni e benefici che vengono emanati dall'insieme. I membri di questo insieme ora si disperdono per attendere alla loro missione, ora si riuniscono in un punto qualunque dello Spazio per mettersi vicendevolmente a parte del risultato dei loro lavori, ora si radunano attorno a uno Spirito di un ordine più elevato per riceverne consigli e istruzioni.

17. Benché gli Spiriti siano dappertutto, i mondi sono i centri dove essi si radunano di preferenza, in virtù dell'analogia che esiste tra loro e quelli che li abitano. Attorno ai mondi avanzati abbondano gli Spiriti superiori; attorno ai mondi arretrati pullulano gli Spiriti inferiori.

La Terra è ancora uno di questi ultimi. Ogni globo ha, dunque, praticamente una sua propria popolazione in Spiriti incarnati e disincarnati, che si alimenta, per la maggior parte, attraverso l'incarnazione e la disincarnazione degli Spiriti stessi. Questa popolazione è più stabile nei mondi inferiori dove gli Spiriti sono più attaccati alla materia, ed è più fluttuante nei mondi superiori. Ma da questi mondi, veri centri di luce e di felicità, si distaccano degli Spiriti che vanno verso i mondi inferiori, per seminarvi i germi del progresso, per portarvi la consolazione e la speranza, per risollevare gli animi abbattuti dalle prove della vita. Talvolta vi si incarnano per compiere la loro missione con maggior efficacia.

18. In questa immensità senza limiti, dove sta dunque il Cielo? In ogni parte. Nessuna recinzione ne traccia i limiti. I mondi felici sono le ultime stazioni che conducono lì; le virtù ne spianano il cammino, i vizi ne interdicono l'accesso.

Di fronte a questo quadro grandioso, che popola tutti gli angoli dell'Universo, che dà a tutte le cose della Creazione un fine e una ragion d'essere, come piccola e meschina è la dottrina che circoscrive l'Umanità su un punto impercettibile dello Spazio, che ce la mostra come se iniziasse a un determinato istante per finire egualmente un giorno insieme al mondo che la contiene, non abbracciando così che un minuto nell'eternità! Come questa dottrina è triste, fredda e glaciale, quando ci descrive il resto dell'Universo prima, durante e dopo l'Umanità terrestre, senza vita, senza movimento, come un immenso deserto immerso nel silenzio! Come questa dottrina è deprimente, con il ritratto ch'essa fa dell'esiguo numero degli eletti votati alla contemplazione perpetua, mentre la maggior parte delle creature è condannata a sofferenze senza fine! Come essa è, per i cuori sensibili, lacerante con l'idea di questa barriera ch'essa pone tra i morti e i vivi! Le anime felici, dicono, non pensano che alle loro felicità; quelle che sono infelici alle loro sofferenze. E c'è forse da stupirsi se l'egoismo regna sulla Terra, quando lo si mostra già nel Cielo? Quanto è allora gretta l'idea che questa dottrina dà della grandezza, della potenza e della bontà di Dio!

Quanto è sublime, al contrario, quella che ne dà lo Spiritismo! Quanto la sua dottrina approfondisce le idee, quanto amplia la mente! Ma chi dice che essa è vera? La Ragione prima di tutto, la Rivelazione in seguito, e poi la sua concordanza con i progressi della Scienza. Tra due dottrine, delle quali l'una sminuisce e l'altra esalta gli attributi di Dio, delle quali l'una resta indietro e l'altra marcia in avanti, il buon senso dice da quale parte sta la verità. Che di fronte alle due ciascuno nel suo intimo interroghi le sue aspirazioni, e una voce interiore gli risponderà. Le aspirazioni sono la voce di Dio, e Dio non può ingannare gli uomini.

19. Ma allora perché Dio, fin dal principio, non ha rivelato loro tutta la verità? Per la medesima ragione per cui non si insegna al bambino ciò che va insegnato in età matura. La Rivelazione limitata è stata sufficiente durante un certo periodo dell'Umanità: Dio la commisura alle forze dello Spirito. Coloro che ricevono oggi una Rivelazione più completa sono i medesimi Spiriti che ne hanno già ricevuta una parziale in altri tempi, ma che da allora si sono intellettualmente elevati.

Prima che la Scienza rivelasse agli uomini le forze vive della Natura, la costituzione degli astri, il vero molo e la formazione della Terra, avrebbero potuto essi comprendere l'immensità dello Spazio e la pluralità dei mondi? Prima che la Geologia comprovasse la formazione della Terra, avrebbero gli uomini potuto far sloggiare l'inferno dal loro animo, e comprendere il senso allegorico dei sei giorni della Creazione? Prima che l'Astronomia avesse scoperto le leggi che reggono l'Universo, avrebbero essi potuto comprendere che non esiste né alto né basso nello Spazio, che il cielo non sta al disopra delle nuvole né è limitato dalle stelle? Prima dei progressi della scienza psicologica, avrebbero essi potuto identificarsi con la vita spirituale? Avrebbero essi potuto concepire, dopo la morte, una vita felice o infelice, anziché in un luogo circoscritto e sotto una forma materiale? No. Comprendendo più attraverso i sensi che attraverso il pensiero, l'Universo era troppo vasto per la loro mente. Bisognava ridurlo a delle proporzioni meno estese, per sottoporlo al loro punto di vista, per estenderlo più tardi. Una rivelazione parziale aveva la sua utilità; essa era saggia allora, così come è insufficiente al giorno d'oggi. Il torto è di coloro che, non tenendo affatto conto del progresso delle idee, credono di poter governare degli uomini intellettivamente maturi con le briglie dell'infanzia (vedere Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. III).




Capitolo IV - L'INFERNO



Intuizione delle pene future

1. In tutti i tempi l'uomo ha creduto, per intuizione, che la vita futuradovesse essere felice o infelice, a seconda del bene o del male che fosse stato fatto sulla Terra. Però, l'idea ch'egli se ne fa è in rapporto con lo sviluppo del suo senso morale e con le nozioni più o meno giuste ch'egli ha del bene e del male. Le pene e le ricompense sono il riflesso dei suoi istinti predominanti. Così, i popoli guerrieri pongono la loro suprema felicità negli onori resi alla loro destrezza; i popoli cacciatori, nell'abbondanza della selvaggina; i popoli sensuali, nelle delizie della voluttà.

L'uomo tanto è dominato dalla materia che non può comprendere la spiritualità se non imperfettamente, ed è per questo che delle pene e delle gioie future si fa un quadro più materiale che spirituale. Egli immagina che nell'altro mondo si debba mangiare e bere, ma meglio che sulla Terra, e cose più buone. [1] Solo più tardi, nelle credenze che riguardano la vita futura, s'incontra un misto di spiritualismo e materialismo; è così che accanto alla beatitudine contemplativa si colloca un inferno con delle torture fisiche.

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[1] Un fanciullo della Savoia, a cui il suo parroco stava facendo un quadro allettante della vita futura, domandò se tutti là avrebbero mangiato pane bianco come mangiavano i Parigini.
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2. Non potendo comprendere se non ciò che vede, l'uomo primitivo ha naturalmente modellato il suo futuro sul presente. Per concepire dei futuri d'altro genere, al di là di quelli che aveva sotto gli occhi, era necessario uno sviluppo intellettivo che si sarebbe raggiunto solo col tempo. Anche il quadro ch'egli si fa dei castighi della vita futura non è che il riflesso dei mali dell'Umanità, ma in più vaste proporzioni. Egli vi ha riunito tutte le torture, tutti i supplizi, tutte le afflizioni che incontra sulla Terra. Ed è così che nei climi roventi ha immaginato un inferno di fuoco, nei paesi boreali un inferno di gelo. Non essendo ancora sviluppato il senso che avrebbe dovuto più tardi fargli comprendere il mondo spirituale, egli non poteva concepire che delle pene materiali; è per questo che, tranne alcune differenze di forma, gli inferni di tutte le religioni si assomigliano.




L'inferno cristiano a imitazione dell'inferno pagano

3. L'inferno dei pagani, descritto e drammatizzato dai poeti, è stato il modello più grandioso del genere; esso si è perpetuato in quello dei cristiani, che ha avuto anch'esso i suoi cantori e i suoi poeti. Confrontandoli, vi si ritrovano, salvo i nomi e qualche variante nei dettagli, numerose analogie: nell'uno e nell'altro, il fuoco materiale è la base dei tormenti, poiché è il simbolo delle più crudeli sofferenze. Ma, cosa strana, i cristiani hanno, su molti punti, esagerato rispetto all'inferno dei pagani. Se questi ultimi avevano nel loro inferno la botte delle Danaidi, la ruota di Issione, il macigno di Sisifo, questi erario dei supplizi individuali. L'inferno cristiano ha per tutti le sue caldaie bollenti, i cui coperchi vengono sollevati dagli angeli per osservare le contorsioni dei dannati; [2] Dio ascolta senza pietà gli urli di costoro per l'eternità. Mai i pagani hanno descritto gli abitanti degli Champs Elysèes mentre dilettano la loro vista con i supplizi del Tartaro. [3]

Era di fuoco la ruota di Issione, re dei Lapiti, condannato nell'inferno a girare senza posa, legato a essa con serpi. Narra la leggenda che, dopo aver ucciso il suocero, purificatosi, fu ospitato nell'Olimpo da Zeus. Ma nell'Olimpo tradì Zeus tentando di approfittare della moglie Era.

Il macigno di Sisifo fa riferimento alla leggenda, nota come "Il supplizio di Sisifo", secondo la quale Sisifo, figlio di Eolo, è condannato nell'oltretomba a spingere eternamente sulla cima di un monte un masso che rotola continuamente giù.

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[2] Sermone tenuto a Montpellier nel 1860.

[3] "I beati, senza abbandonare il posto ch'essi occupano, potranno tuttavia allontanarsene in una certa maniera, in ragione del loro dono d'intelligenza e di vista distinta, al fine di considerare le torture dei dannati. E, vedendole, non solo essi non ne proveranno alcun dolore, ma ne saranno colmi di gioia e renderanno grazie a Dio per la loro stessa felicità, assistendo all'ineffabile disgrazia degli empi." (san Tommaso d'Aquino)
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4. Come i pagani, anche i cristiani hanno il loro re degli inferni, che è Satana. Ma con una differenza. Plutone si limitava a governare il cupo impero che gli era toccato in sorte, ma non era malvagio. Egli tratteneva nei suoi domini quelli che avevano commesso il male, poiché questa era la sua missione; ma non cercava affatto di indurre gli uomini al male per darsi il piacere di farli soffrire. Satana, invece, recluta dappertutto delle vittime ch'egli si diverte a far tormentare dalle sue legioni di demoni, armati di forconi per rivoltarli nel fuoco. Si è molto seriamente discusso sulla natura di questo fuoco, che brucia senza tregua i dannati senza mai consumarli; ci si è chiesti se per caso non si trattasse di un fuoco di bitume. [4] L'inferno cristiano non è dunque affatto inferiore all'inferno pagano.

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[4] Sermone tenuto a Parigi nel 1861.
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5. Le medesime considerazioni che, presso gli Antichi, avevano fatto localizzare il regno della felicità, avevano anche reso possibile circoscrivere il luogo dei supplizi. Avendo gli uomini collocato il primo nelle regioni superiori, era naturale collocare il secondo nei luoghi inferiori, vale a dire nel centro della Terra, al quale si credeva che certe cavità, oscure e dall'aspetto terribile, servissero da accesso. Ed è qui che anche i cristiani hanno per lungo tempo collocato la dimora dei reprobi. Notiamo ancora, a questo riguardo, un'altra analogia.

L'inferno dei pagani racchiudeva da un lato gli Champs Elysèes e dall'altro il Tartaro; l'Olimpo, dimora degli dei e degli uomini divinizzati, si trovava nelle regioni superiori. Secondo la lettera del Vangelo, Gesù discese agli inferi, vale a dire nei luoghi bassi, per trarne le anime dei giusti che attendevano la Sua venuta. Gli inferni non erano dunque soltanto un luogo di supplizio; come presso i pagani, essi si trovavano anche nei luoghi bassi. Così come l'Olimpo, la dimora degli angeli e dei santi, si trovava nei luoghi elevati; e lo si era collocato al di là del cielo stellare, che era creduto limitato.

6. Questo miscuglio di idee pagane e di idee cristiane non ha niente che debba sorprendere. Gesù non poteva distruggere tutto d'un colpo delle credenze così radicate. Mancavano agli uomini le conoscenze necessarie per concepire l'infinito dello spazio e il numero infinito dei mondi; per loro il centro dell'Universo era la Terra; essi non ne conoscevano né la forma né la struttura interna; tutto era limitato dal loro punto di vista; le loro nozioni del futuro non potevano estendersi al di là delle loro conoscenze. Gesù si trovava dunque nell'impossibilità di iniziarli al vero stato delle cose. Ma, d'altra parte, non volendo con la sua autorità convalidare i pregiudizi incontrati, egli se ne astenne, lasciando al tempo il compito di rettificare le idee. Egli si limitò a parlare vagamente della vita felice e dei castighi che attendono i colpevoli; ma in nessuna parte dei suoi insegnamenti si trova il quadro dei supplizi corporali, dei quali i cristiani hanno fatto un articolo di fede.

Ecco come le idee sull'inferno pagano si sono perpetuate giungendo fino ai nostri giorni. È stata necessaria la diffusione dei lumi dei tempi moderni e lo sviluppo generale dell'intelligenza umana per farne giustizia. Siccome, però, a quei preconcetti non era stato sostituito niente di positivo, al lungo periodo d'una cieca credenza, è succeduto, come transizione, il periodo della miscredenza, al quale porrà termine la Nuova Rivelazione.

Era necessario distruggere prima di ricostruire, dal momento che è più facile far accettare delle idee giuste a quelli che non credono in niente — poiché sentono che manca loro qualcosa —, piuttosto che a quelli che hanno una salda fede in ciò che è assurdo.

7. Con la localizzazione del cielo e dell'inferno, le sette cristiane sono state indotte a non ammettere per le anime che due estreme situazioni: la felicità perfetta e la sofferenza assoluta. Il purgatorio non è che una posizione intermediaria momentanea: all'uscita da qui le anime passano, senza altre transizioni, nel regno dei beati. Né potrebbe essere altrimenti, data la credenza nella sorte definitiva dell'anima dopo la morte.

Se ci sono due regni, quello degli eletti e quello dei reprobi, non si possono ammettere più gerarchie in ciascuno di essi senza ammettere la possibilità di superarle e ammettere, di conseguenza, il progresso. Orbene, se c'è un progresso, non c'è una sorte definitiva; se c'è una sorte definitiva, non c'è progresso. Gesù risolse la questione quando disse: "Ci sono molte dimore nella casa di mio Padre". [5]

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[5] Il Vangelo Secondo lo Spiritismo, cap. III.




I limbi

8. La Chiesa ammette, è vero, una posizione speciale in certi casi particolari. I bambini morti in tenera età, non avendo affatto commesso del male, non possono essere condannati al fuoco eterno; d'altronde non avendo affatto compiuto del bene, non hanno diritto alla suprema felicità. Essi si trovano allora, dice la Chiesa, nei limbi, situazione mista che non è mai stata definita, nella quale se non soffrono, neppure godono della perfetta felicità. Ma, poiché la loro sorte è irrevocabilmente fissata, essi sono privati di questa felicità in eterno. Questa privazione, dal momento che non è dipesa da loro, poiché diversamente avvenne, equivale a un supplizio eterno immeritato. La medesima cosa avviene per quanto riguarda i selvaggi, i quali, non avendo ricevuta né la grazia del battesimo né i lumi della religione, peccano per ignoranza, abbandonandosi ai loro istinti naturali. Essi, quindi, non possono avere né la colpa né i meriti di coloro che hanno potuto agire con cognizione di causa. La semplice logica respinge una simile dottrina nel nome della giustizia di Dio. La giustizia di Dio è integralmente contenuta in queste parole del Cristo: "A ciascuno secondo le sue opere". Ma bisogna intendere: opere buone o cattive, che si compiono liberamente e volontariamente, le uniche che comportino responsabilità, la qual cosa non rientra nel caso né del bambino né del selvaggio né di colui dal quale non è dipeso d'essere illuminato.




Quadro dell'inferno pagano

9. Noi, quasi, non conosciamo l'inferno pagano se non attraverso la narrazione dei poeti. Omero e Virgilio ne hanno dato la descrizione più completa, ma bisogna tener conto delle necessità che la poesia impone alla forma. La descrizione di Fenelon, nel suo Telèmaque, benché attinta alla medesima fonte riguardo alle credenze fondamentali, possiede la semplicità più precisa della prosa. Descrivendo l'aspetto lugubre dei luoghi, egli si preoccupa soprattutto di mettere in rilievo il genere di sofferenze che sopportano i colpevoli, e, s'egli si sofferma molto sulla sorte dei cattivi re, ciò è in vista dell'istruzione del suo regio allievo. Per quanto popolare sia la sua opera, molti senza dubbio non hanno ben presente alla memoria questa descrizione, o forse non vi hanno riflettuto abbastanza da poter stabilire un confronto. È per questo che crediamo utile riprodurne le parti che hanno un rapporto più diretto con l'argomento di cui ci occupiamo, quelle cioè che concernono specialmente le pene individuali.

10. «Entrando, Telemaco ode i gemiti inconsolabili di un'ombra. "Qual è dunque — gli chiede — la vostra disgrazia? Chi eravate sulla Terra?" "Io ero — gli risponde questa ombra — Nabofarzan, re della superba Babilonia; tutti i popoli d'Oriente tremavano al solo sentir pronunciare il mio nome; io mi facevo adorare dai Babilonesi in un tempio di marmo dove ero rappresentato da una statua d'oro, davanti alla quale si bruciavano notte e giorno i preziosi profumi d'Etiopia; nessuno osò mai contraddirmi senza essere immediatamente punito; ogni giorno si inventavano nuovi piaceri per rendermi più deliziosa la vita. Io ero ancora giovane e forte, e, ohimè, quanta prosperità mi restava ancora da godere sul trono! Ma una donna che io amavo, e da cui non ero riamato, mi ha chiaramente fatto sentire che io non ero un dio: essa mi ha avvelenato. Io non sono più niente. Ieri, con grande pompa, le mie ceneri sono state messe in un'urna d'oro; si è pianto, ci si è strappati i capelli; si è finto di volersi gettare nelle fiamme del mio rogo per morire con me; si va ancora a gemere ai piedi del superbo monumento funebre in cui sono state poste le mie ceneri; ma nessuno mi rimpiange; della mia memoria ha orrore anche la mia famiglia, mentre quaggiù io soffro già orribili supplizi."

Telemaco, toccato da questo spettacolo, gli chiede: "Eravate veramente felice durante il vostro regno? Sentivate quella dolce pace senza la quale il cuore si trova sempre oppresso e abbattuto in mezzo ai piaceri?" "No — risponde il Babilonese —, io non so neppure che cosa intendiate dire. I saggi, vantano questa pace come se fosse l'unico bene: per quanto mi riguarda, io non l'ho mai sentita; il mio cuore era agitato continuamente da nuovi desideri, dal timore e dalla speranza. Io cercavo di stordirmi con lo sconvolgimento delle mie passioni; mi preoccupavo di trattenere questa ebbrezza per renderla continua: il minimo intervallo di calma e di ragione mi sarebbe stato troppo amaro. Ecco la pace di cui ho goduto; ogni altra mi sarebbe sembrata una favola, un sogno; ecco i beni che rimpiango".

Così parlando, il Babilonese piangeva come un vigliacco, infiacchito dalla prosperità e per nulla avvezzo a sopportare con forza d'animo una disgrazia. Egli aveva accanto a sé alcuni schiavi che erano stati fatti morire per onorare i suoi funerali. Mercurio li aveva affidati a Caronte con il loro re e aveva dato loro un potere assoluto su questo re che essi avevano servito sulla Terra. Queste ombre di schiavi non temevano più l'ombra di Nabofarzan; esse la tenevano incatenata, infliggendole gli affronti più crudeli. Le diceva una: "Non eravamo noi forse uomini uguali a te? Come hai potuto essere così insensato da crederti un dio? Non dovevi forse ricordarti che appartenevi alla razza degli altri uomini?" Gli diceva un'altra ombra per insultarlo: "Ma avevi ragione a non volere che ti si prendesse per un uomo, perché tu eri un mostro senza umanità". Un'altra ancora gli diceva: "Ebbene, dove sono ora i tuoi tirapiedi? Non hai più niente da dare, disgraziato! Non puoi fare più alcun male; eccoti divenuto schiavo dei tuoi stessi schiavi! Sono lenti gli dei a far giustizia, ma alla fine la fanno".

A queste dure parole, Nabofarzan si buttava faccia a terra, strappandosi i capelli in un accesso di rabbia e di disperazione. Ma Caronte diceva agli schiavi: "Trascinatelo con la sua catena. Rimettetelo in piedi a tutti i costi. Egli non avrà neppure la consolazione di nascondere la sua vergogna. Bisogna che tutte le ombre dello Stige ne siano testimoni, per giustificare gli dei, i quali hanno tollerato per così lungo tempo che questo empio regnasse sulla Terra".

Egli vide subito, molto vicino a sé, il nero Tartaro. Da esso esalava un fumo nero e denso, il cui odore mefitico avrebbe dato la morte se si fosse diffuso nelle dimore dei viventi. Questo fumo avvolgeva un fiume di fuoco e vortici di fiamme, il cui rumore, simile a quello dei torrenti più impetuosi quando si gettano dalle rocce più alte nei profondi abissi, faceva sì che non si potesse intendere distintamente nulla in quei tristi luoghi.

Telemaco, segretamente incoraggiato da Minerva, entrò senza timore in questo baratro. Si accorse per prima cosa di un grande numero di uomini che avevano vissuto nelle più umili condizioni, e che venivano puniti per essersi procurati il denaro con frodi, tradimenti e crudeltà. Lì notò molti empi ipocriti i quali, fingendo di amare la religione, se ne erano serviti come di un bel pretesto per soddisfare la loro ambizione e divertirsi alle spalle degli uomini creduloni. Questi uomini che avevano abusato della Virtù stessa — quantunque essa sia il più grande dono degli dei — venivano puniti come i più scellerati di tutti gli uomini. I figli che avevano sgozzato i loro padri e le loro madri, le spose che avevano le mani intrise del sangue dei loro mariti, gli infedeli che avevano tradito la loro patria, dopo aver violato ogni giuramento, tutti costoro soffrivano pene meno crudeli di quegli ipocriti. I tre giudici degli inferni avevano così voluto, ed eccone le ragioni: accade che questi ipocriti non si accontentano di essere malvagi come il resto degli empi; essi vogliono, per di più, passare per buoni e fanno sì, con la loro falsa virtù che gli uomini non osino più fidarsi della verità. Gli dei, di cui essi si sono beffati, rendendoli spregevoli agli occhi degli uomini, godono nell'impiegare tutta la loro potenza per vendicarsi dei loro oltraggi.

Dopo costoro compaiono altri uomini, che comunemente non sono quasi ritenuti colpevoli, ma che la vendetta divina perseguita spietatamente: sono gli ingrati, i mentitori, gli adulatori che hanno lodato il vizio; i critici perversi che hanno cercato di macchiare la più pura delle virtù; e, infine, coloro che hanno giudicato temerariamente cose che non conoscevano a fondo, e che, di conseguenza, hanno nociuto alla reputazione degli innocenti.

Telemaco, vedendo i tre giudici, che erano seduti e che stavano condannando un uomo, osò domandare loro quali fossero i suoi crimini. Immediatamente il condannato, prendendo la parola gridò: "Io non ho mai fatto alcun male; io ho profusa tutta la mia gioia nel fare il bene; io sono stato generoso, liberale, giusto, sensibile. Di che cosa dunque mi si può rimproverare?" "Niente ti si rimprovera nei riguardi degli uomini; ma tu a questi non dovevi meno che agli dei? Qual è dunque questa giustizia di cui ti fai vanto? Tu non hai mancato ad alcun dovere verso gli uomini, che nulla sono; tu sei stato virtuoso, ma hai rapportato ogni tua virtù a te stesso e non agli dei che te l'avevano data. Infatti tu volevi gioire del frutto della tua stessa virtù e chiuderti in te stesso: tu sei stato la tua divinità. Ma gli dei, che hanno fatto tutto, e che non l'hanno fatto che per sé stessi, non possono rinunciare ai loro diritti. Tu hai dimenticato loro, ed essi dimenticheranno te. E poiché tu hai voluto appartenere a te stesso e non a loro, essi ti abbandoneranno a te stesso. Se ti riesce, dunque, cerca ora la tua consolazione nel tuo stesso cuore. Eccoti per sempre separato dagli uomini ai quali tu hai voluto piacere; eccoti solo con te stesso, tu che eri il tuo idolo. Sappi che non c'è vera virtù senza il rispetto e l'amore per gli dei, ai quali tutto è dovuto. La tua falsa virtù, che per lungo tempo ha abbagliato gli uomini, quelli facili da ingannare, sta per essere umiliata. Gli uomini, giudicando vizi e virtù solo per quanto loro disturba o conviene, sono ciechi sia per quanto riguarda il bene sia per quanto riguarda il male. Qui, una luce divina rovescia tutti i loro superficiali giudizi; spesso condanna ciò ch'essi ammirano e giustifica ciò che essi condannano".

A tali parole, questo filosofo, come colpito da un fulmine, non riusciva più a sopportarsi. Il compiacimento, ch'egli aveva provato le altre volte nel contemplare la sua moderazione, il suo coraggio e le sue inclinazioni generose, si tramuta in disperazione. La visione del suo stesso cuore, nemico degli dei, diventa il suo supplizio; egli si vede e non può smettere di vedersi; egli vede la vacuità dei giudizi degli uomini, ai quali ha voluto piacere in tutte le sue azioni. Una radicale rivoluzione avviene in tutto il suo intimo, come se gli si fossero sconvolte tutte le viscere; egli non si trova più lo stesso; gli manca nel suo cuore ogni sostegno; la sua coscienza, la cui testimonianza gli era sempre stata così dolce, si leva contro di lui e gli rimprovera amaramente la stravaganza e l'illusione di tutte le sue virtù, che non hanno affatto avuto il culto della Divinità né al principio né alla fine. Egli è sconvolto, costernato, pieno di vergogna, di rimorsi e di disperazione. Le Furie non lo tormentano più, perché è bastato loro l'averlo abbandonato a sé stesso, e perché espii la vendetta degli dei da lui disprezzati, con il suo cuore stesso. Egli cerca i luoghi più oscuri per nascondersi agli altri morti, non potendo nascondersi a sé stesso. Egli cerca le tenebre e non può trovarle; una luce importuna lo segue dappertutto, i raggi penetranti della verità si dirigono ovunque per vendicare la verità ch'egli disdegnò di seguire. Tutto ciò ch'egli ha amato gli diventa odioso, poiché è la fonte dei suoi mali, che mai potranno finire. Dice a sé stesso: "Oh, insensato! Io, dunque, non ho conosciuto né gli dei, né gli uomini, né me stesso! No! Io non ho conosciuto niente, poiché non ho mai amato l'unico vero bene; tutti i miei passi sono stati passi falsi; la mia saggezza non era che follia; la mia virtù non era che un orgoglio empio e cieco; io, io ero l'idolo di me stesso.

Alla fine Telemaco riconobbe i re che erano stati condannati per abuso di potere. Da un lato una Furia vendicatrice presentava loro uno specchio che mostrava tutta la deformità dei loro vizi: qui essi vedevano — e non potevano impedirsi di vedere — la loro rozza vanità, avida delle più meschine lusinghe; la loro crudeltà verso gli uomini, cui essi avrebbero dovuto procurare la felicità; la loro indifferenza per la virtù; la loro paura di ascoltare la verità; la loro predilezione per gli uomini vili e adulatori; la loro inettitudine, la loro fiacchezza, la loro indolenza, la loro diffidenza male indirizzata; i loro fasti e sfarzi eccessivi creati sulla rovina dei popoli; la loro ambizione per conquistare un po' di vana gloria a prezzo del sangue dei loro concittadini; infine, la loro crudeltà che, ogni giorno, cerca nuove delizie fra le lacrime e la disperazione di tanti infelici. Essi si vedevano senza tregua in questo specchio. E si trovavano più orribili e più mostruosi di quanto non fosse la Chimera vinta da Bellerofonte, o l'Idra di Lerna abbattuta da Ercole, o il Cerbero stesso, che pure vomitava dalle sue tre bocche spalancate un sangue nero e velenoso che sarebbe stato in grado di appestare tutta la razza dei mortali che vivono sulla Terra.

Nel medesimo tempo, dall'altro lato, un'altra Furia ripeteva loro ingiuriosamente tutte le lusinghe che gli adulatori avevano loro dispensato durante la vita e li muniva di un altro specchio, dove essi si vedevano come l'adulazione li aveva dipinti. Nel confronto tra questi due opposti ritratti consisteva il supplizio della loro vanità. Si poteva osservare che i più malvagi tra questi re erano quelli che erano stati oggetto delle più grandi e fulgide lusinghe durante la vita. I peggiori, infatti, sono più temuti dei buoni ed esigono senza alcun ritegno le vili adulazioni dei poeti e degli oratori del loro tempo.

Li si sente gemere in quelle profonde tenebre, dove possono solo vedere gli oltraggi e le irrisioni che devono sopportare. Intorno a loro non vi è nulla che non li respinga, che non li contraddica, che non li confonda; sulla Terra invece si prendevano gioco della vita degli uomini e pretendevano che tutto fosse fatto per essere serviti. Nel Tartaro, essi sono alla mercé di alcuni schiavi, i quali fanno loro provare, a loro volta, una crudele schiavitù; essi servono con dolore e non hanno alcuna speranza di poter mai addolcire la loro prigionia; sono sotto i colpi di questi schiavi, divenuti loro implacabili tiranni, come l'incudine sotto i colpi dei martelli dei Ciclopi, quando Vulcano li costringe a lavorare nelle fornaci incandescenti del monte Etna.

Qui, Telemaco vide volti pallidi, orrendi e terrorizzati. Sono rosi da una lugubre tristezza questi criminali e non possono spogliarsi di questo orrore non più di quanto della loro stessa natura. Essi non hanno bisogno d'altro castigo per le loro colpe, se non delle loro stesse colpe; le vedono senza tregua in tutta la loro enormità; esse si presentano loro come orribili spettri e li perseguitano. Per sottrarsi a questa persecuzione, essi cercano una morte ancora più potente di quella che li ha separati dal corpo. Nella disperazione in cui si trovano, essi invocano il soccorso di una morte che possa estinguere in loro ogni sentimento e ogni consapevolezza. Essi chiedono agli abissi di inghiottirli, per sottrarsi così ai raggi vendicatori della verità che li perseguita, ma essi sono destinati alla vendetta, che stilla su di loro goccia a goccia e che non inaridirà mai. La verità, che essi hanno paura di vedere, diventa il loro supplizio, la vedono e non hanno occhi che per vederla ergersi contro di loro: la sua vista li perfora, li strazia, li sradica da sé stessi; essa è come la folgore; senza nulla distruggere esteriormente, li penetra fino in fondo alle viscere.

Tra questi esseri che facevano drizzare i capelli in testa, Telemaco vide molti degli antichi re della Lidia, i quali venivano puniti per aver preferito le delizie di una vita oziosa al lavoro, poiché questo deve essere la consolazione dei popoli e, come tale, inseparabile dalla regalità.

Questi re si rimproveravano reciprocamente il loro ottenebramento. L'uno all'altro, che era stato suo figlio, diceva: "Non ti avevo forse io raccomandato spesso, durante la mia vecchiaia e prima della mia morte, di riparare ai mali che io avevo commesso a causa della mia negligenza?" "Ah, padre disgraziato, — diceva il figlio — siete voi che mi avete rovinato! È stato il vostro esempio a ispirarmi il fasto, l'orgoglio, la voluttà e la crudeltà verso gli uomini. Vedendo voi regnare con tanta incuria e circondato da vili adulatori, io mi sono abituato ad amare l'adulazione e i piaceri. Ho creduto che il resto degli uomini, a confronto dei re, fosse ciò che i cavalli e le altre bestie da soma sono riguardo agli uomini, vale a dire degli animali ai quali si fa caso solo nella misura in cui essi rendono servigi e offrono comodità. Io l'ho creduto, e siete stato voi a farmelo credere; e ora soffro tanti mali per avervi imitato". A questi rimproveri si aggiungevano le più raccapriccianti maledizioni ed essi sembravano posseduti da un furore tale da farsi a pezzi a vicenda.

Attorno a questi re volteggiavano, inoltre, quali gufi nella notte, i crudeli sospetti, i vani allarmi e le diffidenze, che vendicano i popoli della inesorabilità dei loro re, della loro insaziabile fame di ricchezze, della loro falsa gloria sempre tirannica e della loro vile mollezza, che raddoppia tutte le sofferenze, senza mai la compensazione di veri piaceri.

Si vedevano molti di questi re severamente puniti, non per quanto di male avevano commesso, ma per aver trascurato il bene che avrebbero dovuto fare. Tutti i delitti dei popoli, che provengono dalla negligenza con la quale si fanno osservare le leggi, erano imputati ai re, i quali devono regnare solo perché, attraverso il loro ministero, regnino le leggi. Si imputavano ai re anche tutti i disordini che provengono dai fasti, dal lusso e da tutti gli altri eccessi che gettano gli uomini in uno stato di violenza e nella tentazione di disprezzare le leggi per acquisire dei beni. Soprattutto venivano trattati con rigore quei re che, invece di essere dei buoni e vigili pastori dei popoli, non si erano preoccupati che di devastare il gregge, come dei lupi insaziabili.

Ma ciò che costernò maggiormente Telemaco fu di vedere, in questo abisso di tenebre e di mali, un grande numero di re che, passati sulla Terra per dei re abbastanza buoni, erano stati condannati alle pene del Tartaro per essersi lasciati guidare da uomini malvagi e ingannatori. Erano puniti per i mali che essi avevano permesso che si commettessero in nome della loro autorità. Inoltre, per la maggior parte, questi re non erano stati né buoni né cattivi, tanto grande era stata la loro debolezza; mai avevano temuto di ignorare la verità; mai avevano provato il piacere della virtù, né avevano mai messo esultanza nel praticare il bene.»




Quadro dell'inferno Cristiano

11. L'opinione dei teologi sull'inferno è riassunta nelle citazioni riportate nel paragrafo che segue. [6] Questa descrizione, tratta dalle opere degli autori sacri e dalle vite dei santi, può essere tanto meglio considerata quale espressione della fede ortodossa in questa materia, poiché essa è in ogni istante riprodotta, tranne qualche piccola variante, nelle prediche tenute dal pulpito e nelle istituzioni pastorali.

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[6] Queste citazioni sono tratte dall'opera intitolata L'Inferno di Auguste Callet.

12. «I demoni sono puri Spiriti, e i demoni attualmente in inferno possono anch'essi essere considerati puri Spiriti, poiché solo la loro anima vi è discesa, e le loro ossa, restituite alla terra, si trasformano incessantemente in erbe, piante, frutti, minerali, liquidi, subendo inconsapevolmente le continue metamorfosi della materia. Ma i dannati, come i santi, devono resuscitare l'ultimo giorno, e riprendere, per non più lasciarlo, un corpo carnale, il medesimo corpo sotto le cui sembianze sono stati conosciuti fra i vivi. Ciò che distinguerà gli uni dagli altri sarà questo: gli eletti resusciteranno in un corpo purificato e radioso, i dannati in un corpo insudiciato e deformato dal peccato. Non ci saranno più, dunque, nell'inferno puri Spiriti soltanto; ci saranno uomini come noi. L'inferno è, di conseguenza, un luogo fisico, geografico, materiale, poiché sarà popolato da creature terrestri, che avranno piedi, mani, bocca, lingua, denti, orecchie e occhi, in tutto simili ai nostri; e sangue dentro le vene e nervi sensibili al dolore.

Dov'è situato l'inferno? Alcuni dotti l'hanno situato nelle viscere stesse della nostra Terra; altri, non so su quale pianeta; ma la questione non è ancora stata risolta da nessun concilio. Su questo punto, siamo dunque ridotti alle congetture. La sola cosa che si afferma unanimemente è che l'inferno, in qualsiasi luogo sia collocato, è un mondo composto di elementi materiali. Ma è un mondo senza Sole, senza Luna, senza stelle, più triste e più inospitale — privo com'è di ogni germe e di ogni parvenza di bene — di quanto non lo siano le più inabitabili parti di questo mondo dove noi pecchiamo.

I teologi più circospetti non s'azzardano a dipingere, alla maniera degli Egiziani, degli Indù e dei Greci, tutti gli orrori di questa dimora; essi si limitano a mostrarcene, come campione, quel poco che ne rivelano le Scritture, cioè lo stagno di fuoco e di zolfo dell'Apocalisse; i vermi di Isaia, quei vermi che eternamente brulicano sulle carogne del Tofel; i demoni che tormentano gli uomini ch'essi stessi hanno rovinato; gli uomini che piangono e digrignano i denti, secondo l'espressione usata dagli Evangelisti.

Sant'Agostino non concorda sul fatto che queste pene fisiche siano semplici riflessi delle sofferenze morali. Egli vede, in un vero stagno di zolfo, dei vermi veri e veri serpenti che si accaniscono su tutte le parti del corpo dei dannati, e i loro morsi si aggiungono a quelli del fuoco. Egli sostiene inoltre, secondo un versetto di san Marco, che questo strano fuoco, benché materiale come il nostro e benché agisca su corpi materiali, li conservi come il sale conserva le carni delle vittime. Ma i dannati, vittime sempre sacrificate e sempre vive, sentiranno il dolore di questo fuoco che brucia senza distruggere; esso penetrerà sotto la loro pelle; ed essi ne saranno imbevuti e saturati in tutte le loro membra, fin nel midollo delle ossa, fin nella pupilla degli occhi, fin nelle fibre più nascoste e più sensibili del loro essere. Il cratere di un vulcano, se vi si potessero immergere, sarebbe per loro un luogo di refrigerio e di riposo.

Così parlano, in tutta sicurezza, i teologi più schivi, più discreti, più riservati. Essi d'altronde non negano che vi siano in inferno altri supplizi corporali; dicono soltanto che, per parlarne, non ne hanno una conoscenza sufficiente così positiva, almeno, quanto quella che è stata loro offerta dall'orribile supplizio del fuoco e da quello disgustoso dei vermi. Ma ci sono anche dei teologi più arditi o più illuminati che dell'inferno fanno descrizioni più dettagliate, più variate e più complete. E, benché non si sappia in quale luogo dello Spazio sia situato questo inferno, ci sono dei santi che l'hanno visto. Non ci sono andati, lira in mano, come Orfeo; né spada in pugno come Ulisse; ma vi sono stati trasportati in spirito. Fa parte di questo numero santa Teresa.

Sembrerebbe, secondo la narrazione della santa, che ci siano delle città nell'inferno. Ella vi vide una specie di stradicciola lunga e stretta, come se ne incontrano tante nelle vecchie città. Vi si inoltrò, camminando con orrore su un terreno fangoso e putrido, che pullulava di rettili mostruosi. Ma fu bloccata nella sua marcia da una muraglia che sbarrava la stradicciola. In questa muraglia c'era una nicchia dove Teresa si rincantucciò, senza tuttavia sapere come ciò accadesse. "Era — ella dice — il posto che le sarebbe stato destinato, se avesse abusato, in vita, delle grazie che Dio le elargiva nella sua cella di Avila." Quantunque si fosse introdotta con una meravigliosa facilità in quella nicchia di pietra, ella non poteva tuttavia né sedervisi né sdraiarvisi né starvi in piedi; né, ancor meno, poteva uscirne. Quelle orribili mura si erano abbassate su di lei, l'avviluppavano, la serravano come se fossero state animate. Le sembrò che la si soffocasse, che la si strangolasse e che, nello stesso tempo, la si scorticasse viva e la si facesse a pezzi. Avvertì che stava bruciando e provava nello stesso tempo ogni genere d'angoscia. Di un qualunque soccorso nessuna speranza: tutto attorno a lei non era che tenebre, e nondimeno attraverso queste tenebre ella intravedeva ancora, non senza stupore, la orribile strada dove si trovava e tutto il suo immondo vicinato, spettacolo per lei intollerabile quanto la strettezza della sua prigione. [7]

Questo, senza dubbio, non era altro che un piccolo angolo dell'inferno. Altri viaggiatori spirituali sono stati maggiormente favoriti. Hanno visto in inferno grandi città completamente in fiamme: Babilonia e Ninive, la stessa Roma, i loro palazzi e i loro templi che bruciavano, e tutti i loro abitanti incatenati: il trafficante incatenato al suo banco; preti, insieme a cortigiane nelle sale dei banchetti, che urlavano sui loro scanni dai quali non riuscivano più a staccarsi, e che si portavano alle labbra, per dissetarsi, coppe da cui uscivano fiamme; e poi valletti, le braccia tese, in ginocchio dentro cloache ribollenti; e principi dalle cui mani scorreva su di loro, a mo' di lava divorante, dell'oro fuso. Altri hanno visto in inferno pianure sconfinate, che contadini famelici aravano e seminavano; e siccome da queste pianure fumanti del loro sudore, da queste sementi sterili, nulla cresceva, questi contadini si divoravano tra di loro. Dopo di che, come prima egualmente numerosi, egualmente emaciati, egualmente affamati, si disperdevano in branchi all'orizzonte, andando a cercare lontano, ma invano, terre più felici. E subito erano rimpiazzati, nelle campagne che essi abbandonavano, da altre colonie erranti di dannati. Ci sono di quelli che hanno visto in inferno montagne colme di precipizi, foreste che gemevano, pozzi senz'acqua, fontane alimentate dalle lacrime, fiumi di sangue, tempeste di neve su deserti di ghiaccio, imbarcazioni cariche di disperati che vogavano su mari senza rive. In una parola, vi si è rivisto tutto ciò che vi vedevano i pagani: un riflesso lugubre della Terra, un'ombra smisuratamente ingigantita delle sue miserie, le sue sofferenze naturali eternizzate, fino alle prigioni sotterranee, ai patiboli e agli strumenti di tortura, che le nostre stesse mani hanno forgiato.

Ci sono, in effetti, laggiù dei demoni i quali, per straziare meglio gli uomini nei loro corpi, assumono anch'essi un corpo. Alcuni hanno ali di pipistrello, corna, corazze di scaglie, zampe munite di artigli, zanne aguzze; ci vengono mostrati armati di spade, di forche, di pinze, di tenaglie arroventate, di seghe, di griglie, di mantici, di clave e, per l'eternità, svolgono in relazione alla carne umana il compito di cucinieri e macellai. Altri demoni, trasformatisi in leoni o in enormi vipere, trascinano le loro prede in caverne solitarie. Altri ancora si trasformano in corvi, per strappare gli occhi ad alcuni colpevoli; o in draghi volanti, per caricarli sul loro dorso e trasportarli completamente atterriti, sanguinanti e urlanti attraverso gli spazi tenebrosi e lasciarli poi piombare nello stagno di zolfo. Ecco nubi di cavallette, scorpioni giganteschi, la cui vista dà i brividi, il cui odore dà la nausea, il cui minimo sfioramento dà le convulsioni; ecco mostri policefali che spalancano da ogni parte gole voraci, che scrollano sulle loro teste deformi criniere di vipere, che triturano i condannati tra le loro mascelle sanguinanti e li vomitano completamente a pezzi ma vivi, perché sono immortali.

Questi demoni dalla forma materiale — che ricordano così palesemente gli dei dell'Amenti [8] e del Tartaro, e gli idoli ch'erano adorati dai Fenici, dai Moabiti e dagli altri Gentili vicini della Giudea — non agiscono affatto a caso; ognuno ha la sua funzione e il suo compito; il male ch'essi fanno in inferno è in rapporto al male che hanno ispirato e indotto a commettere sulla Terra. [9] I dannati sono puniti in tutti i loro sensi e in tutti i loro organi. Puniti in un certo modo come golosi dai demoni della golosità, puniti in altro modo come pigri dai demoni della pigrizia, e in altro modo ancora come fornicatori dai demoni della fornicazione, e in tante altre maniere diverse quante diverse maniere di peccare ci sono. Essi avranno freddo bruciando e caldo gelando; saranno avidi di riposo e avidi di movimento; e sempre affamati, sempre sconvolti, e mille volte più affaticati dello schiavo al termine della giornata, più malati dei moribondi; saranno più dilaniati, più distrutti, più ricoperti di piaghe dei martiri. E questo non finirà mai.

Nessun demone si sottrae e mai si sottrarrà al suo spietato incarico; sotto questo aspetto, sono tutti molto disciplinati e fedeli nell'eseguire gli ordini vendicativi che hanno ricevuto; senza di ciò, d'altronde,che cosa diventerebbe l'inferno? Le vittime si riposerebbero se gli aguzzini litigassero tra di loro o si stancassero. Ma né riposo per gli uni, né risse per gli altri; per quanto essi siano cattivi e per quanto siano innumerevoli, i demoni s'intendono da un capo all'altro dell'abisso, e mai si videro sulla Terra nazioni più sottomesse ai loro prìncipi, eserciti più obbedienti ai loro capi, comunità monastiche più umilmente sottomesse ai loro superiori. [10]

D'altronde non molto si conosce della popolazione dei demoni, questi vili Spiriti di cui sono composte le legioni di vampiri, di diavolesse, di rospi, di scorpioni, di corvi, di idre, di salamandre e di altre bestie senza nome, che costituiscono la fauna delle regioni infernali. Si conoscono, però, e si nominano parecchi dei principi che comandano queste legioni, tra i quali Belfagor, il demone della lussuria; Abaddon o Apollion, il demone dell'assassinio; Belzebù, il demone dei desideri impuri, o il signore delle mosche che generano la corruzione; Mammona, il demone dell'avarizia; e ancora Moloch e Bèlial e Baalgad e Astaroth e molti altri. Al di sopra di essi sta il loro capo supremo, il capo arcangelo che in cielo portava il nome di Lucifero e che in inferno porta quello di Satana.

Ecco, in sintesi, l'idea che ci viene data dell'inferno, considerato dal punto di vista della sua natura fisica e delle pene fisiche che vi si subiscono. Consultate gli scritti dei Padri e degli antichi Dottori; interrogate le nostre pie leggende; osservate le sculture e i quadri delle nostre chiese; prestate orecchio a ciò che si dice dai nostri pulpiti, e voi ne apprenderete ben di più.»

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[7] Si riconoscono, in questa visione tutte le caratteristiche dell'incubo. È dunque probabile che in santa Teresa si sia prodotto un effetto di questo genere.

[8] Nota del traduttore: Negli antichi culti egizi, l'inferno è detto Amenti.

[9] Davvero singolare questa punizione, che consisterebbe nel dover continuare, su più vasta scala, il male che essi hanno fatto in scala ridotta sulla Terra! Sarebbe più razionale che soffrissero essi stessi delle conseguenze di questo male, invece di offrirsi il piacere di farle subire agli altri.

[10] Questi stessi demoni, ribellatisi a Dio per quanto riguarda il bene, sono di una docilità esemplare per quanto riguarda la pratica del male. Nessuno di loro indietreggia né esita per tutta l'eternità. Quale singolare metamorfosi in loro, che erano stati creati puri e perfetti come gli angeli!

Non è forse assai singolare vederli dare l'esempio dell'intesa e dell'armonia perfette, della concordia inalterabile, quando gli uomini invece non sanno vivere in pace e si dilaniano a vicenda sulla Terra? Vedendo la profusione di castighi riservati ai dannati, e raffrontando la loro situazione con quella dei demoni, ci si chiede quali siano più da compiangere: gli aguzzini o le vittime?

13. L'autore fa seguire questo quadro da alcune riflessioni, qui di seguito riportate, di cui ciascuno comprenderà la portata.

«La resurrezione dei corpi è un miracolo; ma Dio fa un secondo miracolo per dare a questi corpi mortali, già un tempo usati nelle prove passeggere della vita, già un tempo annientati, la virtù di sussistere, senza dissolversi in una fornace dove evaporano i metalli stessi. Che si dica che l'anima sia il carnefice di sé stessa, che Dio non la perseguiti, ma che l'abbandoni piuttosto allo stato infelice ch'essa ha scelto, questo può, a rigore, comprendersi, quantunque l'abbandono eterno di un essere traviato e sofferente appaia poco conforme alla bontà del Creatore. Ma ciò che si dice dell'anima e delle pene spirituali non si può, in alcun modo, dire dei corpi e delle pene corporali. Per perpetuare tali pene corporali, non è sufficiente che Dio ritiri la Sua mano; bisogna, al contrario, ch'Egli la mostri, ch'Egli intervenga, ch'Egli agisca, altrimenti il corpo soccomberebbe.

I teologi suppongono dunque che Dio operi, in effetti, dopo la resurrezione, questo secondo miracolo di cui abbiamo parlato. Prima di tutto, Egli trae dal sepolcro, che li ha divorati, i nostri corpi d'argilla; li trae tali e quali come vi sono entrati, con le loro infermità originali e successivi deterioramenti dovuti all'età, alla malattia e al vizio; ce li rende in questo stato — decrepiti, intirizziti, gottosi, pieni di necessità, sensibili a una puntura d'ape, del tutto coperti dalle ferite che la vita e la morte vi hanno impresso — ed è questo il primo miracolo. Poi a questi miseri corpi, pronti a ritornare alla polvere da cui sono usciti, Egli impone una proprietà che non avevano mai avuta, ed ecco il secondo miracolo; Egli impone loro l'immortalità, quello stesso dono che nella Sua collera — dite piuttosto nella Sua misericordia — aveva tolto ad Adamo all'uscita dall'Eden. Quando Adamo era immortale, era invulnerabile, e quando cessa di essere invulnerabile, diventa mortale. La morte segue da vicino il dolore.

La resurrezione, dunque, non ci riporta né alle condizioni fisiche dell'uomo innocente, né alle condizioni fisiche dell'uomo colpevole. È solo una resurrezione delle nostre miserie, ma con un sovraccarico di miserie nuove, infinitamente più orribili; è, in parte, una vera creazione, e la più maligna che l'immaginazione abbia osato concepire. Dio si ricrede e, per aggiungere ai tormenti spirituali dei peccatori anche tormenti carnali che possano durare per sempre, cambia tutto a un tratto, per effetto del Suo potere, le leggi e le proprietà, da Lui stesso assegnate fin dal principio, ai componenti della materia. Egli resuscita carni malate e corrotte e, legando con un nodo indistruttibile quegli elementi che tendono già di per sé stessi a separarsi, mantiene e perpetua, contro l'ordine naturale, quella putredine vivente. La getta nel fuoco, non per purificarla, ma per conservarla tale quale essa è, sensibile, sofferente, bruciante, orribile, tale, con ciò, quale Egli la vuole: immortale.

Si fa di Dio, con questo miracolo, uno degli aguzzini dell'inferno, perché se i dannati non possono imputare che a sé stessi i loro mali spirituali, non possono, d'altra parte, attribuire gli altri mali che a Lui. Evidentemente sarebbe stato troppo poco abbandonarli, dopo la morte, alla tristezza, al pentimento e a tutte le angosce di un'anima che sente di aver perduto il bene supremo. Dio, secondo i teologi, andrà a cercarli, quella notte, al fondo di quell'abisso; li richiamerà per un momento alla vita non per consolarli, ma per rivestirli di un corpo orribile, fiammeggiante, imperituro, più appestato del manto di Deianira, ed è allora soltanto che Egli li abbandonerà per sempre.

Ma anche così non li abbandonerà, perché l'inferno non sussiste — come pure la Terra e il Cielo — se non per un atto permanente della Sua volontà, sempre attiva, e perché svanirebbe s'egli cessasse di sostenere questo tutto. Egli, perciò, terrà continuamente la mano su di essi, per impedire che il loro fuoco si spenga e i loro corpi si consumino, volendo che questi disgraziati immortali contribuiscano con l'eternità del loro supplizio, all'edificazione degli eletti.»


14. Abbiamo detto, con ragione, che l'inferno dei Cristiani aveva oltrepassato, rispetto a punizioni, quello dei pagani. Nel Tartaro, infatti, si vedono i colpevoli torturati dai rimorsi, sempre al cospetto dei loro crimini e delle loro vittime, oppressi da quegli stessi che essi avevano oppresso quand'erano vivi. Li si vede sfuggire alla luce che li penetra, e cercare invano di evitare gli sguardi che li perseguitano; lì l'orgoglio è abbattuto e umiliato; tutti portano le stigmate del loro passato; tutti sono puniti dagli stessi loro errori, a tal punto che, per alcuni, è sufficiente abbandonarli a sé stessi, giudicando inutile aggiungervi altri castighi. Ma sono ombre vale a dire anime con i loro colpi fluidici, sono un'immagine della loro esistenza terrena; non vi si vedono uomini riprendere il loro corpo carnale per soffrire materialmente, né il fuoco penetrare sotto la loro pelle e saturarli fino al midollo delle ossa, né la profusione e la raffinatezza dei supplizi che stanno alla base dell'inferno cristiano. Qui si trovano dei giudici inflessibili, ma giusti che comminano la pena proporzionalmente alla colpa; mentre, nell'impero di Satana, tutti sono mescolati nelle medesime torture, tutto è basato sulla materialità, e persino l'equità vi è bandita.

Senza dubbio, al giorno d'oggi, vi sono nella Chiesa stessa molti uomini sensati che non considerano queste cose alla lettera e non vi scorgono che delle allegorie di cui bisogna comprendere lo spirito; ma la loro opinione è soltanto individuale e non fa legge. La credenza nell'inferno materiale, con tutte le sue conseguenze, resta ancora, dunque, un articolo di fede.

15. Ci si domanda come degli uomini abbiano potuto vedere queste cose nell'estasi, se esse non esistono. Non è qui, però, il luogo per spiegare l'origine delle immagini fantastiche che a volte si producono con apparenza di realtà. Noi diremo soltanto che bisogna vedervi una prova di quel principio, secondo cui, l'estasi è la meno sicura di tutte le rivelazioni, [11] perché questo stato di sovreccitazione non sempre comporta una liberazione dell'anima tale da poterla ritenere assoluta, indicando molto spesso un riflesso delle preoccupazioni dello stato di veglia. Le idee — di cui lo Spirito si nutre e di cui il cervello o, meglio, l'involucro perispirituale corrispondente al cervello, ha conservato l'impronte — si riproducono amplificate come in un miraggio, sotto forme vaporose che si incrociano e si confondono, creando degli insiemi bizzarri. Gli estasiati di tutti i culti hanno sempre visto delle cose in relazione alla fede da cui erano pervasi. Non è dunque sorprendente che quanti, come santa Teresa, sono fortemente impregnati di concetti sull'inferno — così come ce li mostrano le descrizioni verbali o scritte e i dipinti — abbiano delle visioni che non ne sono, propriamente parlando, che la riproduzione, e che producono l'effetto di un incubo. Un pagano pieno di fede avrebbe visto il Tartaro e le Furie, così come nell'Olimpo avrebbe visto Giove che impugna la saetta.

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[11] il Libro degli Spiriti, nn. 443 e 444.





Capitolo V - IL PURGATORIO

1. Il Vangelo non fa alcuna menzione del purgatorio, che fu ammessodalla Chiesa solo nell'anno 593. È incontestabilmente un dogma più razionale e più conforme dell'inferno alla giustizia divina, poiché stabilisce delle pene meno rigorose e atte a riscattare colpe di media gravità. Il principio del purgatorio è dunque fondato sull'equità, perché, confrontato con la giustizia umana, si tratta di una detenzione temporanea rispetto all'ergastolo. Che cosa si direbbe di un paese il quale non avesse che la pena di morte sia per gli omicidi sia per i semplici reati? Senza il purgatorio, non ci sarebbero per le anime che due estreme alternative: la felicità assoluta o il supplizio eterno. In questa ultima ipotesi, che ne sarebbe delle anime colpevoli soltanto di errori leggeri? O partecipano alla felicità degli eletti senza essere perfette, o subiscono il castigo dei più grandi criminali senza aver esse commesso peccati gravi, cosa che non sarebbe né giusta né razionale.

2. Ma la nozione di purgatorio doveva necessariamente essere incompleta; è per questo che — non conoscendo che la pena del fuoco — se n'è fatta una variazione minore dell'inferno; le anime vi bruciano pure, ma di un fuoco meno intenso. Essendo l'avanzamento delle anime inconciliabile con il dogma dei castighi eterni, esse non ne escono in seguito al loro progresso, ma in virtù delle preghiere che uno dice o fa dire appositamente per loro.

Se il primo pensiero è stato buono, altrettanto non avviene riguardo alle sue conseguenze, a causa degli abusi di cui esso è stato l'origine. Grazie alle preghiere pagate, il purgatorio è diventato una miniera più produttiva dell'inferno. [1]

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[1] Il purgatorio ha dato origine al commercio scandaloso delle indulgenze, grazie alle quali si vendeva l'ingresso in Cielo. Questo abuso è stato il primo motivo della Riforma, ed è quello che indusse Lutero a rifiutare il purgatorio.

3. Il luogo del purgatorio non è mai stato determinato, né è mai stata chiaramente definita la natura delle pene che vi si soffrono. Alla Nuova Rivelazione è stata riservato l'incarico di colmare questa lacuna, spiegandoci le cause delle miserie della vita terrena, la cui giustizia potrebbe esserci dimostrata soltanto dalla pluralità delle esistenze.

Queste miserie sono necessariamente l'effetto delle imperfezioni dell'anima; se l'anima, infatti, fosse perfetta non commetterebbe errori e non dovrebbe subirne le conseguenze. L'uomo che sulla Terra fosse del tutto sobrio e moderato, per esempio, non sarebbe preda delle malattie che gli eccessi generano. Il più delle volte l'uomo si trova a essere infelice sulla Terra per sua stessa colpa; ma se egli è imperfetto, è perché già lo era prima di venire sulla Terra; qui egli espia non solo le sue colpe attuali, ma anche le colpe anteriori che non ha riparato; egli soffre in una vita di prove ciò che, in un'altra esistenza, ha fatto soffrire agli altri. Le vicissitudini ch'egli sopporta sono allo stesso tempo un castigo temporaneo e un avvertimento riguardo alle imperfezioni di cui deve disfarsi, per evitare le disgrazie future e per avanzare verso il bene. Sono per l'anima lezioni d'esperienza, lezioni a volte dure, ma tanto più vantaggiose per l'avvenire quanto più profonda è l'impressione ch'esse lasciano.

Queste vicissitudini sono occasione di lotte incessanti, che sviluppano le forze e le facoltà dell'anima sia morali sia intellettuali. Attraverso queste lotte l'anima si fortifica nel bene e ne esce sempre vittoriosa, se ha il coraggio di sostenerle fino alla fine. Il premio della vittoria sta nella vita spirituale, in cui l'anima entra radiosa e trionfante, come il soldato che esce dalla mischia e va a ricevere la palma gloriosa.

4. Ogni esistenza è per l'anima l'occasione d'un passo avanti; dalla sua volontà dipende che questo passo sia il più lungo possibile, che superi parecchi gradini o che resti sempre allo stesso punto; in quest'ultimo caso essa avrebbe sofferto senza alcun vantaggio. E siccome, presto o tardi, bisogna sempre pagare il proprio debito, bisognerà ch'essa ricominci una nuova esistenza, in condizioni ancora più penose, perché a una macchia non cancellata, essa aggiunge un'altra macchia.

È, dunque, nelle incarnazioni successive che l'anima si libera a poco a poco delle sue imperfezioni, che, in una parola, si purifica finché sia abbastanza pura da meritare di lasciare i mondi dell'espiazione per mondi più felici, e per lasciare più tardi, anche questi, per gioire della felicità suprema.

Il purgatorio non è più, dunque, un'idea vaga e incerta; è una realtà che noi vediamo, che noi tocchiamo e che noi subiamo. Esso è nei mondi dell'espiazione, e la Terra è uno di questi mondi; gli uomini vi espiano il loro passato e il loro presente, a vantaggio del loro futuro. Ma, contrariamente all'idea che uno se ne fa, dipende da ciascun individuo abbreviare o prolungarvi il proprio soggiorno, a seconda del grado di avanzamento e di purificazione, al quale ciascuno è pervenuto attraverso il suo lavoro su sé stesso. Se ne esce, non perché il proprio tempo sia finito o per meriti altrui, ma in conseguenza del proprio stesso merito, secondo queste parole del Cristo: A ciascuno secondo le sue opere, parole che riassumono tutta la giustizia di Dio.

5. Colui, dunque, che soffre in questa vita deve dire a sé stesso che ciò avviene perché non si è sufficientemente purificato nella sua precedente esistenza, e che, se non lo fa in questa, ancora soffrirà nella successiva. Questo è equo e, allo stesso tempo, logico. Essendo la sofferenza inerente all'imperfezione, si soffre per tanto tempo quanto è lungo quello in cui si è imperfetti, così come si soffre di una malattia per tanto tempo finché non se ne è guariti. Così, fin tanto che un uomo sarà orgoglioso, soffrirà delle conseguenze dell'orgoglio, fin tanto che sarà egoista, soffrirà delle conseguenze dell'egoismo.

6. Lo Spirito colpevole soffre prima di tutto nella vita spirituale in ragione del grado delle imperfezioni; poi gli viene data la vita corporea come mezzo di riparazione. È per questo ch'egli si ritrova qui, sia con le persone che ha offeso, sia in ambienti analoghi a quelli in cui ha commesso il male, sia in situazioni che ne sono la contropartita, come, per esempio, di trovarsi in miseria se è stato un ricco malvagio, o in una condizione umiliante se è stato orgoglioso.

L'espiazione, nel mondo degli Spiriti e sulla Terra, non è affatto un doppio castigo per lo Spirito; è il medesimo castigo che si protrae sulla Terra, come complemento, per facilitare il suo miglioramento attraverso un lavoro efficace; dipende però da lui metterlo a profitto. Non vale forse di più per lui ritornare sulla Terra, con la possibilità di guadagnarsi il Cielo, piuttosto che essere condannato senza remissione, lasciandola? Questa libertà, che è a lui accordata, è una prova della saggezza, della bontà e della giustizia di Dio, che vuole che l'uomo debba tutto ai suoi stessi sforzi e sia l'artefice del suo futuro; se egli è infelice e se lo è più o meno a lungo, non può prendersela che con sé stesso: la via del progresso gli è sempre aperta.

7. Se si considera quanto è grande la sofferenza di certi Spiriti colpevoli nel mondo invisibile, quanto è terribile la situazione di alcuni di essi, di quali ansietà essi sono preda, e se si considera quanto questa posizione è resa ancora più penosa dell'impossibilità — a causa del luogo dove essi si trovano — di vederne la fine, si potrebbe dire che per loro questo è l'inferno, se questo termine non implicasse l'idea di un castigo eterno e materiale. Grazie alla rivelazione degli Spiriti e agli esempi ch'essi ci offrono, noi sappiamo che la durata dell'espiazione è subordinata al miglioramento del colpevole.

8. Lo Spiritismo non viene dunque a negare la punizione futura; ma, al contrario, esso viene a constatarla. Ciò che invece esso distrugge è l'inferno localizzato, con le sue fornaci e le sue pene irreparabili. Non nega il purgatorio, poiché dimostra che noi vi ci troviamo; lo definisce e lo precisa, e, spiegando la causa delle miserie terrene, attraverso questa argomentazione spinge a credervi coloro che lo negano.

Lo Spiritismo respinge le preghiere per i trapassati? Proprio il contrario, dal momento che gli Spiriti sofferenti le sollecitano. Lo Spiritismo ne fa anzi un dovere di carità e dimostra l'efficacia che esse hanno nel ricondurre gli Spiriti al bene e nell'abbreviare, con questo mezzo, i loro tormenti. [2] Parlando all'intelligenza, esso ha ricondotto alla fede ì non credenti e alla preghiera coloro che se ne facevano beffe. Ma lo Spiritismo dice anche che l'efficacia delle preghiere è nel pensiero e non nelle parole, che le migliori preghiere sono quelle del cuore e non quelle delle labbra, quelle infine che si pronunciano da sé stessi, e non quelle che si fanno dire a pagamento. Chi dunque oserebbe censurarlo?

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[2] Vedere Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. XXVII: "Azione della preghiera", pag. 320.

9. Che il castigo abbia luogo nella vita spirituale o sulla Terra, e quale che ne sia la durata, esso ha sempre un termine, più o meno lontano, più o meno vicino. In realtà, non ci sono dunque, per lo Spirito che due alternative: punizione temporanea e proporzionale alla colpa e ricompensa proporzionale al merito. Lo Spiritismo respinge la terza alternativa, quella della dannazione eterna. L'inferno resta come figura simbolica delle più grandi sofferenze, il cui termine è sconosciuto. Il purgatorio è la realtà.

Il termine purgatorio suggerisce l'idea di un luogo circoscritto: questo avviene perché si applica più naturalmente alla Terra, considerata come luogo di espiazione, piuttosto che allo Spazio infinito, dove errano gli Spiriti sofferenti; e, inoltre, perché la natura dell'espiazione terrena ha i caratteri della vera espiazione.

Quando gli uomini si saranno migliorati, essi non forniranno al mondo invisibile altro che buoni Spiriti, e questi, incarnandosi, non forniranno all'umanità corporea altro che elementi perfezionati. Cessando, allora, la Terra d'essere un mondo di espiazione, gli uomini non vi soffriranno più quelle miserie che sono le conseguenze delle loro imperfezioni. Questa è la trasformazione che si sta operando in questo momento e che eleverà la Terra nella gerarchia dei mondi. [3]

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[3] Vedere Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. III: "Progresso dei mondi".

10. Perché allora Cristo non avrebbe parlato del purgatorio? Il fatto è che l'idea non esisteva, né vi erano parole per rappresentarla. Egli si servì del termine inferno, il solo che fosse allora in uso, come termine generico, per designare le pene future, senza distinzione. Se, a fianco del termine inferno, avesse posto un termine equivalente a purgatorio, non avrebbe potuto precisarne il vero significato, dal momento che non poteva dar l'avvio a una questione riservata al futuro. Inoltre, si sarebbe dovuta consacrare l'esistenza di due speciali luoghi di castigo. L'inferno, nella sua accezione generale, risvegliando l'idea di punizione, racchiudeva implicitamente quella del purgatorio, che non è altro che un sistema di punizione. Il futuro, dovendo illuminare gli uomini sulla natura delle pene, doveva, proprio per questa ragione, ridurre l'inferno al suo giusto valore.

Poiché la Chiesa ha creduto di dover supplire, dopo sei secoli, al silenzio di Gesù decretando l'esistenza del purgatorio, è perché ha pensato ch'egli non aveva detto tutto. Perché ciò non dovrebbe verificarsi su altri punti?




Capitolo VI - DOTTRINA DELLE PENE ETERNE



Origine della dottrina delle pene eterne

1. La credenza nell'eternità delle pene perde ogni giorno talmente terreno che, senza essere profeta, ciascuno può prevederne la fine alquanto vicina. Tale dottrina è stata combattuta con argomenti così possenti e così perentori, che sembra quasi superfluo d'ora in avanti occuparsene, essendo sufficiente lasciare che essa si estingua da sé stessa. Tuttavia non si può nascondere che, per quanto sia caduca, essa è tuttora il punto di collegamento degli avversari delle idee nuove, punto ch'essi difendono con il massimo accanimento, perché è uno dei lati più vulnerabili e perché essi prevedono le conseguenze della sua caduta. Da questo punto di vista, tale questione merita un serio esame.

2. La dottrina delle pene eterne, come quella dell'inferno materiale, ha avuto la sua ragion d'essere, allorché questa paura poteva costituire un freno per gli uomini intellettualmente e moralmente poco avanzati. Come poco, o niente affatto, sarebbero stati impressionati dall'idea di pene morali, non molto di più lo sarebbero stati dall'idea di pene temporanee. Essi non avrebbero neppure compreso la giustizia delle pene graduate e proporzionate, perché non erano nelle condizioni di cogliere le sfumature, spesso delicate, del bene e del male, né il valore relativo delle circostanze attenuanti o aggravanti.

3. Quanto più gli uomini sono vicini allo stato primitivo, tanto più sono materiali; il senso morale è quello che, in loro, si sviluppa più tardi. Per questo stesso motivo, essi non possono farsi che un'idea molto imperfetta di Dio e dei Suoi attributi, e un'idea non meno vaga della vita futura. Assimilano Dio alla loro stessa natura. Dio è per loro un sovrano assoluto, tanto più temibile in quanto è invisibile, come un monarca despota che, nascosto nel suo palazzo, non si mostra mai ai suoi sudditi. Ed Egli non è potente che per la forza materiale, poiché essi non hanno la concezione della potenza morale; Lo vedono solo armato della folgore, in mezzo a lampi e tempeste, che semina al Suo passaggio la rovina e la desolazione, sull'esempio dei guerrieri invincibili. Un Dio di mansuetudine e di misericordia non sarebbe un Dio, ma un essere debole che non saprebbe farsi obbedire. La vendetta implacabile, i castighi terribili ed eterni, nulla avevano di contrario all'idea che si facevano di Dio, nulla che ripugnasse alla loro ragione. Implacabili essi stessi nei loro risentimenti, crudeli verso i loro nemici, senza pietà per i vinti, Dio, che era loro superiore, doveva per forza essere ancora più terribile.

Per uomini tali, v'era bisogno di credenze religiose adeguate alla loro natura ancora rozza. Una religione tutta spirituale, fatta tutta di amore e di carità, non poteva essere associata alla brutalità dei costumi e delle passioni. Non biasimiamo, perciò, Mosè per la sua legislazione draconiana, che era appena sufficiente a contenere il suo popolo indocile, né d'aver fatto di Dio un Dio vendicatore. Di questo c'era bisogno a quell'epoca; la dolce dottrina di Gesù non vi avrebbe trovato eco e sarebbe stata impotente.

4. Man mano che lo Spirito si è sviluppato, il velo materiale si è poco a poco dissipato, e gli uomini sono stati più adatti a comprendere le cose spirituali; ma ciò non è avvenuto che gradualmente. Quando Gesù è giunto sulla Terra, egli ha potuto annunciare un Dio clemente, ha potuto parlare del Suo regno, che non è di questo mondo, e dire agli uomini: "Amatevi gli uni con gli altri, fate del bene a coloro che vi odiano". Gli antichi, invece, dicevano: "Occhio per occhio, dente per dente".

Orbene, chi erano gli uomini che vivevano al tempo di Gesù? Erano anime da poco create e incarnate? Se così fosse, Dio avrebbe dunque creato al tempo di Gesù delle anime più avanzate che al tempo di Mosè. Ma, allora, che sarebbe avvenuto di queste ultime? Avrebbero esse languito per l'eternità nell'abbrutimento? Il semplice buon senso respinge questa supposizione. No: c'erano le medesime anime, le quali, dopo aver vissuto sotto il dominio della legge mosaica, avevano, attraverso numerose esistenze, acquisito uno sviluppo sufficiente per comprendere una dottrina più elevata. Al giorno d'oggi queste anime sono abbastanza avanzate da ricevere un insegnamento ancora più completo.

5. Tuttavia, il Cristo non ha potuto rivelare ai suoi contemporanei tutti i misteri del futuro. Gesù stesso ha detto: "Io avrei ancora molte cose da dirvi, ma voi non le comprendereste; ed è per questo che io vi parlo in parabole". Su tutto ciò che riguarda la morale, vale a dire i doveri dell'uomo verso l'uomo, egli è stato molto esplicito, perché toccando la sensibile corda della vita materiale, sapeva di essere compreso; sugli altri punti, egli si limita a seminare, sotto forma allegorica, i germi di ciò che dovrà essere sviluppato più tardi.

La dottrina delle pene e delle ricompense future appartiene a quest'ultimo ordine di idee. Soprattutto riguardo alle pene, egli non poteva rompere tutt'a un tratto con le idee precostituite. Egli veniva per indicare agli uomini nuovi doveri: la carità e l'amore verso il prossimo sostituivano lo spirito di odio e di vendetta; l'abnegazione si sostituiva all'egoismo. Ed era già molto. Non poteva razionalmente indebolire il timore del castigo riservato ai prevaricatori, senza indebolire nello stesso tempo l'idea di dovere. Prometteva il regno dei cieli ai buoni; questo regno, dunque, era interdetto ai malvagi; e questi dove sarebbero andati? Inoltre, sarebbe stata necessaria una inversione della Natura, per impressionare delle intelligenze ancora troppo materiali per identificarsi con la vita spirituale. Infatti, non si deve perdere di vista che Gesù si rivolgeva al popolo, alla parte meno illuminata della società, per la quale c'era bisogno di immagini in qualche modo palpabili, e non di idee sottili. È per questo ch'egli, a tale riguardo, non entrava in dettagli superflui: gli bastava contrapporre una punizione alla ricompensa. Non c'era bisogno d'altro a quell'epoca.

6. Se Gesù ha minacciato i colpevoli con il fuoco eterno, li ha anche minacciati che sarebbero stati gettati nella Geenna; ora, che cos'era la Geenna? Un luogo nei dintorni di Gerusalemme, una discarica dove si gettavano le immondizie della città. Si dovrebbe, dunque interpretare anche questo alla lettera? Era una di quelle immagini forti col cui aiuto impressionava le masse. La stessa cosa dicasi per il fuoco eterno. Se tale non fosse stata la sua intenzione, egli sarebbe in contraddizione con sé stesso quando esaltava la clemenza e la misericordia di Dio, poiché la clemenza e l'inesorabilità sono dei contrari che si annullano. Vorrebbe dunque dire ingannarsi bizzarramente sul significato delle parole di Gesù, il fatto di vedervi la convalida del dogma delle pene eterne, dal momento che ogni suo insegnamento proclama la clemenza del Creatore.

Nel Padre nostro, Gesù ci insegna a dire: "Signore, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Se il colpevole non avesse alcun perdono in cui sperare, sarebbe inutile domandarlo. Ma questo perdono è senza condizioni? È una grazia, una remissione pura e semplice della pena in cui si è incorsi? No. La misura di questo perdono è subordinata alla maniera con cui noi stessi avremo perdonato; vale a dire che se noi non perdoniamo, noi non saremo perdonati. Dio, facendo dell'oblio delle offese una condizione assoluta, non poteva esigere che il debole uomo facesse ciò ch'Egli, l'Onnipotente, non avrebbe mai fatto. Il Padre nostro è una sconfessione quotidiana contro l'eterna vendetta di Dio.

7. Per degli uomini che non avevano che una confusa nozione della spiritualità dell'anima, l'idea del fuoco materiale non aveva niente di traumatizzante, anche perché essa sussisteva nella credenza popolare, attinta in quella dell'inferno dei pagani, quasi universalmente diffusa. L'eternità della pena non aveva nulla che ripugnasse a della gente sottomessa da secoli alla legislazione del terribile Geova. Nel pensiero di Gesù, il fuoco eterno non poteva dunque essere che una immagine; poco gli importava che questa immagine fosse presa alla lettera, dal momento che essa doveva servire da freno. Egli sapeva bene che il tempo e il progresso avrebbero dovuto assumersi l'incarico di farne comprendere il senso allegorico, soprattutto allorché, secondo la sua predizione, lo Spirito di Verità sarebbe venuto a illuminare gli uomini su tutte le cose.

Il carattere essenziale delle pene irrevocabili sta nell'inefficacia del pentimento. Ora, mai Gesù ha detto che il pentimento non avrebbe trovato grazia davanti a Dio. Al contrario, in ogni occasione, egli ci mostra un Dio clemente, misericordioso, pronto a ricevere il figliol prodigo rientrato sotto il tetto paterno. Egli ci mostra un Dio inflessibile solo verso il peccatore irriducibile; ma se Egli tiene il castigo in una mano, nell'altra tiene sempre il perdono ed è pronto a riversarlo sul colpevole non appena questi ritorna sinceramente a lui. Questa non è di certo la rappresentazione di un Dio senza pietà. C'è anche da notare che Gesù non ha mai pronunciato contro nessuno, neppure contro i più grandi colpevoli, delle condanne irrevocabili.

8. Tutte le religioni primitive, in accordo con il carattere dei popoli, hanno avuto degli dei guerrieri che combattevano alla testa degli eserciti. Il Geova degli Ebrei forniva loro mille mezzi per sterminare i nemici; egli li ricompensava per la vittoria, li puniva per la sconfitta. A seconda dell'idea che ci si faceva di Dio, si riteneva di onorarlo o di appagarlo con il sangue degli animali o degli uomini: da qui i sacrifici sanguinosi che hanno rappresentato un così grande ruolo in tutte le religioni antiche. I Giudei avevano abolito i sacrifici umani; i Cristiani, nonostante gli insegnamenti del Cristo, hanno per lungo tempo creduto di onorare il Creatore gettando, a migliaia, alle fiamme e alle torture quelli ch'essi chiamavano eretici. Erano, sotto un'altra forma, veri e propri sacrifici umani, poiché venivano fatti per la maggior gloria di Dio e con un accompagnamento di cerimonie religiose. Ancor oggi, i Cristiani invocano il Dio degli eserciti prima del combattimento e lo glorificano dopo la vittoria, e ciò avviene spesso per le cause più ingiuste e più anticristiane.

9. Quanto lento è l'uomo a disfarsi dei suoi pregiudizi, delle sue abitudini, delle sue idee primitive! Quaranta secoli ci separano da Mosè, e la nostra generazione cristiana vede ancora tracce delle antiche usanze barbare consacrate, o almeno approvate, dalla religione attuale! C'è stato bisogno della potenza dell'opinione dei non ortodossi, di coloro che sono ritenuti eretici, per mettere fine ai roghi e far comprendere la vera grandezza di Dio. Ma, in assenza dei roghi, le persecuzioni materiali e morali sono ancora in pieno vigore, tanto l'idea di un Dio crudele è radicata nell'uomo. Cresciuto nei sentimenti che gli vengono inculcati fin dall'infanzia, può forse l'uomo meravigliarsi se il Dio, che gli presentano come onorato da atti barbari, condanna a torture eterne e osserva senza pietà alcuna le sofferenze dei dannati?

Sì. Ci sono dei filosofi — empi secondo alcuni — i quali si sono scandalizzati nel vedere il nome di Dio, profanato da atti indegni di Lui. Sono coloro che l'hanno mostrato agli uomini in tutta la Sua grandezza, dispogliandoLo delle passioni e delle grettezze umane attribuiteGli da una fede non illuminata. La religione ha guadagnato in dignità ciò che essa ha perduto in prestigio esteriore. Infatti, se ci sono meno uomini attaccati alla forma, ce ne sono molti di più che sono sinceramente religiosi con il cuore e con i sentimenti.

Ma, a fianco di questi, quanti sono quelli che, arrestandosi alla superficie, sono stati indotti alla negazione di ogni provvidenza! Non avendo saputo mettere, al momento opportuno, in armonia le credenze religiose con il progresso della ragione umana, si è fatto nascere negli uni il deismo, negli altri la miscredenza assoluta, in altri ancora il panteismo, vale a dire che l'uomo si è fatto dio lui stesso, non vedendone alcuno abbastanza perfetto.




Argomenti a sostegno delle pene eterne

10. Ritorniamo al dogma dell'eternità delle pene. Il principale argomento che viene invocato a suo favore è il seguente:

"È dottrina sancita tra gli uomini che la gravità dell'offesa è proporzionale al valore dell'offeso. L'offesa che è commessa nei confronti di un sovrano, essendo considerata più grave di quella che riguarda soltanto un privato cittadino, è punita più severamente. Ora, Dio è più di un sovrano; poiché Egli è infinito, infinita è l'offesa verso di Lui e deve perciò avere un castigo infinito, cioè eterno."

Confutazione — Ogni confutazione è un ragionamento che deve avere il suo punto di partenza, una base su cui poggiare, in una parola, delle premesse. Noi prendiamo tali premesse negli attributi stessi di Dio:

Dio è unico, eterno, immutabile, immateriale, onnipotente, sovranamente giusto e buono, infinito in tutte le sue perfezioni.

È impossibile concepire Dio in modo diverso dall'infinito delle perfezioni; altrimenti Egli non sarebbe Dio, perché si potrebbe concepire un altro essere che possiede quanto a Lui manca. Perché sia il solo al di sopra di tutti gli esseri, bisogna che non ci sia alcuno che possa superarlo né eguagliarlo in una qualsiasi cosa. Bisogna, dunque, ch'Egli sia infinito in tutto.

Essendo gli attributi di Dio infiniti, essi non sono suscettibili né di aumenti né di diminuzioni; altrimenti non sarebbero infiniti, né Dio sarebbe perfetto. Se si togliesse la più piccola particella da uno solo dei suoi attributi, non si avrebbe più Dio, poiché potrebbe esistere un essere più perfetto.

L'infinito di una qualità esclude la possibilità dell'esistenza di una qualità contraria che potrebbe sminuirla o annullarla. Un essere infinitamente buono non può avere la più piccola particella di malvagità, né l'essere infinitamente malvagio può avere la più piccola particella di bontà; allo stesso modo che un oggetto non potrebbe definirsi d'un nero assoluto, se avesse la più leggera sfumatura di bianco, né definirsi d'un bianco assoluto con la più piccola macchia di nero.

Posto questo punto di partenza, all'argomento di cui sopra vengono opposti gli argomenti che qui di seguito elenchiamo.

11. Un essere infinito può compiere solo qualcosa d'infinito. L'uomo, essendo limitato nelle sue virtù, nelle sue cognizioni, nella sua potenza, nelle sue attitudini, nella sua esistenza terrena, non può produrre che cose limitate.

Se l'uomo potesse essere infinito in ciò che fa di male, egualmente lo sarebbe in ciò che fa di bene, e allora sarebbe uguale a Dio. Ma, se l'uomo fosse infinito in ciò che fa di bene, non farebbe del male, poiché il bene assoluto comporta l'esclusione di ogni male.

Ammettendo che un'offesa temporanea contro la Divinità possa essere infinita, Dio, vendicandosi con un castigo infinito, sarebbe infinitamente vendicativo; s'Egli è infinitamente vendicativo, non può essere infinitamente buono e misericordioso, poiché l'uno di questi attributi è la negazione dell'altro. Se non è infinitamente buono, Egli non è perfetto e, se non è perfetto, Egli non è Dio.

Se Dio è inesorabile verso il colpevole che si pente, Egli non è misericordioso; se non è misericordioso, Egli non è infinitamente buono.

Perché Dio dovrebbe imporre all'uomo una legge del perdono, se Lui stesso non dovesse perdonare? Ne risulterebbe che l'uomo che perdona ai suoi nemici, e rende loro bene per male, sarebbe migliore di Dio che resta sordo al pentimento di colui che l'ha offeso e gli rifiuta, per l'eternità, il più lieve intenerimento!

Dio, che è dappertutto e vede tutto, dovrebbe pur vedere le torture dei dannati. Se è insensibile ai loro lamenti durante tutta l'eternità, Egli è eternamente senza pietà. Se è senza pietà, non è infinitamente buono.

12. A ciò si risponde che il peccatore, che si pente prima di morire, ha la misericordia di Dio, e che allora il più grande colpevole può trovare grazia davanti a Lui.

Questo non è messo in dubbio, e ben si comprende che Dio perdoni solo al pentito e sia inflessibile nei confronti dei protervi. Ma s'Egli è pieno di misericordia per l'anima che si pente prima di aver abbandonato il suo corpo, perché cesserebbe di esserlo per quella che si pente dopo la morte? Perché il pentimento avrebbe efficacia solo in vita, che non è che un istante, e non ne avrebbe più durante l'eternità, che non ha fine? Se la bontà e la misericordia di Dio sono delimitate da un tempo determinato, esse allora non sono infinite, e Dio non è infinitamente buono.

13. Dio è sovranamente giusto. La sovrana giustizia non è la più inesorabile giustizia, né quella che lascia ogni colpa impunita; è quella che tiene conto del bene e del male nel modo più rigoroso, che ricompensa l'uno e punisce l'altro nella più equa proporzione, e non si sbaglia mai.

Se, per una colpa temporanea, che è sempre il risultato della natura imperfetta dell'uomo e, spesso, dell'ambiente in cui egli si trova, l'anima potesse essere punita eternamente, senza speranza né di un alleviamento né di perdono, non ci sarebbe allora nessuna proporzione tra l'errore e la punizione: dunque non ci sarebbe giustizia.

Se il colpevole ritorna a Dio, si pente e chiede di riparare al male che ha fatto, si tratta in questo caso di un ritorno al bene, ai buoni sentimenti. Se il castigo è irrevocabile, questo ritorno al bene è senza frutto; e, poiché non si è tenuto conto del bene, questa non è giustizia. Fra gli uomini, il condannato che si ravvede vede commutata la sua pena, a volte anche tolta. Dunque, nella giustizia umana, ci sarebbe più equità che nella giustizia divina!

Se la condanna è irrevocabile, il pentimento è inutile; il colpevole, non avendo niente da sperare dal suo ritorno al bene, persiste nel male. Dimodoché non solo Dio lo condanna a soffrire eternamente, ma a rimanere anche nel male per l'eternità. Ciò non apparterrebbe né alla giustizia né alla bontà.

14. Essendo infinito in tutte le cose, Dio deve conoscere tutto, il passato e il futuro. Egli deve sapere, al momento della creazione di un'anima, se essa fallirà così gravemente da essere eternamente condannata. Se non dovesse saperlo, il Suo sapere non sarebbe infinito, e allora Egli non è Dio. Se lo sapesse, Egli avrebbe creato volontariamente un essere votato, fin dalla sua formazione, a torture senza fine, e allora Egli non è buono.

Se Dio, toccato dal pentimento d'un dannato, può stendere su di lui la Sua misericordia e toglierlo dall'inferno, non vi sarebbero più pene eterne, e il giudizio pronunciato dagli uomini verrebbe revocato.

15. La dottrina delle pene eterne assolute conduce dunque, forzatamente, alla negazione o allo sminuimento di alcuni degli attributi di Dio. Tale dottrina è, di conseguenza, inconciliabile con la perfezione infinita. Da qui si arriva alla seguente conclusione: se Dio è perfetto, la condanna eterna non esiste; se essa esiste, Dio non è perfetto.

16. Si invoca ancora, a sostegno del dogma dell'eternità delle pene il seguente argomento:

"Poiché la ricompensa accordata ai buoni è eterna, essa deve avere come contropartita una punizione eterna. Proporzionare la punizione alla ricompensa è cosa giusta."

Confutazione — Dio creò l'anima con l'intenzione di renderla felice o infelice? Evidentemente, la felicità della creatura deve essere lo scopo della Sua Creazione, altrimenti Dio non sarebbe buono. La creatura raggiunge la felicità attraverso il suo stesso merito; acquisito il merito, essa non può perderne il frutto, altrimenti degenererebbe. L'eternità della felicità è dunque la conseguenza della sua immortalità.

Ma, prima di arrivare alla perfezione, essa deve sostenere delle lotte, deve dar battaglia alle cattive passioni. Non avendola Dio creata perfetta, ma suscettibile di divenirlo, affinché essa abbia il merito delle sue azioni, l'anima può fallire. Le sue cadute sono le conseguenze della sua naturale fragilità. Se, per una caduta, essa dovesse essere punita eternamente, ci si potrebbe chiedere perché Dio non l'ha creata più forte. La punizione che subisce è l'avvertimento che essa ha commesso del male, e deve avere come risultato, quello di ricondurla sulla retta via. Se la pena fosse irremissibile, il suo desiderio di fare meglio sarebbe superfluo; perciò il fine provvidenziale della creazione non potrebbe essere raggiunto, poiché vi sarebbero esseri predestinati alla felicità e altri all'infelicità. Se un'anima colpevole si pente, potrebbe divenire buona; potendo divenire buona, essa può aspirare alla felicità. Dio, rifiutandogliene i mezzi sarebbe giusto?

Essendo il bene lo scopo finale della Creazione, la felicità — che ne è il premio — deve essere eterna; il castigo — che è un mezzo per arrivarvi — deve essere temporaneo. La più comune nozione di giustizia, anche tra gli uomini, dice che non si può punire perpetuamente colui che ha il desiderio e la volontà di agire bene.


17. Un'ultima argomentazione a favore dell'eternità delle pene è il seguente:

"La paura di un castigo eterno è un freno; se lo si toglie, l'uomo, non temendo più nulla, si abbandonerà a ogni trasgressione."

Confutazione — Questo ragionamento sarebbe giusto, se la non-eternità delle pene comportasse la soppressione di ogni sanzione penale. La condizione felice o infelice nella vita futura è una conseguenza rigorosa della giustizia di Dio, poiché un'uguaglianza di situazione tra l'uomo buono e l'uomo perverso sarebbe la negazione di questa giustizia. Ma per il fatto di non essere eterno, non è che il castigo sia meno penoso; inoltre, tanto più lo si teme quanto più vi si crede, e tanto più vi si crede quanto più esso è razionale. Una pena alla quale non si creda non è più un freno, e l'eternità delle pene fa parte di questo caso.

La credenza nelle pene eterne, come già abbiamo detto, ha avuto la sua utilità e la sua ragion d'essere in una certa epoca; al giorno d'oggi, non solo essa non impressiona più, ma genera non credenti. Prima di porla come una necessità, bisognerebbe dimostrarne la realtà. Bisognerebbe, soprattutto, che se ne vedesse l'efficacia su coloro che la preconizzano e si sforzano di dimostrarla. Disgraziatamente, tra di essi, troppi dimostrano con le loro azioni di non esserne affatto spaventati. Se tale credenza è impotente a reprimere il male in quanti dicono di credervi, quale potere può essa avere su coloro che non vi credono?




Impossibilità materiale delle pene eterne

18. Fin qui, il dogma dell'eternità delle pene non è stato combattuto che con il ragionamento; ora lo mostreremo in contraddizione con i fatti positivi che abbiamo sotto gli occhi e ne proveremo l'impossibilità.

Secondo questo dogma, la sorte dell'anima è irrevocabilmente fissata dopo la morte. Ed è dunque, questo, un punto d'arresto definitivo applicato al progresso. Ora, l'anima progredisce sì o no? Sta qui tutta la questione. Se essa progredisce, l'eternità delle pene è impossibile.

Si può forse dubitare di questo progresso, quando si vede l'immensa varietà di attitudini morali e intellettuali che esistono sulla terra, dal selvaggio all'uomo civilizzato? Quando si vedono le differenze che un medesimo popolo presenta da un secolo all'altro? Se si ammette che non sono più le medesime anime, bisogna ammettere, allora, che Dio crea anime a tutti i livelli d'avanzamento, secondo i tempi e i luoghi; ch'Egli favorisce le une, mentre destina le altre a una inferiorità perpetua, cosa che è incompatibile con la giustizia, che deve essere la stessa per tutte le creature.

19. È incontestabile che l'anima, intellettivamente e moralmente arretrata come quella dei popoli barbari, non può possedere i medesimi elementi di felicità, le medesime attitudini a godere degli splendori dell'infinito, dell'anima le cui facoltà sono tutte largamente sviluppate. Dunque, se queste anime non progrediscono, non possono — e nelle condizioni a loro più favorevoli — godere in eterno che di una felicità per così dire negativa. Si arriva, dunque, per forza di cose — per essere d'accordo con una giustizia rigorosa — a questa conclusione: le anime, quelle più avanzate, sono proprio quelle stesse che erano arretrate e che sono progredite. Ma qui tocchiamo la grande questione della pluralità delle esistenze, come unico mezzo razionale per risolvere la difficoltà del problema. Tuttavia, prescindendo da ciò, considereremo l'anima sotto il punto di vista di una esistenza unica.

20. Ecco, come se ne vedono tanti, un giovane di vent'anni, ignorante, dagli istinti viziosi, che nega Dio e la sua anima, che si abbandona al disordine e che commette ogni genere di misfatti. Tuttavia egli si trova in un ambiente favorevole al suo miglioramento; lavora, s'istruisce, a poco a poco si corregge e infine diventa pio. Non è forse questo un esempio palpabile del progresso dell'anima durante la vita? E non se ne vedono forse di simili tutti i giorni? Questo uomo muore santamente in età avanzata, e naturalmente la sua salvezza è assicurata. Ma quale sarebbe stata la sua sorte, se un caso accidentale l'avesse portato alla morte quaranta o cinquant'anni prima? Egli si trovava in tutte quelle condizioni atte a essere dannato; orbene, una volta dannato, ogni progresso si sarebbe arrestato. Ecco, dunque, un uomo che si è salvato perché ha vissuto a lungo, e che, secondo la dottrina delle pene eterne, sarebbe stato perduto per sempre se fosse vissuto meno, cosa che poteva accadere per incidente fortuito. Dal momento che la sua anima ha potuto progredire in un determinato tempo, perché non avrebbe potuto progredire nel medesimo tempo dopo la morte, se una causa indipendente dalla sua volontà gli avesse impedito di farlo durante la vita? Perché Dio gliene avrebbe rifiutato i mezzi? Il pentimento, sia pure tardivo, sarebbe pur sempre venuto a suo tempo. Ma se, dall'istante della sua morte, una condanna irremissibile lo avesse colpito, il suo pentimento sarebbe stato senza frutto per l'eternità e la sua attitudine a progredire sarebbe stata distrutta per sempre.

21. Il dogma dell'eternità assoluta delle pene è dunque inconciliabile con il progresso dell'anima, poiché vi opporrebbe un ostacolo invalicabile. Questi due principi si annullano per forza di cose l'un l'altro; se esiste l'uno, non può esistere l'altro. Quale dei due esiste? La legge del progresso è palese: non è una teoria, questo è un fatto convalidato dall'esperienza; è una legge di natura, una legge divina, imprescrittibile. Dunque, poiché essa esiste e poiché non può conciliarsi con l'altra, vuol dire che l'altra non esiste. Se il dogma dell'eternità delle pene fosse una verità, sant'Agostino, san Paolo e molti altri non avrebbero mai visto il cielo se fossero morti prima del progresso che ha originato la loro conversione.

A quest'ultima asserzione, si risponde che la conversione di questi personaggi santi non è il risultato del progresso dell'anima, ma della grazia che fu loro accordata e dalla quale essi furono toccati.

Ma a questo punto è voler giocare con le parole. Se essi hanno commesso il male e più tardi compiuto il bene, significa che essi sono diventati migliori; essi dunque sono progrediti. Dio avrebbe, perciò, accordato loro, attraverso un favore speciale, la grazia di correggersi? Perché a loro sì e ad altri no? Si tratta sempre della dottrina dei privilegi, incompatibile con la giustizia di Dio e con il Suo amore, eguale per tutte le Sue creature.

Secondo la Dottrina Spiritista, in accordo con le parole stesse del Vangelo, con la logica e con la giustizia più rigorosa, l'uomo è il figlio delle sue opere, durante questa vita e dopo la morte; egli non deve nulla al favore: Dio lo ricompensa dei suoi sforzi e lo punisce per la sua negligenza, per tutto il tempo ch'egli è negligente.




La dottrina delle pene eterne ha fatto il suo tempo

22. La credenza nell'eternità delle pene materiali è rimasta come un salutare timore fin quando gli uomini non sono stati in grado di comprendere la potenza morale. È ciò che succede con i bambini, i quali sono tenuti a bada, per un certo tempo, mediante la minaccia di esseri chimerici, con i quali li si spaventa. Ma arriva un momento in cui la ragione del bambino fa da sé stessa giustizia delle favole con cui si è cullata la sua infanzia; sarebbe perciò assurdo pretendere ora di governarlo con i medesimi mezzi. Se quelli che lo guidano persisteranno nel dire al bambino che quelle favole sono delle verità che bisogna prendere alla lettera, essi perderanno la sua fiducia.

Così è oggi per l'Umanità: è uscita dall'infanzia e si è scrollata di dosso le sue briglie. L'uomo non è più quello strumento passivo che si piegava sotto la forza materiale, né quell'essere ingenuo che accettava tutto, a occhi chiusi.

23. Il credere è un atto dell'intelletto, è per questo che non può essere imposto. Se, durante un certo periodo dell'Umanità, il dogma dell'eternità delle pene ha potuto essere inoffensivo, persino salutare, arriva un momento in cui esso diviene dannoso. Infatti, dal momento in cui lo imponete come verità assoluta, allorché la ragione lo rifiuta, ne risulta necessariamente una di queste due cose: o l'uomo che vuole credere si crea una credenza più razionale — e, in tal caso, si allontana da voi —; oppure non crede più a niente del tutto. È evidente, per chiunque abbia studiato la questione a mente fredda, che ai nostri giorni, il dogma dell'eternità delle pene ha generato più materialisti e atei che tutti i filosofi.

Le idee seguono un corso incessantemente progressivo; non si possono governare gli uomini che seguendo questo corso; volerlo arrestare o farlo retrocedere, o semplicemente restare indietro allorché esso avanza, vuol dire perdersi. Seguire o non seguire questo movimento è una questione di vita o di morte, per le religioni così come per i governanti. È un bene? È un male? Sicuramente è un male agli occhi di quanti, vivendo del passato, vedono questo passato sfuggir loro di mano; per quanti vedono il futuro, è la legge del progresso, che è una legge di Dio, e contro le leggi di Dio ogni resistenza è inutile; lottare contro la Sua volontà è volersi schiantare.

Perché, dunque, volere per forza sostenere una credenza che cade in disuso e che in definitiva fa più male che bene alla religione? Ahimè! È triste doverlo dire, ma qui una questione materiale surclassa la questione religiosa. Questa credenza è stata largamente sfruttata, sostenuta com'era dall'idea secondo cui con il denaro ci si potevano far aprire le porte del cielo, e salvarsi così dall'inferno. Le somme che questa credenza ha apportato e che tuttora apporta sono incalcolabili; è l'imposta prelevata sulla paura dell'eternità. Essendo questa imposta facoltativa, il prodotto è proporzionale alla credenza; se la credenza non esiste più, il prodotto diviene nullo. Il bambino dà volentieri il suo dolce a chi gli promette di scacciare il lupo mannaro; ma quando il bambino non crede più al lupo mannaro, si tiene il suo dolce.

24. La Nuova Rivelazione, dando della vita futura idee più sane e dimostrando che si può realizzare la propria salvezza per mezzo delle proprie opere, deve incontrare una opposizione tanto più viva, in quanto prosciuga una delle più importanti fonti di reddito. Accade così ogni volta che una scoperta o una invenzione viene a cambiare costumi inveterati e prestabiliti. Coloro che vivono degli antichi e costosi procedimenti li loda, mentre denigra quelli nuovi più economici. Per esempio, si crede forse che la stampa, nonostante i servigi che avrebbe reso all'Umanità, sia stata acclamata dalla numerosa categoria dei copisti? No di certo; essi dovettero di sicuro maledirla. È avvenuto così per le macchine, per la ferrovia e per cento altre cose.

Agli occhi dei miscredenti, il dogma dell'eternità delle pene è una questione futile, di cui essi si fanno beffe. Agli occhi del filosofo, esso comporta una gravità sociale, per gli abusi ai quali dà luogo. L'uomo veramente religioso vede quanto la dignità della religione sia interessata alla distruzione di questi abusi e delle loro cose.




Ezechiele contro l'eternità delle pene e il peccato originale

25. A coloro che pretendono di trovare nella Bibbia la giustificazione circa l'eternità delle pene, si possono opporre testi contrari, che non consentono alcuna ambiguità. Le parole di Ezechiele, qui di seguito riportate, sono la più esplicita negazione non solo delle pene irremissibili, ma anche della responsabilità che il peccato del padre del genere umano avrebbe fatto pesare sulla sua razza.

«1. La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini:

2. "Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: 'I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?' 3. Com'è vero che io vivo, dice Dio, il Signore, non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. 4. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà.

5. Se uno è giusto e pratica l'equità e la giustizia, 6. se non mangia sui monti e non alza gli occhi verso gli idoli della casa d'Israele, se non contamina la moglie del suo prossimo, se non si accosta a donna mentre è impura, 7. se non opprime nessuno, se restituisce al debitore il suo pegno, se non commette rapine, se dà il pane a chi ha fame e copre di vesti chi è nudo, 8. se non presta a interesse e non dà a usura, se allontana la sua mano dall'iniquità e giudica secondo verità fra uomo e uomo, 9. se segue le mie leggi e osserva le mie prescrizioni agendo con fedeltà, egli è giusto; certamente vivrà, dice Dio, il Signore.

10. Ma se ha generato un figlio che è un violento, che sparge il sangue e fa a suo fratello qualcuna di queste cose 11. (cose che il padre non commette affatto): mangia sui monti, e contamina la moglie del suo prossimo, 12. opprime l'afflitto e il povero, commette rapine, non restituisce il pegno,alza gli occhi verso gli idoli, fa delle abominazioni, 13. presta a interesse e dà a usura, questo figlio vivrà forse? No, non vivrà! Egli ha commesso tutte queste abominazioni, e sarà certamente messo a morte; il suo sangue ricadrà su di lui.

14. Ma se egli ha generato un figlio, il quale, dopo aver visto tutti i peccati che suo padre ha commesso, vi riflette e non fa tali cose: 15. non mangia sui monti, non alza gli occhi verso gli idoli della casa d'Israele, non contamina la moglie del suo prossimo, 16. non opprime nessuno, non prende pegni, non commette rapine, ma dà il suo pane a chi ha fame, copre di vesti chi è nudo, 17. non fa pesare la mano sul povero, non prende interesse né usura, osserva le mie prescrizioni e segue le mie leggi, questo figlio non morrà per l'iniquità del padre; egli certamente vivrà. 18. Suo padre, siccome è stato un oppressore, ha commesso rapine a danno del fratello e ha fatto ciò che non è bene in mezzo al suo popolo, ecco che muore per la sua iniquità.

19. Se voi diceste: 'Perché il figlio non paga per l'iniquità del padre?' Ciò è perché quel figlio pratica l'equità e la giustizia, osserva tutte le mie leggi e le mette a effetto. Certamente egli vivrà. 20. La persona che pecca è quella che morirà, il figlio non pagherà per l'iniquità del padre, e il padre non pagherà per l'iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l'empietà dell'empio sarà sull'empio. 21. Se l'empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l'equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. 22. Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. 23. Io provo forse piacere se l'empio muore? dice Dio, il Signore. Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive?"» (Ezechiele 18:1-23).

«Dì loro: "Com'è vero che io vivo", dice Dio, il Signore, "io non mi compiaccio della morte dell'empio, ma che l'empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morireste, o casa d'Israele?"» (Ezechiele 33:11).





Capitolo VII - LE PENE FUTURE SECONDO LO SPIRITISMO

La carne è debole

Ci sono delle tendenze viziose che sono evidentemente proprie dello Spirito, perché attengono più al morale che al fisico; altre sembrano piuttosto la conseguenza dell'organismo, e, per questo motivo, uno se ne crede meno responsabile: tali sono la predisposizione alla collera, alla pigrizia, alla sensualità ecc.

È perfettamente riconosciuto al giorno d'oggi, da parte dei filosofi spiritualisti, che gli organi cerebrali, corrispondenti alle diverse attitudini, devono il loro sviluppo all'attività dello Spirito; e che tale sviluppo è così un effetto e non una causa. Un uomo non è un musicista perché ha il bernoccolo della musica, ma ha il bernoccolo della musica semplicemente perché il suo Spirito è musicista.

Se l'attività dello Spirito agisce sul cervello, egualmente essa deve agire sulle altre parti dell'organismo. Lo Spirito è, perciò, l'artista del suo stesso corpo che forgia, per così dire, in modo da adattarlo alle sue esigenze e alla manifestazione delle sue tendenze. Stabilito ciò, la perfezione del corpo delle razze più avanzate non sarebbe, dunque, il prodotto di creazioni distinte, ma il risultato del lavoro dello Spirito, che perfeziona il suo utensile, nella misura in cui le sue facoltà aumentano.

Per una conseguenza naturale di questo principio, le disposizioni morali dello Spirito devono modificare le qualità del sangue, dargli una maggiore o minore attività, provocare una secrezione più o meno abbondante di bile o di altri fluidi. È così, per esempio, che il goloso si sente venire l'acquolina in bocca alla vista di un piatto appetitoso. Non è certo il piatto che può sovreccitare l'organo del gusto, dal momento che non v'è contatto; è dunque lo Spirito, la cui sensibilità viene risvegliata, che agisce attraverso il pensiero su questo organo, mentre su un'altra persona la vista di quel piatto non produce alcun effetto. Ancora per la stessa ragione accade che una persona sensibile versi facilmente le lacrime; non è l'abbondanza delle lacrime che dà la sensibilità allo Spirito, ma è la sensibilità dello Spirito che provoca la secrezione abbondante delle lacrime. Sotto il dominio della sensibilità, l'organismo si è adeguato a questa normale disposizione dello Spirito, come si è adeguato a quella dello Spirito goloso.

Seguendo quest'ordine di idee, si comprende come uno Spirito irascibile debba indurre a un temperamento bilioso. Ne consegue che un uomo non è collerico perché è bilioso, ma è bilioso perché è collerico. E avviene la stessa cosa per tutte le altre disposizioni istintive; uno Spirito pigro e indolente lascerà il suo organismo in uno stato di atonia in rapporto con il suo carattere; mentre, s'egli è attivo ed energetico, darà al suo sangue e ai suoi nervi delle qualità perfettamente opposte. L'azione dello Spirito sul fisico è talmente evidente che spesso si notano gravi disordini organici prodursi per effetto di violente commozioni morali. L'espressione popolare, l’emozione gli ha rivoltato il sangue, non è poi così priva di senso quanto uno potrebbe credere. Orbene, che cosa avrebbe potuto rivoltare il sangue, se non una disposizione morale dello Spirito?

Si può dunque ammettere che il temperamento è, almeno in parte, determinato dalla natura dello Spirito, che è causa e non effetto. Diciamo in parte, poiché ci sono dei casi in cui il fisico influisce in modo evidente sul morale: ciò avviene allorché uno stato morboso o anormale è determinato da una causa esterna, accidentale, non dipendente dallo Spirito, quali la temperatura, il clima, i vizi ereditari di costituzione, una malattia passeggera ecc. Il morale dello Spirito può allora essere alterato nelle sue manifestazioni dallo stato patologico, senza però che sia modificata la sua natura intrinseca.

Scusarsi dei propri errori adducendo la fragilità della carne, altro non è che un sotterfugio per sottrarsi alla propria responsabilità. La carne è debole solo perché debole è lo Spirito, la qual cosa ribalta la questione e lascia allo Spirito la responsabilità di tutti i suoi atti. La carne che non ha né pensiero né volontà, non prevale mai sullo Spirito, che è l'essere che pensa e che vuole. È lo Spirito che dà alla carne le qualità corrispondenti ai suoi istinti, così come un artista imprime alla sua opera materiale l'impronta del suo genio. Lo Spirito, affrancato dagli istinti della bestialità, si modella un corpo che non è più un tiranno per le sue aspirazioni verso la spiritualità del suo essere. Ciò avviene allorché l'uomo mangia per vivere — poiché vivere è una necessità —, ma non vive più per mangiare.

La responsabilità morale degli atti della vita resta dunque intatta; ma la ragione ci dice che le conseguenze di questa responsabilità devono essere in rapporto con lo sviluppo intellettuale dello Spirito; più questo è illuminato e meno è giustificabile, poiché con l'intelligenza e con il senso morale nascono le nozioni del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto.

Questa legge spiega l'insuccesso della Medicina in taluni casi. Dal momento che il temperamento è un effetto e non una causa, gli sforzi tentati per modificarlo sono necessariamente paralizzati dalle disposizioni morali dello Spirito, il quale, opponendo una inconscia resistenza, neutralizza l'azione terapeutica. È, dunque, sulla prima causa che bisogna agire. Date, se è possibile, coraggio al codardo, e voi vedrete cessare gli effetti psicologici della paura.

Ciò prova una volta di più la necessità, per l'arte del guarire, di tener conto dell'azione dell'elemento spirituale sull'organismo (Rivista Spiritista, marzo 1869, p. 65).

Principi della Dottrina Spiritista sulle pene future

Per ciò che concerne le pene future, la Dottrina Spiritista non è fondata su una teoria preconcetta, più che nelle altre sue parti. Non si tratta, cioè, di un sistema che sostituisce un altro sistema: in tutte le cose, essa si basa su delle osservazioni; ed è questo che costituisce la sua autorevolezza. Nessuno, dunque, ha mai immaginato che le anime, dopo la morte, debbano trovarsi nella tale o tal'altra situazione; ma sono esse, le anime stesse, che, abbandonata la Terra, vengono oggi a iniziarci ai misteri della vita futura, a descrivere la loro condizione felice o infelice, le loro impressioni e la loro trasformazione alla morte del corpo; a completare, in una parola, su questo punto, l'insegnamento del Cristo.

Non si tratta, qui, della relazione d'un solo Spirito, il quale potrebbe vedere le cose solo dal suo punto di vista, sotto un solo aspetto, oppure essere ancora dominato dai pregiudizi terreni; né si tratta di una rivelazione fatta a un solo individuo, il quale potrebbe lasciarsi ingannare dalle apparenze; né di una visione estatica che si presta alle illusioni e che, spesso, non è che il riflesso di una immaginazione esaltata; [1] ma si tratta di innumerevoli esempi forniti da tutte le categorie di Spiriti, da quella più in alto fino a quella più in basso della scala, con l'aiuto di innumerevoli intermediari disseminati su tutti i punti del globo, di modo che la rivelazione non è il privilegio di nessuno, ciascuno è in grado di vedere e di osservare, e nessuno è obbligato a credere attraverso la credenza altrui.

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[1] Vedere qui sopra, cap. VI , n. 7; e Il libro degli Spiriti, nn. 443 e 444

Codice penale della vita futura

Lo Spiritismo non viene, dunque, con la sua autorità privata, a formulare un codice di fantasia. La sua legge, per quanto concerne il futuro dell'anima, viene dedotta da osservazioni raccolte sul fatto. Essa può riassumersi nei punti che seguono.

1° L'anima, o lo Spirito, subisce nella vita spirituale le conseguenze di tutte le imperfezioni di cui essa non si è liberata durante la vita corporea. Il suo stato, felice o infelice, è inerente al grado della sua purificazione o delle sue imperfezioni.

2° La felicità perfetta è legata alla perfezione, vale a dire alla completa purificazione dello Spirito. Ogni imperfezione è nello stesso tempo una causa di sofferenza e di privazione della letizia, così come ogni qualità acquisita è una causa di letizia e di attenuazione delle sofferenze.

Non c'è una sola imperfezione dell'anima che non porti con sé conseguenze dolorose e inevitabili, né v'è una sola buona qualità che non sia fonte di gioia. La somma delle pene è, perciò, proporzionale alla somma delle imperfezioni, allo stesso modo che quella delle gioie è in ragione della somma delle qualità.

L'anima che abbia, per esempio, dieci imperfezioni soffre più di quella che ne abbia solo tre o quattro. Quando di quelle dieci imperfezioni non gliene resterà che un quarto o la metà, l'anima soffrirà meno; quando poi non le resteranno più imperfezioni, allora non soffrirà più del tutto e sarà perfettamente Felice. Come, sulla Terra, colui che ha parecchie malattie soffre più di quello che ne ha una sola o di quello che non ne ha affatto, per la stessa ragione l'anima che possiede dieci qualità ha più gioie di quella che ne ha meno.

4° In virtù della legge del progresso, avendo ogni anima la possibilità di acquisire il bene che le manca e di sbarazzarsi di quanto possiede di malvagio, secondo i suoi sforzi e la sua volontà, ne consegue che l'avvenire non è precluso ad alcuna creatura. Dio non ripudia nessuno dei Suoi figli; Egli li accoglie nel Suo seno, nella misura in cui raggiungono la perfezione, lasciando così a ognuno il merito delle proprie azioni.

5° Essendo la sofferenza legata all'imperfezione, così come la letizia è legata alla perfezione, l'anima porta in sé stessa il suo castigo dappertutto, ovunque essa si trovi; per questo non c'è bisogno di un luogo circoscritto. L'inferno, dunque, si trova dappertutto, ovunque cioè vi siano delle anime sofferenti; così come il cielo si trova dappertutto, ovunque vi siano delle anime felici.

6° Il bene e il male che si commettono sono il prodotto delle buone e cattive qualità che ciascuno possiede. Non fare il bene che si è in grado di fare è dunque il risultato di una imperfezione. Se ogni imperfezione è una fonte di sofferenza, lo Spirito deve soffrire non solo per tutto il male che ha commesso, ma anche per tutto il bene che avrebbe potuto fare e che, durante la sua vita terrena, non ha fatto.

7° Lo Spirito soffre inoltre per il male che ha commesso, affinché, essendo la sua attenzione incessantemente portata sulle conseguenze di questo male, ne comprenda meglio gli inconvenienti e sia così sollecitato a correggersene.

8° Essendo la giustizia divina infinita, viene rigorosamente tenuto un conto del bene e del male; se non c'è una sola cattiva azione, un solo cattivo pensiero che non abbia le sue conseguenze fatali, neppure c'è una sola buona azione, un solo moto positivo dell'anima, in una parola il più lieve merito, che vada perduto, persino presso le persone più perverse, poiché ciò è un inizio di progresso.

9° Ogni colpa commessa, ogni male realizzato, è un debito che si è contratto e che deve essere pagato; se non è stato pagato in una esistenza, Io sarà in quella seguente o in quelle seguenti, poiché tutte le esistenze sono solidali le une con le altre. Colui che si sdebita nell'esistenza presente non dovrà pagare una seconda volta.

10° Lo Spirito subisce la pena delle sue imperfezioni, sia nel mondo spirituale, sia nel mondo corporeo. Tutte le miserie, tutte le vicissitudini che si subiscono nella vita corporea sono conseguenze delle nostre imperfezioni, sono espiazioni di colpe commesse, sia nell'esistenza presente, sia in quelle precedenti.

Dalla natura delle sofferenze e delle vicissitudini che si subiscono nella vita corporea, si può giudicare la natura delle colpe commesse in una precedente esistenza e la natura delle imperfezioni che ne sono la causa.

11° L'espiazione varia a seconda della natura e della gravità della colpa; la medesima colpa può così dar luogo a espiazioni differenti, secondo le circostanze attenuanti o aggravanti nelle quali essa è stata commessa.

12° Non esiste circa la natura e la durata del castigo, alcuna regola assoluta e uniforme. La sola legge generale è quella secondo cui ogni colpa riceve la sua punizione, e ogni buona azione la sua ricompensa, secondo il suo valore.

13° La durata del castigo è subordinata al miglioramento dello Spirito colpevole. Nessuna condanna per un determinato tempo viene mai pronunciata contro di lui. Ciò che Dio esige per mettere termine alle sofferenze è un miglioramento serio ed effettivo, e un ritorno sincero al bene.

Lo Spirito è, così, sempre l'arbitro della sua propria sorte: egli può prolungare le sue sofferenze con la sua ostinazione nel male, può attenuarle o abbreviarle con i suoi sforzi per compiere il bene.

Una condanna per un tempo determinato qualsiasi avrebbe un doppio inconveniente: quello di continuare a punire lo Spirito che si fosse migliorato, oppure quello di cessare di punirlo quando egli si trovasse ancora nel male. Dio, che è giusto, punisce il male fin tanto che esiste; cessa di punire quando il male non esiste più; [2] oppure — se si vuole — essendo il male morale, per sé stesso, una causa di sofferenza, la sofferenza dura per tanto tempo quanto sussiste il male; e l'intensità della sofferenza diminuisce nella misura in cui il male si affievolisce.

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[2] Vedere al cap. VI, n. 25, una citazione di Ezechiele.
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14° Essendo la durata del castigo subordinata al miglioramento, ne consegue che lo Spirito colpevole che non si fosse mai migliorato soffrirebbe sempre, e che, per lui, la pena sarebbe eterna.

15° Una condizione inerente all'inferiorità degli Spiriti è di non poter presagire il termine della loro situazione e di credere ch'essi soffriranno per sempre. È un castigo che sembra loro dover essere eterno. [3]

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[3] Perpetuo è sinonimo di eterno. Si dice: il limite delle nevi perpetue; i ghiacci eterni dei poli. Si dice anche: il segretario perpetuo dell'Accademia, il che non vuol dire che lo sarà in eterno, ma unicamente per un tempo illimitato. Eterno e perpetuo si usano dunque nel senso di indeterminato. In tale accezione, si può dire che le pene sono eterne, se si vuole intendere che esse non hanno una durata limitata; sono eterne per lo Spirito che non ne vede il termine.
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16° Il pentimento è il primo passo verso il miglioramento; ma esso solo non basta, c'è bisogno ancora dell'espiazione e della riparazione.

Pentimento, espiazione e riparazione sono le tre condizioni necessarie per cancellare le tracce d'una colpa e le sue conseguenze.

Il pentimento addolcisce i dolori dell'espiazione in quanto dà la speranza e prepara le vie della riabilitazione; ma soltanto la riparazione può annullare l'effetto distruggendo la causa; il perdono sarebbe una grazia e non un annullamento.

17° Il pentimento può aver luogo dappertutto e in ogni tempo; se esso è tardivo, il colpevole soffre più a lungo. L'espiazione consiste nelle sofferenze fisiche e morali — che sono la conseguenza della colpa commessa — sia fin dalla vita presente; sia, dopo la morte, nella vita spirituale; sia in una nuova esistenza corporea, finché le tracce della colpa siano cancellate.

La riparazione consiste nel fare del bene a colui cui si è fatto del male. Chi non riparai suoi torti in questa vita, per impossibilità o cattiva volontà, si ritroverà, in una ulteriore esistenza, in contatto con le medesime persone che hanno avuto di che lamentarsi nei suoi confronti, e nelle condizioni da lui stesso scelte, in maniera da poter loro dimostrare la sua dedizione e far loro tanto bene quanto male fece loro in passato.

Non tutte le colpe arrecano un pregiudizio diretto ed effettivo; in questo caso, la riparazione si realizza: facendo ciò che si doveva fare e non si è fatto, assolvendo i doveri che si sono trascurati o disconosciuti, compiendo le missioni in cui si è fallito; praticando il bene a risarcimento di ciò che si è fatto di male, vale a dire essendo umili se si è stati orgogliosi, dolci se si è stati duri, caritatevoli se si è stati egoisti, benevoli se si è stati malevoli, laboriosi se si è stati pigri, utili se si è stati inutili, sobri se si è stati dissoluti, di buon esempio se si è dato cattivo esempio ecc. È così che lo Spirito progredisce mettendo a profitto il suo passato. [4]

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[4] La necessità della riparazione è un principio di rigorosa giustizia, che si può considerare come la vera legge di riabilitazione morale degli Spiriti. Si tratta di una dottrina che finora nessuna religione ha proclamato.

Tuttavia alcune persone la respingono, perché trovano più comodo cancellare le loro cattive azioni con un semplice pentimento che costa solo delle parole e con l'aiuto di alcune formule; libere tali persone di credersi esentate: vedranno più tardi se ciò è loro sufficiente. Si potrebbe chiedere loro se questo principio non è forse consacrato dalla legge umana, e se la giustizia di Dio può essere inferiore a quella degli uomini. E, ancora, si potrebbe chiedere loro se esse si riterrebbero soddisfatte di un individuo il quale, avendole rovinate abusando della loro fiducia, si limitasse a dir loro ch'egli ne è infinitamente dispiaciuto. Perché tali persone, dovrebbero ritrarsi davanti a un obbligo che ogni onest'uomo si fa un dovere di compiere, nella misura delle sue forze?

Allorché questa prospettiva della riparazione sarà inculcata nella credenza delle masse, essa sarà un freno ben altrimenti potente di quello dell'inferno e delle pene eterne, perché tocca l'attualità della vita, e perché l'uomo comprenderà la ragion d'essere delle penose circostanze in cui si trova collocato.
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18° Gli Spiriti imperfetti sono esclusi dai mondi felici, la cui armonia verrebbe da loro turbata; essi restano nei mondi inferiori dove espiano le loro colpe attraverso le tribolazioni della vita; si purificano delle loro imperfezioni, fin quando meritano d'incarnarsi nei mondi moralmente e fisicamente più avanzati.

Se si può concepire un luogo di castigo circoscritto, questo è nei mondi di espiazione, perché è attorno a questi mondi che pullulano gli Spiriti imperfetti disincarnati, attendendo una nuova esistenza che, permettendo loro di riparare al male che hanno fatto, contribuirà al loro avanzamento.

19° Avendo lo Spirito sempre il suo libero arbitrio, lento è talvolta il suo miglioramento, e molto tenace la sua ostinazione nel male. Egli può persistervi degli anni e anche dei secoli; ma arriva sempre il momento in cui la sua caparbietà nello sfidare la giustizia di Dio si piega davanti alla sofferenza, e in cui, malgrado la sua protervia, egli riconosce la potenza superiore che lo domina. Non appena si manifestano in lui i primi barlumi del pentimento, Dio gli fa intravedere la speranza.

Nessuno Spirito si trova nella condizione di non migliorarsi mai; altrimenti sarebbe fatalmente votato a un'eterna inferiorità e sfuggirebbe alla legge del progresso, la quale sostiene provvidenzialmente tutte le creature.

20° Quali che siano l'inferiorità e la perversione degli Spiriti, Dio non li abbandona mai. Tutti hanno il loro angelo custode che veglia su di essi, spia i moti della loro anima, e fa di tutto per suscitare in loro dei buoni pensieri, il desiderio di progredire e riparare, in una nuova esistenza, il male che hanno fatto. Tuttavia la guida protettrice agisce il più delle volte in maniera occulta, senza esercitare alcuna pressione. Lo Spirito deve migliorarsi per un impulso della sua stessa volontà, e non in seguito a una qualche costrizione. Lo Spirito agisce bene o male in virtù del suo libero arbitrio, ma senza essere fatalmente spinto in un senso o nell'altro. S'egli fa del male, ne subisce le conseguenze per tutto quanto il tempo che rimane sulla cattiva strada; non appena fa un passo verso il bene, ne ottiene immediatamente gli effetti benefici.

Osservazione Sarebbe un errore supporre che, in virtù della legge del progresso, la certezza di arrivare presto o tardi alla perfezione e alla felicità può essere un incoraggiamento a perseverare nel male, salvo a pentirsi più tardi: prima di tutto, perché lo Spirito inferiore non vede il termine della sua situazione; in secondo luogo, perché lo Spirito, essendo egli l'artefice della sua stessa disgrazia, finisce per comprendere che dipende da lui farla cessare, che quanto più a lungo egli persisterà nel male, tanto più a lungo sarà infelice, e che la sua sofferenza durerà per sempre se non vi metterà termine lui stesso. Questo sarebbe dunque, da parte sua, un calcolo falso, di cui egli sarebbe vittima per primo. Se, al contrario, secondo il dogma delle pene irrevocabili, ogni speranza gli fosse negata per sempre, egli non avrebbe alcun interesse a convertirsi al bene, che sarebbe per lui senza alcun profitto.

Davanti a questa legge, cade egualmente l'obiezione tratta dalla prescienza divina. Dio, quando crea un'anima, sa in effetti se, in virtù del suo libero arbitrio, essa prenderà la buona o la cattiva strada; Egli sa che essa sarà punita se agirà male; ma Egli sa anche che questo castigo temporaneo è un mezzo per farle comprendere il suo errore e farla rientrare sulla buona strada, dove essa presto o tardi arriverà. Secondo la dottrina delle pene eterne, Egli sa ch'essa fallirà e che è condannata in anticipo a torture senza fine.

21° Ognuno è responsabile soltanto delle sue colpe personali; nessuno porta la pena delle colpe altrui, a meno che non vi abbia dato origine, sia provocandole con il proprio esempio, sia non impedendole, pur avendone il potere.

Così, per esempio, il suicidio è sempre punito; ma colui che, con la sua durezza, spinge un individuo alla disperazione e, da qui, a distruggersi, subisce una pena ancora più grande.

22° Benché la diversità delle punizioni sia infinita, ve ne sono di quelle che sono inerenti alla inferiorità degli Spiriti, e le cui conseguenze, salvo alcune sfumature, sono quasi identiche.

La punizione, quella più immediata, soprattutto presso coloro che si sono attaccati alla vita materiale a detrimento del progresso spirituale, consiste nella lentezza della separazione dell'anima e del corpo, nelle angosce che accompagnano la morte e il risveglio nell'altra vita, nella durata del turbamento che può protrarsi per mesi e anni. Presso coloro, invece, la cui coscienza è pura, e che da vivi si sono identificati con la vita spirituale e si sono distaccati dalle cose materiali, presso costoro la separazione è rapida, senza scosse, il risveglio è tranquillo e quasi nullo.

23° Un fenomeno, assai frequente presso gli Spiriti di una certa inferiorità morale, consiste nel credersi ancora vivi. Questa illusione può protrarsi per degli anni, durante i quali essi provano tutti i bisogni, tutti i tormenti e tutte le perplessità della vita.

24° Per il criminale, la vista incessante delle sue vittime e delle circostanze del crimine è un crudele supplizio.

25° Certi Spiriti sono immersi in fitte tenebre; altri si trovano in un isolamento assoluto in mezzo allo Spazio, tormentati dal non conoscere né la loro posizione né la loro sorte. I più colpevoli soffrono torture tanto più intense, in quanto non ne vedono il termine. Molti sono condannati a non vedere gli esseri che sono loro cari. Tutti, generalmente, subiscono i mali, i dolori e le necessità con una intensità relativa a mali, dolori e necessità che essi hanno fatto subire agli altri, finché il pentimento e il desiderio della riparazione sopraggiungono ad apportarvi un alleviamento, facendo intravedere a tali colpevoli la possibilità di porre essi stessi un termine a quella situazione.

26° È un supplizio per l'orgoglioso vedere, sopra di lui, attorniati e festeggiati nella gloria, coloro ch'egli aveva disprezzato sulla Terra, mentre lui è relegato negli ultimi ranghi. È un supplizio per l'ipocrita vedersi trapassato dalla luce che mette a nudo i suoi più segreti pensieri, che tutti possono leggere, senza che lui possa occultarli o dissimularli. È un supplizio per il sensuale avere tutte le tentazioni, tutti i desideri, senza poterli soddisfare; per l'avaro, vedere il suo oro dilapidato e non poterci far nulla. È un supplizio per l'egoista, essere abbandonato da tutti e soffrire tutto quanto altri hanno sofferto a causa sua: avrà egli sete, e nessuno gli darà da bere; avrà fame, e nessuno gli darà da mangiare; nessuna mano amica stringerà la sua; nessuna voce pietosa lo consolerà. Egli non ha pensato che a sé stesso durante la sua vita, e nessuno pensa a lui e lo piange dopo la sua morte.

27° Il mezzo per evitare o attenuare le conseguenze dei propri delitti nella vita futura è quello di disfarsene quanto più possibile nella vita presente; è quello di riparare al male, per non doverlo riparare più tardi in maniera più terribile. Più si tarda a disfarsi dei propri difetti, più le conseguenze saranno penose, e più rigorosa sarà la riparazione che si dovrà compiere.

28° La situazione dello Spirito, dalla sua entrata nella vita spirituale, è quella che egli si è preparata nella vita corporea. Più tardi, gli viene data un'altra incarnazione, per l'espiazione e la riparazione attraverso nuove prove; ma egli se ne avvantaggia più o meno, a seconda del suo libero arbitrio. Se non ne trae vantaggio, sarà un compito che dovrà ricominciare ogni volta in condizioni più penose: così che di colui che soffre molto sulla Terra suol dirsi che aveva molto da espiare; coloro che godono di una felicità apparente, nonostante i loro vizi e la loro inutilità, sono certi di pagare il tutto a caro prezzo in una esistenza ulteriore. È in questo senso che Gesù ha detto: "Beati gli afflitti, perché essi saranno consolati" (Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V).

29° La misericordia di Dio è senza dubbio infinita, ma non è cieca. Il colpevole, che essa perdona, non è però esonerato, e finché egli non ha soddisfatto la giustizia, subisce le conseguenze delle sue colpe. Con il termine misericordia infinita, bisogna intendere che Dio non è inesorabile e che lascia sempre aperta la porta del ritorno al bene.

30° Le pene, essendo temporanee e subordinate alla riparazione e al pentimento, i quali dipendono dalla libera volontà dell'uomo, sono contemporaneamente castighi e rimedi, che devono aiutare a guarire le piaghe del male. Gli Spiriti in punizione sono, dunque, non quali carcerati condannati per un determinato tempo, ma quali malati in un ospedale, che soffrono sia di una malattia di cui spesso sono essi la causa, sia dei dolorosi mezzi curativi che la malattia esige. Sono come malati, dunque, che hanno la speranza di guarire e che guariscono tanto più velocemente quanto più rigorosamente seguono le prescrizioni del medico, il quale veglia su di loro con sollecitudine. Se essi prolungano le loro sofferenze per propria colpa, il medico non ha niente a che vedere con ciò.

31° Alle pene che lo Spirito subisce nella vita spirituale vanno ad aggiungersi quelle della vita corporea, che sono la conseguenza delle imperfezioni dell'uomo, delle sue passioni, del cattivo uso delle sue facoltà, e l'espiazione dei suoi errori presenti e passati. È nella vita corporea che lo Spirito ripara al male delle sue esistenze anteriori, ch'egli mette in pratica le risoluzioni prese nella vita spirituale. Si spiegano così quelle miserie e quelle vicissitudini che, di primo acchito, sembrano non avere ragion d'essere, e che sono del tutto giuste, dal momento che sono l'eredità del passato e che servono al nostro avanzamento. [5]

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[5] Vedere qui cap. VI, "Il Purgatorio", n. 3 e ss. ; e, più avanti, cap. XX , "Esempi di espiazione terrena". Ne Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V, "Beati gli afflitti".
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32° Dio, si dice, non dimostrerebbe un più grande amore verso le sue creature, se le avesse create infallibili e, di conseguenza, esenti dalle vicissitudini legate all'imperfezione?

Sarebbe occorso, per questo, ch'Egli creasse degli esseri perfetti, che non dovessero acquisire nulla, né riguardo alla conoscenza né riguardo alla moralità. Senza alcun dubbio, Egli lo poteva. Se non lo ha fatto, è perché, nella Sua saggezza, Egli ha voluto che il progresso fosse la legge generale.

Gli uomini sono imperfetti e, come tali, soggetti a vicissitudini più o meno penose; è un fatto che bisogna accettare, poiché esiste. Dedurne che Dio non è né buono né giusto sarebbe una ribellione contro di Lui.

Si tratterebbe di ingiustizia se Egli avesse creato degli esseri privilegiati, gli uni più favoriti degli altri, godendo senza alcuna fatica della felicità che altri raggiungono solo a prezzo di sofferenze o che non possono raggiungere mai. Ma dove la Sua giustizia risplende è nell'eguaglianza assoluta che presiede alla creazione di tutti gli Spiriti; tutti hanno un medesimo punto di partenza; nessuno che sia, alla sua formazione, meglio dotato degli altri; nessuno la cui marcia ascensionale sia eccezionalmente facilitata: coloro che sono giunti alla meta sono passati, come gli altri, attraverso la trafila delle prove e della inferiorità.

Ammesso questo, che cosa di più giusto della libertà d'azione lasciata a ciascuno? La strada della felicità è aperta a tutti; il fine è il medesimo per tutti; le condizioni per raggiungerlo sono le medesime per tutti; la legge incisa in tutte le coscienze è insegnata a tutti. Dio ha fatto della felicità il premio della fatica e non del favore, affinché ciascuno ne avesse il merito. Ciascuno è libero di lavorare o di non fare niente per il suo avanzamento; colui che lavora molto e velocemente ne è più presto ricompensato; colui che si smarrisce per strada o perde il suo tempo ritarda l'arrivo e non può prendersela che con sé stesso. Il bene e il male sono volontari e facoltativi; l'uomo, essendo libero, non è fatalmente spinto né verso l'uno né verso l'altro.

33° Malgrado la diversità dei generi e dei gradi di sofferenza degli Spiriti imperfetti, il codice penale della vita futura può riassumersi in tre principi.

La sofferenza è legata all'imperfezione.

Ogni imperfezione — e ogni colpa che ne è il risultato — porta con sé il suo castigo, attraverso le sue conseguenze naturali e inevitabili; così la malattia è la conseguenza degli eccessi, la noia quella dell'ozio, senza che vi sia bisogno di una condanna speciale per ogni colpa e per ogni individuo.

Ogni uomo, potendo disfarsi delle sue imperfezioni per effetto della sua volontà, può preservarsi dai mali che ne sono la conseguenza e assicurarsi la felicità futura.

Tale è la legge della giustizia divina: a ciascuno secondo le sue opere, così in Cielo come in Terra.




Capitolo VIII - GLI ANGELI



Gli angeli secondo la Chiesa

1. Tutte le religioni hanno avuto, sotto vari nomi, degli angeli, degli esseri, cioè, superiori all'Umanità, intermediari tra Dio e gli uomini. Il materialismo, negando ogni esistenza spirituale al di fuori della vita organica, ha naturalmente collocato gli angeli tra le finzioni e le allegorie. Il credere negli angeli costituisce una delle parti essenziali dei dogmi della Chiesa, la quale li definisce come qui di seguito riportiamo. [1]

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[1] Abbiamo tratto questo riassunto dalla lettera pastorale di Monsignor Gousset, cardinale arcivescovo di Reims, per la Quaresima del 1864. Esso può, dunque, considerarsi come quello sui demoni, tratto dalla medesima fonte e citato nel capitolo successivo quale l'ultima espressione del dogma della Chiesa su questo punto.

2. «Noi crediamo fermamente, proclama un concilio generale ed ecumenico, [2] che non vi sia che un solo vero Dio, eterno e infinito, il quale, all'inizio del tempo, ha tratto congiuntamente dal niente l'una e l'altra creatura, la spirituale e la corporale, l'angelica e la mondana, e che, in seguito, ha formato, quale raccordo tra le due, la natura umana, composta di corpo e di spirito.

Tale è, secondo la fede, il piano divino nell'opera della creazione, piano maestoso e completo come si addiceva alla saggezza eterna. Così concepito, esso offre ai nostri pensieri l'essere in tutti i suoi gradi e in tutte le sue condizioni. Nella sfera più elevata compaiono l'esistenza e la vita puramente spirituali; nell'ultimo ordine, l'esistenza e la vita puramente materiali; e intermediariamente, separandole l'una dall'altra, una meravigliosa unione delle due sostanze, una vita allo stesso tempo comune allo spirito intelligente e al corpo organizzato.

La nostra anima è di una natura semplice e indivisibile, ma è limitata nelle sue facoltà. L'idea che noi abbiamo della perfezione ci fa comprendere che ci possono essere altri esseri semplici quanto essa, e superiori per le loro qualità e i loro privilegi. L'anima è grande e nobile, ma è associata alla materia, è servita da organi fragili ed è limitata nella sua azione e nella sua potenza. Perché non dovrebbero esserci altre nature ancora più nobili, libere da questa schiavitù e da questi ostacoli, dotate di una forza più grande e di una attività incomparabile? Prima che Dio collocasse gli uomini sulla Terra perché Lo conoscessero, L'amassero e Lo servissero, non aveva forse Egli già dovuto chiamare altre creature a comporre la Sua corte celeste, perché Lo adorassero nella dimora della Sua gloria? Dio, infine, riceve dalle mani dell'uomo il tributo d'onore e l'omaggio di questo Universo. C'è dunque da meravigliarsi ch'Egli riceva dalle mani dell'angelo l'incenso e la preghiera dell'uomo? Se, quindi,' gli angeli non esistessero, la grande opera del Creatore non avrebbe il coronamento e la perfezione di cui era suscettibile. Questo mondo, che attesta la Sua onnipotenza, non sarebbe più il capolavoro della Sua saggezza; la nostra ragione stessa, per quanto debole e fragile, potrebbe facilmente concepire un Dio più completo e più perfetto.

In ogni pagina dei libri sacri dell'Antico e del Nuovo Testamento, si fa menzione di queste sublimi intelligenze, in pie invocazioni o in brani di storia. Il loro intervento appariva manifestamente nella vita dei patriarchi e dei profeti. Dio si serve del loro ministero sia per trasmettere le Sue volontà, sia per annunciare gli eventi futuri; quasi sempre ne fa gli organi della Sua giustizia o della Sua misericordia. La loro presenza è congiunta alle diverse circostanze della nascita, della vita e della passione del Salvatore; il loro ricordo è inseparabile da quello dei grandi uomini e da quello dei più importanti fatti dell'antichità religiosa. La credenza negli angeli si trova anche in seno al politeismo e nelle favole mitologiche, perché la credenza di cui si parla è antica e universale quanto il mondo. Il culto che i pagani tributavano ai buoni e cattivi geni altro non era che una falsa applicazione della verità, una traccia degenerata del dogma primitivo.

Le parole del santo Concilio Lateranense contengono una distinzione fondamentale tra gli angeli e gli uomini. Esse ci insegnano che i primi sono dei puri Spiriti, mentre questi altri sono composti di un corpo e di un'anima; vale a dire che la natura angelica si sostiene da sé stessa, non solo senza mescolanza alcuna, ma anche senza alcuna possibile associazione reale con la materia, per quanto leggera e sottile la si supponga. Invece, la nostra anima, egualmente spirituale, è associata al corpo in maniera da formare con esso una sola e stessa persona. E tale è essenzialmente la sua destinazione.

Finché perdura questa unione così intima dell'anima con il corpo, queste due sostanze hanno una vita comune ed esercitano l'una sull'altra un'influenza reciproca. L'anima non può affrancarsi interamente dalla condizione imperfetta che per lei ne risulta: le sue idee arrivano al corpo attraverso i sensi, attraverso il confronto degli oggetti esteriori, e sempre sotto immagini più o meno apparenti. Da ciò deriva il fatto per cui essa non può contemplare sé stessa, né può rappresentarsi Dio e gli angeli senza immaginare una qualche loro forma visibile e palpabile. È per questo che gli angeli, per farsi vedere dai santi e dai profeti, hanno dovuto fare ricorso a delle figure corporee; ma queste figure non erano che dei corpi aerei ch'essi facevano muovere senza identificarsi con loro; oppure erano degli attributi simbolici in rapporto con la missione di cui erano incaricati.

Il loro essere e i loro movimenti non sono localizzati né circoscritti in un punto fisso e delimitato dello Spazio. Non essendo essi legati ad alcun corpo, non possono essere né fermati né limitati, come invece lo siamo noi, da altri corpi. Non occupano alcun posto e non riempiono alcun vuoto; ma, così come la nostra anima è tutta intera nel nostro corpo e in ciascuna delle sue parti, anch'essi sono tutti interi, e quasi simultaneamente, su tutti i punti e in tutte le parti del mondo. Più veloci del pensiero, essi possono essere dappertutto in un batter d'occhio e agire da soli, senza altri ostacoli ai loro disegni che la volontà di Dio e la resistenza della libertà umana.

Mentre noi siamo costretti a vedere solo a poco a poco, e in una certa misura, le cose che sono al di fuori di noi; mentre le verità di ordine soprannaturale ci appaiono come in un enigma e in uno specchio, secondo l'espressione dell'apostolo san Paolo; essi vedono senza sforzo ciò che a loro importa sapere ed entrano immediatamente in rapporto con l'oggetto del loro pensiero. Le loro conoscenze non sono il risultato dell'induzione e del ragionamento, ma di quella intuizione chiara e profonda che abbraccia al tempo stesso il genere e le specie che ne derivano, i principi e le conseguenze che ne provengono.

La distanza dei tempi, la differenza dei luoghi, la molteplicità degli oggetti non possono produrre alcuna confusione nei loro spiriti.

L'essenza divina, essendo infinita, è incomprensibile; essa ha dei misteri e delle profondità che gli angeli non possono penetrare. I disegni particolari della Provvidenza sono loro celati; ma essa ne disvela loro il segreto, allorché li incarica, in certe circostanze, di annunciarli agli uomini.

Le comunicazioni di Dio agli angeli, e quelle degli angeli tra di loro, non si fanno, come avviene fra di noi, per mezzo di suoni articolati o di altri segni sensibili. Le pure intelligenze non hanno bisogno né degli occhi per vedere né delle orecchie per sentire; esse non hanno neppure l'organo della voce per manifestare i loro pensieri; questo intermediario, usuale nelle nostre relazioni, non è loro necessario. Ma esse comunicano i loro sentimenti in un modo, solo a esse peculiare e che è del tutto spirituale. Per essere compresi, è loro sufficiente volerlo.

Dio soltanto conosce il numero degli angeli. Questo numero, senza dubbio, non potrebbe essere infinito, e in effetti non lo è; ma, secondo gli autori sacri e i santi dottori, esso è molto considerevole e veramente prodigioso. Se è naturale commisurare il numero degli abitanti di una città alla sua grandezza e alla sua estensione, non essendo la Terra che un atomo in confronto al firmamento e alle immense regioni dello Spazio, bisogna concludere che il numero degli abitanti del cielo e dell'aria è molto più grande di quello degli uomini.

Poiché la maestà dei re trae il suo splendore dal numero dei loro sudditi, devi loro funzionari e dei loro servitori, che cosa c'è di meglio, per darci un'idea della maestà del Re dei re, di questa innumerevole moltitudine di angeli, i quali popolano il cielo e la terra, il mare e gli abissi? E che cosa di meglio della dignità di coloro che se ne stanno di continuo prosternati o in piedi davanti al suo trono?

I Padri della Chiesa e i teologi generalmente insegnano che gli angeli sono distribuiti in tre grandi gerarchie o principati, e ogni gerarchia in tre compagnie o cori.

Quelli della prima e più alta gerarchia sono designati a seguito delle funzioni che esercitano in cielo. Quelli chiamati Serafini sono detti così, perché sono come ardenti, avanti a Dio, degli ardori della carità; i Cherubini, detti così perché sono un riflesso luminoso della Sua saggezza; i Troni, perché proclamano la Sua grandezza e ne fanno risplendere il fulgore.

Gli angeli della seconda gerarchia ricevono i loro nomi dalle operazioni che sono loro affidate nel governo generale dell'Universo, e sono: le Dominazioni, che assegnano le loro missioni e i loro incarichi agli angeli degli ordini inferiori; le Virtù, che compiono i prodigi reclamati dai grandi interessi della Chiesa e del genere umano; la Potestà, che proteggono con la loro forza e la loro vigilanza le leggiche reggono il mondo fisico e morale.

Gli angeli della terza gerarchia si suddividono la direzione delle società e delle persone, e sono: i Principati, preposti ai regni, alle provincie e alle diocesi; gli Arcangeli, che trasmettono i messaggi di alta importanza; gli Angeli custodi, che accompagnano ognuno di noi, per vegliare sulla nostra sicurezza e sulla nostra santificazione.»

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[2] Concilio Lateranense.




Confutazione

3. Il principio generale che risulta da questa dottrina è che gli angeli sono degli esseri puramente spirituali, anteriori e superiori all'Umanità, creature privilegiate, votate alla suprema ed eterna felicità fin dalla loro formazione; dotate, per loro stessa natura, di tutte le virtù e di tutte le conoscenze, senza aver fatto nulla per acquisirle. Gli angeli stanno al primo piano nell'opera della Creazione; all'ultimo piano sta la vita puramente materiale; tra i due piani sta l'Umanità formata da anime, esseri spirituali inferiori agli angeli, legati a corpi materiali. Parecchie difficoltà capitali risultano da questo sistema. Che cos'è, innanzitutto, questa vita puramente materiale? Si tratta forse della materia bruta? Ma la materia bruta è inanimata e non ha vita di per sé stessa. Si vuol forse alludere alle piante e agli animali? Si tratterebbe allora di un quarto ordine della Creazione, poiché non si può negare che nell'animale intelligente vi sia qualcosa di più che in una pianta, e in questa qualcosa di più che in una pietra. In quanto all'anima, che stabilisce tale transizione, essa è unita direttamente a un corpo che non è che materia bruta, poiché, senza l'anima, esso non ha più vita di una zolla di terra.

Questa suddivisione manca evidentemente di chiarezza e non si accorda con l'osservazione; essa assomiglia alla teoria dei quattro elementi, teoria poi caduta di fronte ai progressi della scienza. Ammettiamo tuttavia questi tre termini: la creatura spirituale, la creatura umana e la creatura corporea; tale, si dice, è il piano divino, piano maestoso e completo, come si addiceva alla saggezza eterna. Notiamo prima di tutto che, fra questi tre termini, non c'è alcun legame necessario; che si tratta di tre distinte creazioni, formate successivamente; e che dall'una all'altra c'è una soluzione di continuità.

Nella natura, invece, tutto si concatena, tutto ci dimostra una straordinaria legge di unità, di cui tutti gli elementi, i quali altro non sono che trasformazioni gli uni degli altri, hanno un loro tratto d'unione. Questa teoria è vera, nel senso che questi tre termini evidentemente esistono, solo che essa è incompleta: vi mancano i punti di contatto, così come è facile dimostrare.

4. Questi tre punti culminanti della Creazione sono, dice la Chiesa, necessari all'armonia dell'insieme; qualora ve ne fosse anche uno solo in meno, l'opera sarebbe incompleta e non sarebbe più secondo la saggezza eterna. Tuttavia uno dei dogmi fondamentali della religione dice che la Terra, gli animali, le piante, il Sole, le stelle, la luce stessa sono stati creati e tratti dal nulla seimila anni fa. Prima di questa epoca, dunque, non c'era né creatura umana né creatura corporea; nell'eternità trascorsa, l'opera divina era, perciò, rimasta imperfetta. La creazione dell'Universo risalente a seimila anni fa è un articolo di fede talmente fondamentale che ancora fino a pochi anni fa, la Scienza era anatematizzata, perché andava a distruggere la cronologia biblica dimostrando l'alta antichità della Terra e dei suoi abitanti.

Tuttavia il Concilio Lateranense, concilio ecumenico che ha fatto testo in materia di ortodossia, dice: " Noi crediamo fermamente che ci sia un solo vero Dio, eterno e infinito, il quale all'inizio del tempo, ha tratto contemporaneamente dal nulla l'una e l'altra creatura, quella spirituale e quella corporea". Per inizio del tempo non può intendersi che quello dell'eternità trascorsa, poiché il tempo è infinito, come lo Spazio: non ha né inizio né fine.

Questa espressione — l'inizio del tempo — è una figura che implica l'idea di una anteriorità illimitata. Il Concilio Lateranense crede, dunque, fermamente che le creature spirituali e le creature corporee sono state formate simultaneamente e tratte contemporaneamente dal nulla in un'epoca indeterminata del passato. A che cosa si riduce allora il testo biblico, il quale fissa questa creazione a seimila anni fa dei giorni nostri? Ammettendo che sia questo l'inizio dell'Universo visibile, di certo, però, non è quello del tempo. A chi credere? Al Concilio o alla Bibbia

5. Il medesimo Concilio formula inoltre una strana proposizione: "La nostra anima, — dice — egualmente spirituale, è associata al corpo in modo da formare con lui una sola e stessa persona, e tale è essenzialmente la sua destinazione". Se il destino essenziale dell'anima è quello di essere unita al corpo, questa unione costituisce il suo stato normale, il suo scopo, il suo fine, poiché tale è la sua destinazione. Tuttavia, l'anima è immortale e il corpo è mortale; l'unione dell'anima con il corpo non avviene che una sola volta, secondo la Chiesa. Ma fosse tale unione anche di un secolo, che cosa sarebbe ciò a confronto dell'eternità? Ma, per un grandissimo numero di individui, tale unione è solo di alcune ore. In tal caso, di quale utilità potrebbe essere per l'anima questa effimera unione? Quando la sua più lunga durata è, rispetto all'eternità, un tempo impercettibile, risulta forse esatto dire che la sua destinazione è quella d'essere essenzialmente legata al corpo? Questa unione non è, in realtà, che un incidente, un punto nella vita dell'anima, e non il suo stato essenziale.

Se la destinazione essenziale dell'anima è quella di essere unita a un corpo materiale; se, per sua natura e secondo lo scopo provvidenziale della sua creazione, questa unione è necessaria alla manifestazione delle sue facoltà, bisogna concludere che, senza il colpo, l'anima umana è un essere incompleto. Ora, per rimanere ciò ch'essa è per sua destinazione, dopo aver abbandonato un corpo, occorre che ne riprenda un altro, la qual cosa ci conduce alla pluralità forzata delle esistenze, altrimenti detta reincarnazione in perpetuo. È veramente strano che un concilio, stimato come una delle luci della Chiesa, abbia identificato l'essere spirituale e l'essere materiale al punto che non possono praticamente esistere l'uno senza l'altro, poiché la condizione essenziale della loro creazione è quella d'essere uniti.

6. Il quadro gerarchico degli angeli ci spiega che parecchi ordini hanno fra le loro attribuzioni, il governo del mondo fisico e dell'Umanità, e che essi sono stati creati a questo scopo. Ma, secondo la Genesi, il mondo fisico e l'Umanità non esistono che da seimila anni; che cosa facevano, dunque, questi angeli anteriormente a questa epoca, durante l'eternità, dal momento che gli oggetti delle loro occupazioni non esistevano? Gli angeli sono stati creati da tutta l'eternità? Così deve essere, poiché essi servono alla glorificazione dell’Altissimo. Se Dio li avesse creati in un'epoca determinata qualsiasi, Egli sarebbe stato fino a quel momento, vale a dire per un'eternità, senza adoratori.

7. Più avanti, è detto: "Finché dura questa unione così intima dell'anima con il corpo". Arriva dunque un momento in cui questa unione non esiste più? Questa proposizione contraddice quella che fa di questa unione la destinazione essenziale dell'anima.

È detto ancora: "Le idee le giungono attraverso i sensi, attraverso la comparazione degli oggetti esteriori". È questa una dottrina filosofica in parte vera, ma non in senso assoluto. Secondo l'eminente teologo, è condizione inerente alla natura dell'anima ricevere le idee solo attraverso i sensi; ma egli dimentica le idee innate, le facoltà a volte così trascendenti, l'intuizione delle cose che il bambino reca con sé fin dalla nascita e che non deve ad alcuna istruzione. Attraverso quale senso, quei giovani pastori, veri strumenti calcolatori naturali, da stupire gli scienziati, hanno acquisito le idee necessarie alla soluzione quasi istantanea dei più complicati problemi? Altrettanto si può dire di certi musicisti, pittori e linguisti precoci.

"Le conoscenze degli angeli non sono il risultato dell'induzione e del ragionamento"; essi sanno, perché sono angeli, senza aver bisogno d'imparare. Dio li ha creati così: l'anima, al contrario, deve imparare. Se l'anima riceve le idee solo per mezzo degli organi corporali, quali saranno le idee che può avere l'anima di un bambino, morto di lì a pochi giorni, ammettendo, con la Chiesa, ch'egli non rinasce?

8. Qui si presenta una questione vitale: l'anima acquisisce idee e conoscenze dopo la morte del corpo? Se, una volta staccatasi dal corpo, essa non può acquisire più nulla, l'anima del neonato, del selvaggio, del cretino, dell'idiota, dell'ignorante rimarrà sempre ciò che era al momento della morte. Essa è votata alla nullità per l'eternità.

Se acquisisce nuove conoscenze dopo la vita attuale, ciò indica che può progredire. Senza l'ulteriore progresso dell'anima, si arriva a delle conseguenze assurde; con il progresso, si arriva alla negazione di tutti i dogmi fondati sul suo stato stazionario: la sorte irrevocabile, le pene eterne ecc. Se l'anima progredisce, dove si arresta il progresso? Non c'è alcuna ragione perché essa non raggiunga il grado degli angeli o puri Spiriti. Se essa può arrivarvi, non c'era alcuna necessità di creare degli esseri speciali e privilegiati, esenti da ogni fatica e che godono dell'eterna felicità senza aver fatto nulla per conquistarla, mentre altri esseri meno favoriti non ottengono la suprema felicità che a prezzo di lunghi e crudeli sofferenze e di prove durissime. Dio lo può, senza dubbio, ma se solo si ammette l'infinità delle sue perfezioni, senza le quali Dio non ci sarebbe; bisogna anche ammettere ch'Egli non fa nulla d'inutile, né alcuna cosa che smentisca la sovrana giustizia e la sovrana bontà.

9. "Poiché la maestà dei re trae il suo splendore dal numero dei sudditi, che cosa c'è di più adeguato — per darci un'idea della maestà del Re dei re — di questa innumerevole moltitudine di angeli che popolano il cielo e la terra, il mare e gli abissi, e della dignità di coloro che stazionano incessantemente prosternati o in piedi davanti al Suo trono?

Non significa forse svalutare la Divinità il fatto di assimilare la Sua gloria al fasto dei sovrani della Terra? Questa idea, inculcata nello spirito delle masse ignoranti, falsa l'opinione che uno si fa della Sua vera grandezza; Dio è sempre ridotto alle meschine proporzioni dell’Umanità. Supporre che Egli abbia bisogno di avere milioni di adoratori, incessantemente prosternati o in piedi davanti a Lui, vuol dire attribuirGli le debolezze dei monarchi, dispotici e orgogliosi, dell'Oriente. Che cosa rende veramente grandi i sovrani? Forse il numero e lo splendore dei loro cortigiani? No! È la loro bontà e la loro giustizia, è il meritato titolo di padri dei loro sudditi. Ci si domanda se c'è qualcosa di più adeguato — per darci un'idea della maestà di Dio — della moltitudine degli angeli che compongono la sua corte. Sì, certamente. C'è qualcosa di meglio di questo, ed è quello di rappresentarLo sovranamente buono, giusto e misericordioso verso tutte le Sue creature; e non come un Dio collerico, geloso, vendicativo, inesorabile, sterminatore, parziale, che crea per sua propria gloria quegli esseri privilegiati, agevolati da tutti i doni, nati per la felicità eterna, mentre agli altri fa conquistare dolorosamente la felicità e punisce, con una eternità di supplizi, un attimo di errore..."

10. Lo Spiritismo professa, riguardo all'unione dell'anima e del corpo, una dottrina infinitamente più spiritualista — per non dire meno materialista —, che ha, inoltre, a suo vantaggio il fatto d'essere più conforme con l'osservazione e la destinazione dell'anima. Secondo ciò che lo Spiritismo ci insegna, l'anima è indipendente dal corpo, il quale altro non è che un involucro temporaneo; la sua essenza è la spiritualità; la sua vita normale è la vita spirituale. Il corpo non è che uno strumento dell'anima per l'esercizio delle sue facoltà, nei suoi rapporti con il mondo materiale; ma l'anima, separata dal corpo, gode delle sue facoltà con più libertà e larghezza.

11. L'unione dell'anima con il corpo, necessaria ai suoi primi sviluppi, non ha luogo che nel periodo che può definirsi come la sua infanzia e la sua adolescenza; quando essa raggiunge un certo grado di perfezione e di smaterializzazione, questa unione non è più necessaria, e l'anima progredisce soltanto attraverso la vita dello Spirito. Del resto, per quanto numerose possano essere le esistenze corporali, esse sono necessariamente limitate dalla vita del corpo, e la loro somma totale non comprende, in ogni caso, che una parte impercettibile della vita spirituale, la quale è indefinita.




Gli angeli secondo lo Spiritismo

12. Che vi siano degli esseri dotati di tutte le qualità attribuite agli angeli, ciò non potrebbe essere messo in dubbio. La rivelazione spiritista conferma su questo punto la credenza di tutti i popoli; ma essa ci fa conoscere nello stesso tempo la natura e l'origine di questi esseri.

Le anime, o Spiriti, sono create semplici e ignoranti, vale a dire senza conoscere e senza coscienza del bene e del male, ma atte ad acquisire tutto ciò che loro manca. Esse l'acquisiscono per mezzo del lavoro; il fine, che è la perfezione, è il medesimo per tutte; vi arrivano più o meno prontamente, in virtù del loro libero arbitrio e in ragione dei loro sforzi; tutte hanno da attraversare le medesime fasi, da compiere il medesimo lavoro. Dio non fa la parte né più larga né più facile agli uni piuttosto che agli altri, poiché tutti sono Suoi figli, ed essendo Egli giusto non ha preferenze per nessuno. Egli dice loro: "Ecco la legge che deve essere vostra regola di condotta; essa sola può condurvi al fine; tutto ciò che è conforme a questa legge è il bene, tutto ciò che è a lei contrario è il male. Voi siete liberi di osservarla o infrangerla, e voi sarete così gli arbitri della vostra stessa sorte". Dio non ha dunque creato il male; tutte le Sue leggi sono per il bene; è l'uomo, lui stesso, che ha creato il male infrangendo le leggi di Dio; se egli le osservasse scrupolosamente, non si allontanerebbe mai dalla buona strada.

13. Ma l'anima, nelle prime fasi dell'esistenza, allo stesso modo del bambino, manca d'esperienza; è per questo che essa fallisce. Dio non le dà l'esperienza, ma le dà i mezzi per acquisirla; ogni passo falso sulla via del male è per l'anima un ritardo; essa ne subisce le conseguenze e apprende a sue spese ciò che deve evitare. È così che, a poco a poco, essa si sviluppa, si perfeziona e avanza nella gerarchia spirituale, finché non sia giunta allo stato di puro Spirito o di angelo. Gli angeli sono dunque le anime degli uomini — arrivate al grado di perfezione che la creatura comporta — e godono della pienezza della felicità promessa. Prima d'aver raggiunto il grado supremo, godono di una felicità che è relativa al loro avanzamento. Ma questa felicità non si esplica nell'ozio, bensì nelle funzioni che piace a Dio affidare loro, e che essi sono felici di compiere, perché queste occupazioni sono un mezzo per progredire (vedere cap. III, "Il Cielo").

14. L'Umanità non è limitata alla Terra; essa occupa gli innumerevoli mondi che circolano nello Spazio; ha occupato mondi che sono scomparsi, altri ne occuperà che si formeranno. Dio ha creato da tutta un'eternità e continua a creare incessantemente. Molto tempo prima, dunque, che la Terra esistesse, qualunque sia l'età che le si attribuisce, ci sono stati su altri mondi Spiriti incarnati, che hanno percorso le medesime tappe, che noi, Spiriti di formazione più recente, percorriamo in questo momento; quegli Spiriti sono giunti alla meta ancor prima che noi fossimo usciti dalle mani del Creatore. Da tutta un'eternità, dunque, ci sono stati degli angeli, o puri Spiriti; ma perdendosi la loro esistenza umana nell'infinito del passato, per noi è come se fossero sempre stati degli angeli.

15. Si trova così realizzata la grande legge d'unità della Creazione; Dio non è mai stato inattivo; ha sempre avuto dei puri Spiriti, sperimentati e illuminati, per la trasmissione dei suoi ordini e per la direzione di tutte le parti dell'Universo, dal governo dei mondi fino ai più piccoli dettagli. Egli non ha quindi avuto bisogno di creare esseri privilegiati, esenti da doveri; tutti, antichi e nuovi hanno conquistato i loro gradi nella lotta e per il loro proprio merito; tutti, infine, sono figli delle loro opere. Si compie così con egualità la suprema giustizia di Dio.





Capitolo IX - I DEMONI



Origine della credenza nei demoni

1. I demoni hanno, in tutte le epoche, giocato un grande ruolo nelle diverse teogonie; benché considerevolmente decaduti nell'opinione generale, l'importanza che viene ancora loro attribuita ai nostri giorni dà a tale questione una certa gravità, poiché arriva al fondo stesso delle credenze religiose: è per questo che è utile esaminarla con gli sviluppi che essa comporta.

La credenza in una potenza superiore è istintiva presso gli uomini; così la si ritrova, sotto diverse forme, in tutte le epoche del mondo. Ma se gli uomini, al grado di progresso intellettivo cui sono oggi arrivati, ancora discutono sulla natura e sugli attributi di questa potenza, quanto più imperfette devono essere state le loro nozioni su questo soggetto, nell'infanzia dell'Umanità!

2. Il quadro che ci viene presentato sull'innocenza dei popoli primitivi in contemplazione davanti alle bellezze della Natura, nella quale essi ammirano la bontà del Creatore, è senza dubbio molto poetica, ma manca di realtà.

Di fatto, più l'uomo si avvicina allo stato primitivo, più in lui domina l'istinto, come ancora si può vedere presso i popoli selvaggi e barbari dei nostri giorni; ciò che lo preoccupa maggiormente o, meglio, ciò che lo occupa esclusivamente è la soddisfazione dei bisogni materiali, dal momento che non ne ha altri. L'unico senso che può renderlo disponibile alle gioie puramente morali si sviluppa soltanto col tempo e gradualmente; l'anima ha la sua infanzia, la sua adolescenza e la sua maturità, come il corpo umano. Ma per raggiungere la maturità che la rende capace di comprendere le cose astratte, quali evoluzioni deve essa attraversare nell'Umanità! Per quante esistenze deve essa passare!

Ma, senza risalire alle ere primitive, osserviamo attorno a noi gli abitanti delle nostre campagne e domandiamoci quali sentimenti d'ammirazione risvegliano in loro lo splendore del Sole che si leva, la volta stellata, il cinguettio degli uccelli, il mormorio delle onde chiare, i prati smaltati di fiori! Per loro, il Sole si leva perché ne ha l'abitudine e, purché esso dia calore abbastanza da maturare i raccolti e tale da non bruciarli, questo è tutto ciò che essi chiedono. Se guardano il cielo è solo per sapere se l'indomani farà cattivo o bel tempo. Che gli uccelli cantino o no per loro è perfettamente uguale, purché non mangino il loro grano; alle melodie dell'usignolo preferiscono il chiocciare dei polli e il grugnito dei loro porci. Ciò che domandano ai ruscelli, limpidi o fangosi che siano, è di non prosciugarsi e di non Mondarli. Ai prati domandano di dare buona erba, con o senza fiori. Questo è tutto ciò che desiderano gli abitanti delle nostre campagne; diciamo di più, tutto ciò che essi comprendono della natura. E, tuttavia, sono già lontani dagli uomini primitivi!

3. Ritornando a questi ultimi, noi li vediamo ancora più esclusivamente preoccupati della soddisfazione dei bisogni materiali; ciò che serve a provvedervi e ciò che può a tali bisogni nuocere riassumono per loro il bene e il male del mondo. Ma siccome quanto arrechi loro un pregiudizio materiale è ciò che li tocca di più, essi lo attribuiscono a questa potenza, di cui, per altro, si fanno un'idea molto vaga. Non potendo essi ancora concepire nulla al di fuori del mondo visibile e tangibile, suppongono che tale potenza sovrumana risieda negli esseri e nelle cose che sono a loro nocive. Gli animali pericolosi ne sono, per loro, i rappresentanti naturali e diretti. Per la stessa ragione, essi hanno visto la personificazione del bene nelle cose utili: da qui il culto reso a certi animali, a certe piante e anche a oggetti inanimati. Ma l'uomo è generalmente più sensibile al male che al bene; il bene gli sembra naturale, mentre il male lo colpisce maggiormente. È per questo che, in tutti i culti primitivi, le cerimonie in onore della potenza malefica sono le più numerose. La paura prevale sulla riconoscenza.

Per lungo tempo, l'uomo non comprese altro che il bene e il male fisico; il sentimento del bene morale e del male morale segnò un progresso nell'intelligenza umana; soltanto allora l'uomo intravide la spiritualità e comprese che la potenza sovrumana è al di fuori del mondo visibile, e non nelle cose materiali. Questa fu l'opera di alcune menti elette, le quali non poterono tuttavia oltrepassare certi limiti.

4. Siccome si osservava esserci una lotta incessante tra il bene e il male, e quest'ultimo sovrastare spesso il bene; siccome, d'altro canto, non si poteva razionalmente ammettere che il male fosse l'opera di una potenza benefica, se ne concluse che c'erano due potenze rivali a governare il mondo. Da qui nacque la dottrina dei due principi: quello del bene e quello del male, dottrina logica per quell'epoca, poiché l'uomo era ancora incapace di concepirne un'altra e di penetrare l'essenza dell'Essere supremo. Come avrebbe egli potuto comprendere che il male non è che uno stato momentaneo da cui può nascere il bene, e che i mali che lo affliggono devono condurlo alla felicità, aiutandolo nel suo avanzamento? I limiti del suo orizzonte non gli permettevano di vedere niente al di fuori della vita presente, né avanti né indietro; egli non poteva comprendere né che aveva progredito, né che avrebbe progredito ancora individualmente, e ancor meno poteva comprendere che le vicissitudini della vita sono il risultato dell'imperfezione e dell'essere spirituale che è in lui, il quale preesiste e sopravvive al corpo, e si purifica attraverso una serie di esistenze, finché non abbia raggiunto la perfezione. Per comprendere il bene che può nascere dal male, non bisogna considerare soltanto un'esistenza; bisogna abbracciare l'insieme: solo allora appariranno le vere cause e i loro effetti.

5. Il doppio principio del bene e del male fu, per lunghi secoli e sotto diversi nomi, la base di tutte le credenze religiose. Esso fu personificato sotto i nomi di Ohrmazd e di Arimane presso i Persiani, di Geova e di Satana presso gli Ebrei. Ma, poiché ogni sovrano deve avere dei ministri, tutte le religioni ammettono delle potenze secondarie, geni buoni o malvagi. I pagani li personificavano sotto un innumerevole moltitudine di individualità, ognuna delle quali aveva delle attribuzioni speciali per il bene e per il male, per i vizi e per le virtù, e alle quali essi avevano dato il nome generico di dei. I cristiani e i musulmani ricevettero dagli Ebrei gli angeli e i demoni.

6. La dottrina dei demoni trae dunque la sua origine dall'antica credenza nei due principi del bene e del male. Noi non dobbiamo esaminarla che dal punto di vista cristiano, e vedere se essa è in rapporto con la conoscenza più esatta che oggi abbiamo degli attributi della Divinità.

Questi attributi sono il punto di partenza, la base di tutte le dottrine religiose; i dogmi, il culto, le cerimonie, le usanze, la morale, tutto è in rapporto con l'idea più o meno giusta, più o meno elevata che ci si fa di Dio, dal feticismo fino al Cristianesimo. Se l'essenza intima di Dio è ancora un mistero per la nostra intelligenza, noi tuttavia comprendiamo questo mistero meglio di quanto lo sia mai stato, grazie agli insegnamenti del Cristo. Il Cristianesimo, in accordo riguardo a ciò con la ragione, ci insegna che:

Dio è unico, eterno, immutabile, immateriale, onnipotente sovranamente giusto e buono, in tutte le sue perfezioni.

Così come è detto altrove (cap. VI, "La dottrina delle pene eterne"): "Se si togliesse la più piccola parte di uno solo degli attributi di Dio, non si avrebbe più Dio, poiché potrebbe esistere un essere più perfetto". Questi attributi, nella loro più assoluta pienezza, sono dunque il criterio di tutte le religioni, la misura della verità di ciascuno dei principi che esse insegnano. Perché uno di questi principi sia vero, è necessario che non colpisca nessuna delle perfezioni di Dio. Vediamo se accade così anche per la comune dottrina dei demoni.




I demoni secondo la Chiesa

7. Secondo la Chiesa, Satana, il capo o re dei demoni, non è una personificazione allegorica del male, bensì un'entità reale, che pratica esclusivamente il male, mentre Dio fa esclusivamente il bene. Prendiamolo, dunque, tal quale ci viene presentato.

Satana esiste da tutta l'eternità, come Dio, o è posteriore a Dio? Se esiste da tutta l'eternità, è increato e, di conseguenza è l'eguale di Dio. Dio, allora, non è più unico; c'è il Dio del bene e il Dio del male.

È egli posteriore a Dio? Allora è una creatura di Dio. Poiché non pratica che il male, poiché è incapace di fare il bene e di pentirsi, Dio ha creato un essere votato al male in perpetuo. Se il male non è opera di Dio, ma quella di una delle sue creature predestinate a farlo, Dio ne è pur sempre il primo autore, e allora Egli non è infinitamente buono. Dicasi la stessa cosa di tutti gli esseri malvagi chiamati demoni.

8. Tale è stata per lungo tempo la credenza su questo punto. Oggi si dice: [1]

«Dio, che, per essenza, è la bontà e la santità, non li aveva creati malvagi e malefici. La Sua mano paterna, che si compiace di diffondere su tutte le Sue opere un riflesso delle Sue infinite perfezioni, li aveva colmati dei Suoi più magnifici doni. Alle qualità eccellentissime della loro natura, Egli aveva aggiunto le elargizioni della Sua grazia; li aveva resi del tutto simili agli Spiriti sublimi che sono nella gloria e nella felicità; ripartiti in tutti i loro ordini e mescolati fra tutti i loro ranghi, essi avevano il medesimo fine e i medesimi destini; il loro capo è stato il più bello degli arcangeli. Avrebbero potuto anch'essi meritare di essere confermati per sempre nella giustizia e ammessi a godere eternamente della felicità dei cieli. Quest'ultimo favore sarebbe stato in cima a tutti gli altri favori di cui era oggetto; ma doveva essere il premio della loro docilità, ed essi se ne sono resi indegni; l'hanno perduto per una rivolta sconsiderata e insensata.

Qual è stato lo scoglio della loro perseveranza? Quale verità hanno disconosciuto? Quale atto di fede e di adorazione hanno rifiutato a Dio? La Chiesa e gli annali delle Sacre Scritture non lo dicono in maniera evidente, ma sembra certo che non abbiano accettato né la mediazione del Figlio di Dio, né l'esaltazione della natura umana in Gesù Cristo.

Il Verbo divino, creatore di tutte le cose è anche l'unico mediatore e salvatore in Cielo e in Terra. Il fine soprannaturale è stato dato agli angeli e agli uomini soltanto in previsione della sua incarnazione e dei suoi meriti, poiché non c'è alcuna proporzione tra le opere degli Spiriti anche più eminenti e questa ricompensa, che altro non è che Dio stesso; nessuna creatura sarebbe potuta pervenirvi senza questo intervento meraviglioso e sublime di carità. Ora, per colmare la distanza infinita che separa l'essenza divina dalle opere delle Sue mani, bisognava ch'Egli riunisse nella Sua persona i due estremi e che associasse alla Sua divinità la natura dell'angelo o quella dell'uomo. Egli fece la scelta della natura umana.

Questo disegno, concepito da tutta l'eternità, fu manifestato agli angeli molto prima della sua esecuzione. L'Uomo-Dio fu loro mostrato nell'avvenire come Colui che avrebbe dovuto confermarli nella grazia e introdurli nelle gloria, a condizione ch'essi Lo adorassero durante la Sua missione sulla Terra, e in cielo nei secoli dei secoli. Rivelazione in sperata, visione sublime per i cuori generosi e riconoscenti, ma mistero profondo, impressionante per gli Spiriti superbi! Questo fine soprannaturale, questo immenso peso di gloria che veniva loro proposto non sarebbe dunque stato unicamente la ricompensa dei loro meriti personali! Mai avrebbero potuto attribuirne a sé stessi i titoli e il possesso! Un mediatore tra loro e Dio! Quale ingiuria era stata arrecata alla loro dignità! La preferenza immotivata accordata alla natura umana! Quale ingiustizia! Quale oltraggio scagliato contro i loro diritti! Questa Umanità, che è a loro così inferiore, la vedranno, un giorno, deificata attraverso la sua unione con il Verbo, e assisa alla destra di Dio, su un trono risplendente? Accetteranno infine che essa offra a Dio eternamente l'omaggio della sua adorazione?

Lucifero e la terza parte degli angeli soggiacquero a questi pensieri di orgoglio e di gelosia. San Michele e, con lui, la maggior parte degli angeli esclamarono: "Chi è simile a Dio? Egli è il padrone dei sui doni e il Signore sovrano di tutte le cose. Gloria a Dio e all'Agnello che sarà immolato per la salvezza del mondo!" Ma il capo dei ribelli, dimenticando che era debitore verso il suo Creatore della propria nobiltà e delle proprie prerogative, dando retta solo alla sua sconsideratezza, disse: "Sono io quello che salirà in cielo. Stabilirò la mia dimora al di sopra degli astri. Mi siederò sul monte dell'Alleanza, a fianco dell'Aquilone. Dominerò le nubi più elevate e sarò simile all'Altissimo". Coloro che condividevano le sue idee ne accolsero le parole con un mormorio d'approvazione; e se ne trovavano di tutti gli ordini della gerarchia; ma la loro moltitudine non li mise al riparo dal castigo.»

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[1] Le seguenti citazioni sono tratte dalla lettera pastorale di Monsignor il cardinale Gousset, cardinale-arcivescovo di Reims, per la Quaresima del 1865. Per i meriti personali e per la posizione dell'Autore, tali citazioni possono essere considerate come l'ultima espressione della Chiesa sulla dottrina dei demoni.

9. Questa dottrina suscita varie obiezioni.

1°. Se Satana e i demoni erano degli angeli, ciò significa che erano perfetti. Come, essendo perfetti, hanno potuto fallire e disconoscere a tal punto l'autorità di Dio, alla cui presenza essi si trovavano? Si potrebbe ancora comprendere che, se fossero arrivati a questo eccelso grado soltanto gradualmente e dopo essere passati attraverso la trafila dell'imperfezione, avrebbero potuto avere un'incresciosa ricaduta; ma ciò che rende la cosa più incomprensibile è che ci siano stati presentati come esseri che erano stati creati perfetti.

La conseguenza di tale teoria è questa: Dio aveva voluto creare in loro degli esseri perfetti, poiché li aveva colmati di tutti i doni. E si è sbagliato. Dunque, secondo la Chiesa, Dio non è infallibile. [2]

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[2] Questa mostruosa dottrina è affermata da Noè quando dice (Genesi 6:6-7): Al Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla Terra, e se ne addolorò in cuor suo. E il Signore disse: "Io sterminerò dalla faccia della Terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti"».

Un Dio che si pente di ciò che ha fatto non è né perfetto né infallibile: dunque non è Dio. Queste sono, tuttavia, le parole che la Chiesa proclama come verità sante. E neppure si comprende troppo che cosa ci sia di comune tra gli animali e la perversità degli uomini, per meritare gli animali il loro sterminio.
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2°. Poiché né la Chiesa né gli Annali delle Sacre Scritture spiegano alcunché sulla causa della rivolta degli angeli contro Dio — sembra soltanto certo ch'essa fosse da ricercarsi nel loro rifiuto di riconoscere la missione futura del Cristo — quale valore può mai avere il quadro così preciso e dettagliato della scena che ebbe luogo in tale circostanza? A quale fonte si sono attinte parole così chiare, riportate come se fossero state pronunciate, e fino ai semplici mormorii? Delle due cose, l'una: o la scena è vera, o non lo è. Se è vera, non vi è alcuna incertezza; e allora perché la Chiesa non tronca la questione? Se la Chiesa e la Storia tacciono, se la causa sembra soltanto certa, allora non si tratta che di una supposizione, e la descrizione della scena è frutto dell'immaginazione. [3]

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[3] Si trova in Isaia, cap. XIV, v. 11 e ss.: "Il tuo fasto e il suono dei tuoi salteri sono stati fatti scendere nel soggiorno dei morti; sotto di te sta un letto di vermi, e i vermi sono la tua coperta. Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell'aurora? Come mai sei atterrato, tu che calpestavi le nazioni? Tu dicevi in cuor tuo: 'Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio, mi siederò sul monte dell'assemblea, nella parte estrema del settentrione; salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all'Altissimo'. Invece ti hanno fatto discendere nel soggiorno dei morti, nelle profondità della fossa! Coloro che ti vedono fissano in te lo sguardo, ti esaminano attentamente e dicono: 'È questo l'uomo che faceva tremare la Terra, che agitava i regni, che riconduceva il mondo in un deserto, ne distruggeva le città e non rimandava mai liberi a casa i suoi prigionieri?'"

Queste parole del profeta non si riferiscono alla rivolta degli angeli, ma sono un'allusione all'orgoglio e alla caduta del re di Babilonia, il quale teneva gli Ebrei in cattività, come attestano gli ultimi versetti. Il re di Babilonia è designato, per allegoria, con il nome di Lucifero, ma non vi è fatta alcuna menzione della scena sopra descritta. Le parole sono quelle che il re diceva in cuor suo; egli si poneva, per orgoglio, al di sopra di Dio, il cui popolo egli teneva prigioniero. La profezia, circa la liberazione del popolo ebreo, la rovina di Babilonia e la sconfitta degli Assiri è, d'altra parte, l'esclusivo argomento di questo capitolo.
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3°. Le parole attribuite a Lucifero rivelano una ignoranza stupefacente in un arcangelo che, per sua natura e grado raggiunto, non deve essere partecipe — riguardo all'organizzazione dell'Universo — degli errori e dei pregiudizi, che gli uomini hanno commesso, finché non siano stati dalla Scienza chiariti. Come, allora, poteva dire che avrebbe fissato la sua dimora al di sopra degli astri, dominando le nubi più alte?

Si tratta sempre dell'antica credenza che immagina la Terra come centro dell'Universo, il cielo come se fosse formato da nubi, estendendosi fino alle stelle, e che immagina limitata la regione di queste, che l'Astronomia invece ci mostra disseminata all'infinito nell'infinito Spazio! Sapendo, come oggi si sa, che le nubi non si innalzano per più di due leghe dalla superficie terracquea, e dicendo che le avrebbe dominate da più in alto, riferendosi alle montagne, sarebbe stato necessario che l'osservazione partisse dalla Terra, e che questa fosse, di fatto, la dimora degli angeli. Dato, però, che questa si trova in una regione superiore, inutile sarebbe stato innalzarsi al di sopra delle nubi. Imprestare, però, agli angeli un linguaggio intriso di ignoranza significa confessare che gli uomini contemporanei sono più eruditi degli angeli. La Chiesa ha sempre sbagliato strada, non tenendo mai conto dei progressi della Scienza.


10. La risposta alla prima obiezione si incontra nel primo brano che qui di seguito riportiamo.

"Le Scritture e la Tradizione denominano cielo il luogo in cui erano stati collocati gli angeli al momento della loro creazione. Ma questo non era il cielo dei cieli, il cielo della visione beatificante, dove Dio si mostra di fronte ai suoi eletti, che Lo contemplano chiaramente e senza sforzi. Infatti, lì non c'è mai né possibilità né pericolo di peccato; la tentazione e il dubbio sono lì sconosciuti; la giustizia, la pace e la gioia vi regnano immutabili; la santità e la gloria sono imperiture. Era, dunque, un'altra regione celeste, una sfera luminosa e fortunata, questa in cui sostavano tanto nobili creature, favorite dalle divine comunicazioni che esse avrebbero dovuto ricevere con fede e umiltà, finché fossero ammesse nella conoscenza della Sua realtà, essenza stessa di Dio."

Da quanto precede si deduce che gli angeli decaduti appartenevano a una categoria meno elevata e perfetta, non avendo ancora raggiunto il luogo supremo, nel quale l'errore è impossibile. E sia pure. Ma allora c'è un'evidente contraddizione in questa affermazione: "Dio li aveva creati in tutto simili agli Spiriti sublimi; suddivisi in tutti gli ordini e distribuiti in tutte le classi, avevano il medesimo fine e identici destini; e il loro capo era il più bello degli arcangeli". Ora, in tutto simili agli altri, non potevano essere loro inferiori in natura; identici nelle categorie, non potevano stare in un luogo particolare. Quindi l'obiezione sussiste intatta.

11. E ce n'è anche un'altra che è, certamente, la più seria e la più grave.

Dicono: "Questo piano (l'intervento del Cristo), concepito fin da tutta l'eternità, fu manifestato agli angeli molto prima della sua esecuzione". Dio quindi sapeva, e da tutta l'eternità, che gli angeli, tanto quanto gli uomini, avrebbero avuto bisogno di questo intervento. Anche di più: il Dio onnisciente sapeva, dunque, che alcuni tra questi angeli avrebbero fallito, affrontando così l'eterna condanna e trascinando a egual sorte una parte dell'Umanità. E così, di proposito, condannava previamente il genere umano, cioè la sua stessa creazione. A questo ragionamento non è possibile sfuggire, poiché in altro modo dovremmo ammettere l'incoscienza divina, proclamando la non prescienza di Dio. Da parte nostra è impossibile identificare una tale creazione con la sovrana bontà. In entrambi i casi, vediamo la negazione di attributi, senza la cui assoluta pienezza Dio non sarebbe Dio.

12. Ammettendo la fallibilità degli angeli, così come quella degli uomini, la punizione è, d'altra parte, conseguenza giusta e naturale dell'errore. Ma se ammettessimo nello stesso tempo, la possibilità del riscatto, la rigenerazione e la grazia, dopo il pentimento e l'espiazione, tutto si chiarirebbe e si conformerebbe con la bontà di Dio. Egli sapeva che essi avrebbero sbagliato, che sarebbero stati puniti, ma sapeva egualmente che un tale castigo temporaneo sarebbe stato un mezzo per far loro comprendere l'errore, che sarebbe infine tornato a loro vantaggio. Ecco come si spiegano le parole del profeta Ezechiele: "Dio non vuole la morte, ma la salvezza del peccatore". [4]

L'inutilità del pentimento e l'impossibilità della rigenerazione, queste cose sì comporterebbero la negazione della bontà divina. Ammessa tale ipotesi, si potrebbe anche dire, rigorosamente ed esattamente, che "questi angeli fin dalla loro creazione, visto che Dio non poteva ignorarlo, erano votati in perpetuo al male e predestinati a diventare demoni, per trascinare gli uomini al male".
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[4] Vedere al cap. VI, n. 25, citazione di Ezechiele.

13. Vediamo ora qual è la sorte di questi tali angeli e che cosa fanno.

«Non appena la rivolta si manifestò nel linguaggio degli Spiriti, cioè nell'arroganza dei loro pensieri, essi furono banditi dalla dimora celeste e precipitati nell'abisso. Con queste parole noi intendiamo dire che furono gettati in un luogo di supplizi nel quale soffrono la pena del fuoco, secondo il testo del Vangelo, che è la parola stessa del Salvatore: "Andatevene, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il demonio e i suoi angeli". San Pietro espressamente dice: "Dio li mandò in catene e li avviò alle torture infernali, senza, tuttavia, che dovessero stare là perpetuamente, visto che solo alla fine del mondo sarebbero stati imprigionati per sempre con i reprobi". Al presente, Dio permette anzi che essi occupino un posto nella Creazione alla quale essi appartengono, nell'ordine delle cose identiche alla loro esistenza, nelle loro relazioni infine che dovevano avere con gli uomini, e delle quali fanno abuso nel modo più pernicioso.

Mentre alcuni stanno nella loro tenebrosa dimora, servendo da strumento alla giustizia divina, contro le disgraziate anime ch'essi hanno sedotto, altri, in numero infinito, formano legioni che risiedono negli strati inferiori dell'atmosfera e percorrono tutto il globo. Si intromettono in tutto ciò che accade sulla Terra, prendendo anche parte molto attiva ai nostri avvenimenti terreni.»

Per ciò che concerne le parole del Cristo sul supplizio del fuoco eterno, tale questione è trattata nel capitolo IV, intitolato "L'Inferno".

14. Secondo questa dottrina, solo una parte dei demoni si trova nell'inferno; l'altra erra in libertà, mescolandosi a tutto ciò che succede sulla Terra, offrendosi il piacere di fare il male, e questo fino alla fine del mondo, la cui epoca indeterminata non sarà poi tanto vicina. Perché dunque questa differenza tra le due parti? Si tratta forse dei demoni meno colpevoli? Certamente no. A meno che non ne escano, ciascuno al suo turno, cosa che sembrerebbe risultare da questo brano: "Mentre alcuni stanno nella loro tenebrosa dimora, servendo da strumento alla giustizia divina contro le disgraziate anime che essi hanno sedotto".

Le loro funzioni consistono dunque nel tormentare le anime che hanno sedotto. Così essi non sono incaricati di punire quelle che sono colpevoli di peccati liberamente e volontariamente commessi, ma quelle che essi hanno provocato. Contemporaneamente, essi sono la causa della colpa e lo strumento del castigo. E, cosa che la giustizia umana per quanto imperfetta non ammetterebbe, la vittima — la quale per fragilità soccombe all'occasione che si fa nascere per tentarla — è punita tanto severamente quanto l'agente provocatore che usa la malignità e l'astuzia. Anzi, ancor più severamente, poiché essa va all'inferno, lasciando la Terra, per non uscirne mai più e per soffrirvi senza né tregua né pietà per l'eternità, mentre quello che è la causa prima della sua colpa gode della sosta e della libertà fino alla fine del mondo! La giustizia di Dio non dovrebbe dunque essere più perfetta di quella degli uomini?

15. Ma ciò non è tutto. "Dio permette ch'essi occupino ancora un posto in questa creazione, nelle relazioni ch'essi dovevano avere con l'uomo e delle quali essi fanno il più pernicioso abuso." Poteva Dio ignorare l'abuso ch'essi avrebbero fatto della libertà a loro da Lui accordata? Allora perché l'accordò loro? È dunque con cognizione di causa ch'Egli abbandona le Sue creature alla mercé di sé stesse, ben sapendo, in virtù della Sua onniscienza, ch'esse soccomberanno e avranno la sorte dei demoni. Non avevano forse esse già sufficiente fragilità per proprio conto, senza che si permettesse che fossero incitate al male da un nemico tanto più subdolo perché invisibile?

Almeno il castigo fosse solo temporaneo e il colpevole potesse riscattarsi con la riparazione! E invece no! Il colpevole è condannato per l'eternità. Il suo pentimento, il suo ritorno al bene, i suoi rimorsi sono superflui.

I demoni sono, così, gli agenti provocatori predestinati a reclutare anime per l'inferno, e ciò con il permesso di Dio, il quale sapeva, mentre creava quelle anime, la sorte che era loro riservata. Che cosa si direbbe, sulla Terra, di un giudice che ricorresse a tale espediente per popolare le prigioni? Strana l'idea che ci viene data della Divinità, di un Dio i cui attributi essenziali sono la suprema giustizia e la suprema bontà! Ed è nel nome di Gesù Cristo, di colui che non ha predicato che l'amore, la carità e il perdono, che si insegnano simili dottrine! Ci fu un tempo in cui tali anomalie passavano inosservate: non si comprendevano, non si ascoltavano neppure. L'uomo, curvo sotto il giogo del dispotismo, sottometteva ciecamente la sua ragione o, piuttosto, abdicava alla sua ragione. Ma oggi l'ora dell'emancipazione è scoccata: l'uomo comprende la giustizia, la esige durante la sua vita e dopo la sua morte. È per questo ch'egli dice:

"Questo non è e non può esser tale, oppure Dio non sarebbe Dio!"


16. «Il castigo segue dappertutto questi esseri decaduti e maledetti, dappertutto essi portano il loro inferno con sé: non hanno più né pace né riposo; le dolcezze stesse della speranza si sono tramutate per loro in amarezza: la speranza è per loro odiosa. La mano di Dio li ha colpiti nell'atto stesso del peccato, e la loro volontà si è ostinata nel male. Divenuti perversi, essi non vogliono cessare d'esserlo, e lo sono per sempre.

Essi sono, dopo il peccato, ciò che l'uomo è dopo la morte. La riabilitazione di costoro, che sono caduti, è dunque impossibile; la loro perdita è d'ora in poi senza ritorno, ed essi perseverano nel loro orgoglio di fronte a Dio, nel loro odio contro il Suo Cristo, nella loro gelosia contro l'Umanità.

Non avendo potuto appropriarsi della gloria del cielo, con l'irruenza della loro ambizione, essi si sforzano di stabilire il loro dominio sulla Terra e di bandirne il regno di Dio. Il Verbo, fattosi carne, ha realizzato, nonostante costoro, i Suoi disegni per la salvezza e la gloria dell'Umanità. Tutti i loro mezzi d'azione sono convogliati per strapparGli le anime che Egli ha riscattato; l'astuzia e il tormento, la menzogna e la seduzione, tutto essi mettono in opera per condurle al male e perpetrarne la rovina.

Con simili nemici, la vita dell'uomo, dalla culla alla tomba, non può essere, ahimè, che una lotta perpetua, poiché quelli sono potenti e instancabili.

Questi nemici, in effetti, sono gli stessi che, dopo aver introdotto il male nel mondo, sono arrivati a coprire la Terra con le fitte tenebre dell'errore e del vizio; sono coloro che per lunghi secoli si sono fatti adorare come degli dei e che hanno regnato da padroni sui popoli dell'Antichità; sono coloro, infine, che esercitano ancora il loro tirannico dominio sulle regioni idolatre e che fomentano il disordine e lo scandalo fino in seno alle società cristiane.

Per comprendere di quante risorse disponga la loro malvagità, è sufficiente osservare che essi non hanno nulla delle prodigiose facoltàche sono appannaggio della natura angelica. Senza dubbio, l'avvenire e soprattutto l'ordine soprannaturale hanno dei misteri che Dio ha riservato a Sé stesso, e che essi non possono scoprire; ma la loro intelligenza è ben superiore alla nostra, perché essi con un colpo d'occhio intravedono gli effetti nelle cause, e le cause negli effetti. Questa penetrazione permette loro di annunciare in anticipo eventi futuri che sfuggono alle nostre congetture. La distanza e la diversità dei luoghi si cancellano davanti alla loro agilità. Più veloci del lampo, più rapidi del pensiero, essi si trovano quasi nello stesso tempo su diversi punti del globo, e possono descrivere a distanza gli eventi di cui sono testimoni nell'ora stessa in cui avvengono.

Le leggi generali attraverso le quali Dio regge e governa questo Universo non sono di loro dominio. Essi non possono contravvenirvi, né di conseguenza predire né operare veri miracoli; possiedono, però, l'arte di imitare e contraffare, entro certi limiti, le opere divine; sanno quali fenomeni risultano dalla combinazione degli elementi e predicono con certezza quelli che avvengono naturalmente così come quelli che hanno il potere di causare essi stessi. Da qui, quei numerosi oracoli, quei prodigi straordinari di cui i libri sacri e profani ci hanno tramandato memoria, e che sono serviti di base e di alimento a tutte le superstizioni.

La loro sostanza semplice e immateriale li sottrae ai nostri sguardi; essi sono al nostro fianco senza che noi ci se ne accorga; colpiscono la nostra anima senza colpire le nostre orecchie; noi crediamo di obbedire al nostro stesso pensiero, mentre subiamo le loro tentazioni e la loro funesta influenza. Le nostre disposizioni, al contrario, sono da loro conosciute attraverso le impressioni che ne proviamo, ed essi ci attaccano, generalmente, dal nostro lato debole. Per sedurci più facilmente, è loro abitudine presentarci attrattive e suggestioni conformi alle nostre inclinazioni. Modificano le loro azioni a seconda delle circostanze e dei tratti caratteristici di ogni temperamento. Ma le loro armi preferite sono la menzogna e l'ipocrisia.»

17. Si dice che il castigo li segua dappertutto e che non abbiano più né pace né riposo. Questa osservazione non annulla in alcun modo l'osservazione fatta riguardo al privilegio di cui godono quelli che non stanno all'inferno, privilegio tanto meno giustificato in quanto, standosene fuori, commettono maggior male. Senza alcun dubbio, essi non sono felici come i buoni angeli, ma non si tiene conto per nulla della libertà di cui godono? Se non hanno la felicità morale che la virtù procura, essi sono incontestabilmente meno infelici dei loro complici che si trovano fra le fiamme. Inoltre, per il malvagio, c'è una sorta di piacere nel commettere il male in tutta libertà. Domandate a un criminale se per lui è uguale essere in prigione o correre per i campi e commettere i suoi misfatti a suo pieno agio. Il caso è esattamente il medesimo.

Si dice che il rimorso li perseguiti senza né tregua né pietà. Ma si dimentica che il rimorso è il precursore immediato del pentimento, se non è già il pentimento stesso. Si dice anche: "Divenuti perversi, essi non vogliono cessare d'esserlo, e lo sono per sempre". Dal momento che non vogliono cessare d'essere perversi, significa che non hanno rimorsi; se avessero il minimo rincrescimento, cesserebbero di commettere il male e chiederebbero perdono. Perciò, per loro, il rimorso non è un castigo.

18. "Essi sono, dopo il peccato, ciò che l'uomo è dopo la morte. La riabilitazione di coloro che sono caduti è perciò impossibile." Da dove viene questa impossibilità? Non si comprende come essa possa essere la conseguenza della loro somiglianza con l'uomo dopo la morte, affermazione che, del resto, non è affatto chiara. Questa impossibilità viene dalla loro stessa volontà o da quella di Dio? Se è conseguenza della loro volontà, ciò denota una estrema perversità, un'assoluta protervia nel male; non si comprende, perciò, come degli esseri così profondamente perversi abbiano mai potuto essere angeli di virtù, e come, durante il tempo indefinito ch'essi hanno trascorso tra questi ultimi, non abbiano lasciato trasparire alcuna traccia della loro malvagia natura. Se è questa la volontà di Dio, ancor meno si comprende che Egli infligga, come castigo, l'impossibilità del ritorno al bene, dopo una prima colpa. Il Vangelo non dice nulla di simile.

19. "La loro dannazione, si aggiunge, è ormai senza ritorno, ed essi perseverano nel loro orgoglio di fronte a Dio." A che cosa servirebbe loro non perseverare, dal momento che ogni pentimento è inutile? Se avessero la speranza di una riabilitazione — qualunque fosse il prezzo — il bene avrebbe per loro uno scopo, mentre invece non è così. Se perseverano nel male, è dunque perché la porta della speranza per loro è chiusa. E perché Dio l'ha sbarrata davanti a loro? Per vendicarsi dell'offesa ch'Egli ha ricevuto dalla loro mancanza di sottomissione. Così, per appagare il Suo risentimento contro alcuni colpevoli, Egli preferisce vederli non solo soffrire, ma anche fare il male piuttosto che il bene. Indurre al male e spingere alla perdizione eterna tutte le Sue creature del genere umano, quando sarebbe stato sufficiente un semplice atto di clemenza per evitare un così grande disastro, e un disastro previsto da tutta l'eternità!

Nel caso di un atto di clemenza, si sarebbe trattato di una grazia pura e semplice che avrebbe forse potuto essere un incoraggiamento al male? No. Si sarebbe trattato di un perdono condizionale, subordinato a un sincero ritorno al bene. Al posto di una parola di speranza e di misericordia, si fa dire a Dio: Perisca tutta la razza umana, piuttosto che la mia vendetta! E ci si stupisce che, con una simile dottrina, ci siano atei e miscredenti! È forse così che Gesù ci rappresenta il Padre Suo? Lui che ci ha dato un'esplicita legge dell'oblio e del perdono delle offese, che ci ha detto di rendere bene per male, che ha posto l'amore verso i nemici al primo posto delle virtù che ci faranno meritare il cielo, vorrebbe dunque che gli uomini fossero migliori, più giusti, più misericordiosi dello stesso Dio?




I demoni secondo lo Spiritismo

20. Secondo lo Spiritismo, né gli angeli né i demoni sono degli esseridistinti; la creazione degli esseri intelligenti è una. Uniti a corpi materiali, essi costituiscono l'umanità che popola la Terra e le altre sfere abitate; liberati da quel corpo, costituiscono il mondo spirituale o degli Spiriti che popolano gli Spazi. Dio li ha creati perfettibili. Ha dato loro la perfezione come scopo, e la felicità che ne è la conseguenza, ma non ha dato loro la perfezione, Egli ha voluto ch'essi la ottenessero con il loro personale lavoro, affinché ne avessero il merito. Fin dall'istante della loro formazione, essi progrediscono sia nello stato d'incarnazione, sia nello stato spirituale; giunti all'apogeo, essi sono puri Spiriti, o angeli secondo l'appellativo comune; di modo che dall'embrione dell'essere intelligente fino all'angelo vi è una catena ininterrotta, di cui ciascun anello indica un grado di progresso.

Ne risulta che esistono Spiriti a tutti i gradi di avanzamento morale e intellettivo, a seconda che si trovino in alto, in basso o a metà della scala. Ce ne sono, di conseguenza, a tutti i livelli di sapere e d'ignoranza, di bontà e di cattiveria. Nei posti inferiori stanno quelli che sono ancora profondamente inclini al male e che se ne compiacciono. Volendo, li si può chiamare demoni, poiché sono capaci di tutte le nefandezze attribuite a questi ultimi. Se lo Spiritismo non li cita con questo nome, è perché vi si connette l'idea d'esseri distinti dal genere umano, di natura essenzialmente perversa, votati al male per l'eternità e incapaci di progredire nel bene.

21. Secondo la dottrina della Chiesa, i demoni sono stati creati buoni e sono divenuti malvagi a causa della loro disobbedienza: sono angeli decaduti; erano stati posti da Dio in cima alla scala e ne sono precipitati. Secondo lo Spiritismo, si tratta di Spiriti imperfetti, che però si miglioreranno; si trovano ancora nella parte inferiore della scala, e si eleveranno.

Coloro che, per la loro apatia, negligenza, ostinazione e cattiva volontà restano più a lungo nei ranghi inferiori ne sopportano la pena, e l'abitudine al male fa sì che per loro sia più difficile uscirne. Ma arriva il tempo in cui si stancano di questa esistenza e delle sofferenze che ne sono la conseguenza; ed è a questo punto che, confrontando la loro situazione con quella dei buoni Spiriti, comprendono che il loro interesse è nel bene, e cercano di migliorarsi, ma lo fanno di loro spontanea volontà e senza esservi costretti. Sono sottoposti alla legge del progresso per la loro inclinazione a progredire, ma non progrediscono contro la loro volontà. Dio ne fornisce loro incessantemente i mezzi, ma essi sono liberi di approfittarne o no. Se il progresso fosse obbligatorio, essi non avrebbero alcun merito, e Dio vuole invece ch'essi abbiano il merito delle loro opere. Egli non colloca nessuno al primo posto per privilegio, ma il primo posto è aperto a tutti, e vi arrivano solo con i loro sforzi. Gli angeli più elevati hanno conquistato il loro grado come gli altri, passando per la stessa strada comune.

22. Arrivati a un certo grado di purificazione, gli Spiriti hanno delle missioni da compiere in rapporto con il loro avanzamento; ed essi compiono tutte quelle missioni che sono attribuite agli angeli dei differenti ordini. Siccome Dio ha creato da tutta l'eternità, da tutta l'eternità ci sono stati angeli sufficienti a soddisfare tutte le esigenze del governo dell'Universo. Una sola specie di esseri intelligenti, sottoposti alla legge del progresso, sopperisce dunque a tutto. Questa unità nella Creazione, con l'idea che tutti hanno il medesimo punto di partenza, la medesima strada da percorrere, e che tutti si innalzano per loro proprio merito, corrisponde molto meglio alla giustizia di Dio, di quanto non possa fare l'idea di una Creazione di specie differenti più o meno favorite da doni naturali, che sarebbero altrettanti privilegi.

23. La dottrina popolare sulla natura degli angeli, dei demoni e delle anime umane, non ammettendo la legge del progresso e, nondimeno, vedendo esseri di diversi gradi, ne ha concluso che essi fossero il prodotto di altrettante creazioni speciali. Tale dottrina giunge perfino a fare di Dio un padre parziale, il quale ad alcuni dei suoi figli dà tutto, mentre ad altri impone la più dura fatica. Non c'è perciò da meravigliarsi che per lungo tempo gli uomini non abbiano trovato niente di sconveniente in queste preferenze, dal momento che essi stessi ne usavano di eguali nei riguardi dei propri figli, attraverso i diritti di primogenitura e i privilegi della nascita; potevano forse credere di agire peggio di Dio? Ma oggi il cerchio delle idee si è allargato; gli uomini vedono più chiaramente e hanno nozioni più precise sulla giustizia. Desiderandola per sé e non sempre incontrandola sulla Terra, sperano almeno di trovarla più perfetta in Cielo. È per questo che ogni dottrina, in cui la giustizia divina non appaia nella sua più grande purezza, ripugna alla loro ragione.





Capitolo X - INTERVENTO DEI DEMONI NELLE MANIFESTAZIONI MODERNE

1. I moderni fenomeni spiritisti hanno richiamato l'attenzione su fatti analoghi, che hanno avuto luogo in tutte le epoche; e mai la Storia è stata presa tanto in esame, sotto questo aspetto, come in questi ultimi tempi. Dalla somiglianza degli effetti, si è arrivati all'unità della causa. Come per tutti i fatti straordinari, la cui ragione è sconosciuta, l'ignoranza vi ha intravisto una causa soprannaturale, e la superstizione li ha ingigantiti aggiungendovi delle assurde credenze. Da qui una moltitudine di leggende che, per la maggior parte, sono un miscuglio fatto di un poco di vero e di molto falso.

2. Le dottrine sul demonio, che hanno prevalso per così lungo tempo, avevano talmente esagerato il suo potere, che avevano, per così dire, fatto dimenticare Dio; è per questo che al demonio si rendeva l'onore di tutto ciò che sembrava oltrepassare il potere umano; dappertutto appariva la mano di Satana; le cose migliori, le scoperte più utili, tutte quelle soprattutto che potevano tirar fuori l'uomo dall'ignoranza e allargare la cerchia delle sue idee, sono state molte volte ritenute opere diaboliche. I fenomeni spiritisti, assai moltiplicatisi ai nostri giorni e assai meglio osservati, soprattutto grazie ai lumi della ragione e ai dati della Scienza, hanno confermato, è vero, l'intervento di intelligenze occulte, le quali, però, agiscono sempre nei limiti delle leggi della natura e rivelano, attraverso la loro azione, una nuova forza e leggi fino a oggi sconosciute. La questione si riduce quindi a scoprire a quale ordine appartengano queste intelligenze.

Finché non si sono avute sul mondo spirituale che delle nozioni incerte o sistematiche, ci si è potuti sbagliare; ma oggi che osservazioni rigorose e studi sperimentali hanno gettato la luce sulla natura degli Spiriti, sulla loro origine e sul loro destino, sul loro ruolo nell’Universo e sul loro modo di agire, la questione è risolta dai fatti. Si sa, prima di tutto, che si tratta delle anime di coloro che hanno vissuto sulla Terra. Si sa anche che le diverse categorie di Spiriti buoni e cattivi non costituiscono esseri di specie differenti, ma indicano soltanto gradi diversi di avanzamento. A seconda del posto che essi occupano, in ragione della loro evoluzione intellettiva e morale, coloro che si manifestano ci appaiono sotto gli aspetti più opposti, cosa che non ci impedisce di pensare che sono usciti tutti dalla grande famiglia umana, il selvaggio come il barbaro e come l'uomo civilizzato.

3. Su questo punto, come su molti altri, la Chiesa mantiene, per quanto riguarda i demoni, le sue vecchie credenze. Essa dice: "Noi abbiamo dei principi che non sono cambiati da diciotto secoli e che sono immutabili". Il suo torto è quello di non tenere conto del progresso delle idee e di credere Dio tanto poco saggio da non perequare la rivelazione allo sviluppo all'intelligenza e da tenere con gli uomini primitivi il medesimo linguaggio ch'Egli tiene con gli uomini progrediti. Se l'Umanità avanza, mentre la religione si aggrappa agli antichi errori sia in materia spirituale sia in materia scientifica, giunge il momento in cui essa viene investita dalla incredulità.

4. Ecco come la Chiesa spiega l'intervento esclusivo dei demoni nelle manifestazioni moderne. [1]

«Nei loro interventi esteriori, i demoni stanno molto attenti a dissimulare la loro presenza, per allontanare i sospetti. Sempre astuti e perfidi, tendono all'uomo le loro insidie prima di imporgli le catene dell'oppressione e della schiavitù. Qua risvegliano la sua curiosità attraverso fenomeni e giochi puerili; là risvegliano la sua ammirazione e lo soggiogano con l'incanto del meraviglioso. Se il soprannaturale traspare, se la loro potenza li maschera, essi calmano e placano le apprensioni, sollecitano la confidenza, provocano la familiarità. A volte si fanno passare per delle divinità o dei buoni geni; a volte assumono i nomi e anche i tratti fisionomici dei morti che hanno lasciato una memoria tra i vivi. Grazie a queste frodi, degne dell'antico serpente, essi parlano e vengono ascoltati; dogmatizzano e vengono creduti; mescolano alle loro menzogne alcune verità e fanno accettare l'errore sotto tutte le forme. È a questo che portano le pretese rivelazioni d'oltretomba; è per ottenere questo risultato che il legno, la pietra, le foreste, le fontane, i santuari degli idoli, le gambe dei tavoli, le mani dei bambini diventano oracoli; è per questo che la pitonessa profetizza nel suo delirio; è per questo che l'ignorante, in un suo sonno misterioso, diventa tutt'a un tratto il dottore della Scienza. Ingannare e pervertire: tale, dappertutto e in ogni tempo, è il fine di queste strane manifestazioni.

I risultati sorprendenti di queste pratiche o di questi atti, per la maggior parte bizzarri e ridicoli, non potendo provenire né da una loro virtù intrinseca né dall'ordine stabilito da Dio, non possono essere attribuiti che al concorso di potenze occulte. Tali sono, soprattutto, i fenomeni straordinari ottenuti, ai giorni nostri, dai procedimenti in apparenza inoffensivi del magnetismo, e dallo strumento intelligente delle tavole parlanti. Per mezzo di queste operazioni della magia moderna, vediamo riprodursi tra noi le evocazioni e gli oracoli, le consultazioni, le guarigioni e i sortilegi che hanno dato fama ai templi degli idoli e agli antri delle sibille. Come in Passato, si comanda al legno, e il legno obbedisce; lo si interroga, ed esso risponde in tutte le lingue e su tutti gli argomenti; ci si trova in presenza di esseri invisibili che usurpano i nomi dei morti e le cui pretese rivelazioni hanno il marchio della contraddizione e della menzogna; forme lievi e senza consistenza appaiono tutt'a un tratto e si mostrano dotate di una forza sovraumana.

Quali sono gli agenti segreti di questi fenomeni e i veri attori di queste scene inspiegabili? Gli angeli non accetterebbero questi ruoli indegni e non si presterebbero a tutti i capricci di una vana curiosità. Le anime dei morti, che Dio vieta di consultare, soggiornano nella dimora che ha loro assegnato la Sua giustizia, ed esse non possono, senza il Suo permesso, mettersi agli ordini dei vivi. Così, gli esseri misteriosi, che si presentano al primo appello dell'eretico e dell'empio come del fedele, del crimine così come dell'innocenza, non sono né gli inviati di Dio, né gli apostoli della verità e della salvezza, ma i seguaci dell'errore e dell'inferno. Malgrado l'impegno ch'essi mettono nel nascondersi sotto i più venerabili nomi, si tradiscono per l'inconsistenza delle loro dottrine, non meno che per la bassezza dei loro atti e l'incoerenza delle loro parole. Essi si sforzano di cancellare, dal simbolo religioso, i dogmi del peccato originale, della resurrezione dei corpi, dell'eternità delle pene, e tutta la rivelazione divina, al fine di sottrarre alle leggi la loro vera sanzione e di aprire al vizio ogni barriera. Se le loro suggestioni potessero prevalere, esse costituirebbero una religione comoda, a uso del socialismo e di tutti coloro cui la nozione del dovere e della coscienza repelle.

La miscredenza del nostro secolo ha loro facilitato il cammino. Possano le società cristiane, con un sincero ritorno alla fede cattolica, sfuggire al pericolo di questa nuova e temibile invasione!»

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[1] Le citazioni di questo capitolo sono estrapolate dalla medesima lettera pastorale da cui sono state estrapolate quelle del capitolo precedente, delle quali sono il seguito. Ne hanno, inoltre, la medesima autorevolezza.

5. Tutta questa teoria poggia sul principio secondo cui gli angeli e i demoni sono esseri differenti dalle anime degli uomini, e queste sono il prodotto di una creazione speciale, inferiore anche a quella dei demoni, in fatto di intelligenza, conoscenze e facoltà di tutte le specie. Tale teoria giunge alla conclusione che si tratta dell'intervento esclusivo dei cattivi angeli nelle manifestazioni antiche e moderne attribuite agli Spiriti dei morti.

La possibilità per le anime di comunicare con i vivi è una questione di fatto, un risultato dell'esperienza e dell'osservazione che non riteniamo di dover discutere qui. Ammettiamo invece, per ipotesi, la dottrina di cui sopra e vediamo se essa non si distrugge da sé stessa con i suoi stessi argomenti.

6. Nelle tre categorie di angeli, secondo la Chiesa, una si occupa esclusivamente del Cielo; un'altra del governo dell'Universo; la terza è incaricata di occuparsi della Terra; e in quest'ultima categoria si trovano gli angeli custodi, preposti alla protezione di ciascun individuo. Soltanto una parte degli angeli di questa categoria prese parte alla rivolta e fu trasformata in demoni. Se Dio ha permesso a questi ultimi di istigare gli uomini alla loro stessa perdizione, con le suggestioni di ogni genere e con il fatto delle manifestazioni visibili, perché, se Egli è sovranamente giusto e buono, avrebbe loro accordato l'immenso potere di cui essi godono? Perché avrebbe loro concesso una libertà di cui fanno un uso così pernicioso, senza permettere ai buoni angeli di far loro da contrappeso con manifestazioni simili alle altre, ma volte al bene? Ammettiamo che Dio abbia concesso un'eguale parte di potere agli angeli buoni e a quelli cattivi — la qual cosa sarebbe già un favore esorbitante a vantaggio di questi ultimi —, l'uomo si sarebbe trovato in tal caso almeno libero di scegliere; ma dare agli angeli cattivi il monopolio della tentazione, con ampi poteri di simulare il bene, in modo da trarre in inganno l'uomo e meglio sedurlo, sarebbe una vera trappola, tesa alla sua fragilità, alla sua inesperienza, alla sua buona fede; diciamo di più: ciò sarebbe abusare della sua fiducia in Dio. La ragione rifiuta di ammettere una tale preferenza a vantaggio del male. Ma, ora, vediamo i fatti.

7. Si accordano ai demoni facoltà trascendenti; niente essi hanno perduto della loro natura angelica; essi hanno il sapere, la perspicacia, la preveggenza e la chiaroveggenza degli angeli e, in più, l'astuzia, la destrezza e la malizia in sommo grado. Il loro scopo è quello di sviare gli uomini dal bene e, soprattutto, di allontanarli da Dio per trascinarli all'inferno di cui essi sono i procacciatori e i reclutatori.

Si comprende, quindi, come essi si rivolgano a coloro che sono sulla retta via, e che per loro sarebbero perduti, se sulla retta via quelli persistessero. Si comprendono l'impiego della seduzione e i simulacri del bene per attirarli nelle loro reti. Ma il fatto incomprensibile è che essi si rivolgano a quelli che già appartengono a loro anima e corpo, per ricondurli a Dio e al bene. Ora, chi è nelle loro grinfie più di colui che rinnega e bestemmia Dio, e che s'inabissa nel vizio e nel disordine delle passioni? Non è forse costui già sulla strada dell'inferno? Ma come comprendere che, sicuri della loro preda, la incitino a pregare Dio, a sottomettersi alla Sua volontà, a rinunciare al male? Come comprendere che esaltino ai suoi occhi le delizie della vita dei buoni Spiriti e gli dipingano con orrore le condizioni dei malvagi? Si è mai visto un mercante decantare ai suoi clienti la merce del mercante vicino, a scapito della propria, e spingerli ad andare da quell'altro? Si è mai visto un reclutatore disprezzare la vita militare e lodare il riposo della vita domestica? Oppure dire loro che avranno una vita piena di fatiche e di privazioni; che hanno dieci probabilità su una di essere uccisi o quanto meno di avere le braccia e le gambe amputate?

Nondimeno, questo è lo stupido ruolo che si fa giocare al demonio, poiché è fatto notorio che, in seguito alle istruzioni emanate dal mondo invisibile, si vedono tutti i giorni non credenti e atei ritornare a Dio e pregare con fervore — cosa che non avevano mai fatto prima — e gente viziosa lavorare con ardore al proprio miglioramento. Pretendere che questa sia l'opera delle astuzie del demonio è voler fare di lui un vero grullo. Ora, siccome questa non è una supposizione, ma il risultato dell'esperienza, e siccome contro un fatto non c'è negazione possibile, bisogna concludere che il demonio è uno sprovveduto senza eguali, il quale non è poi né così astuto né così maligno come lo si dipinge, né di conseguenza così potente da essere temuto, dal momento che lavora contro i propri interessi. Oppure bisogna concludere che non tutte le manifestazioni provengano da lui.

8. "Essi fanno accettare l'errore sotto tutte le forme; è per ottenere questo risultato che il legno, la pietra, le foreste, le fontane, i santuari, le mani dei bambini diventano oracoli."

Dopo di ciò, c'è da chiedersi allora qual è il valore di queste parole del Vangelo: "Io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani avranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve, in questi giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno" (Atti degli Apostoli 2:17-18). Non si tratta forse della predizione delle medianità data a tutti, anche ai bambini, e che si sta realizzando ai nostri giorni? Gli apostoli hanno forse gettato l'anatema su questa facoltà? No. Essi l'annunciano come un favore di Dio, e non come l'opera del demonio. I teologi dei giorni nostri ne sanno, dunque, su questo punto più degli Apostoli? Non dovrebbero vedere il dito di Dio nella realizzazione di queste parole?

9. "Per mezzo di queste operazioni della magia moderna, noi vediamo riprodursi tra di noi le evocazioni e gli oracoli, le consultazioni, le guarigioni e i prodigi che hanno reso famosi i templi degli idoli e gli antri delle sibille."

In che cosa si ravvisano le operazioni della magia nelle evocazioni spiritiste? Ci fu un tempo in cui si poteva anche credere alla loro efficacia, ma al giorno d'oggi esse sono solo ridicole; non c'è alcuno che vi creda, e lo Spiritismo le condanna. Ai tempi in cui fioriva la magia, non si aveva che un'idea molto imperfetta sulla natura degli Spiriti, cui si guardava come a degli esseri dotati di un potere sovrumano. Li si evocava soltanto per ottenerne — foss'anche a prezzo della propria anima — i favori della sorte e della fortuna, la scoperta di tesori, la rivelazione del futuro, oppure pozioni magiche. La magia, con l'aiuto dei suoi segni, delle sue formule e delle sue operazioni cabalistiche, era ritenuta in grado di fornire pretesi segreti per operare dei prodigi, di indurre gli Spiriti a mettersi agli ordini degli uomini e soddisfare i loro desideri. Oggi sappiamo che gli Spiriti altro non sono che le anime degli uomini. Li si evoca solo per ricevere consigli dai buoni, per moralizzare i malvagi e per continuare i rapporti con gli esseri che ci sono cari. Ecco ciò che dice lo Spiritismo a questo riguardo.

10. Non esiste alcun mezzo per costringere uno Spirito a venire suo malgrado, se questo Spirito è vostro pari o a voi superiore in moralità — dico in moralità e non in intelligenza — perché voi non avete su di lui alcuna autorità. Se è a voi inferiore, potete costringerlo, se ciò è per il suo bene, poiché allora altri Spiriti vi aiuteranno (Il libro dei Medium, cap. XXV).

— Per le evocazioni saranno necessarie alcune disposizioni speciali. La più essenziale di tutte le disposizioni è il raccoglimento, quando si desidera avere a che fare con degli Spiriti seri. Con la fede e il desiderio del bene si ha più forza per evocare gli Spiriti superiori. Elevando la propria anima con qualche istante di raccoglimento al momento dell'evocazione, ci si identifica con i buoni Spiriti e li si dispone a venire (Il libro dei Medium, cap. XXV).

— Nessun oggetto, medaglia o talismano ha la proprietà di attirare o respingere gli Spiriti; la materia non esercita alcuna azione su di essi. Mai un buono Spirito consiglierebbe simili assurdità. La virtù dei talismani non è mai esistita se non nell'immaginazione dei creduloni (Il libro dei Medium, cap. XXV).

— Non esiste alcuna formula sacramentale per l'evocazione degli Spiriti. Chiunque pretendesse di darne una potrebbe essere tacciato senza alcun timore di impostura, dal momento che per gli Spiriti la forma equivale a un nulla. Tuttavia l'evocazione deve sempre essere fatta nel nome di Dio (Il libro dei Medium, cap. XVII).

— Gli Spiriti che fissano degli appuntamenti in luoghi lugubri e in ore indebite sono Spiriti che si divertono a spese di quelli che li stanno ad ascoltare. È sempre inutile e spesso dannoso cedere a tali suggestioni: inutile perché non ci si guadagna assolutamente nient'altro che d'essere ingannati; dannoso, non per il male che possono fare agli Spiriti, ma per l'influenza che tali cose possono esercitare su delle menti deboli (Il libro dei Medium, cap. XXV).

— Non ci sono ore e giorni più propizi alle evocazioni; per gli Spiriti ciò è del tutto indifferente — come tutto ciò che è materiale —, e sarebbe una superstizione credere alla influenza dei giorni e delle ore. I momenti più propizi sono quelli in cui l'evocatore è il meno distratto possibile dalle sue occupazioni abituali; quelli in cui il suo corpo e il suo spirito sono più calmi (Il libro dei Medium, cap. XXV).

— La critica malevola si è divertita a presentare le comunicazioni spiritiste circondate da pratiche ridicole e superstiziose di magia e di negromanzia. Se coloro che trattano di Spiritismo senza conoscerlo si fossero data la pena di studiare ciò di cui hanno la pretesa di parlare, si sarebbero risparmiata la fatica dell'immaginare e dell'addurre, con ciò dimostrando la loro ignoranza e il loro malvolere. Semplificando, per le persone estranee alla Scienza, noi diremo che per comunicare con gli Spiriti non ci sono giorni né momenti né luoghi più propizi di altri; che per evocarli non occorrono né formule né parole sacramentali o cabalistiche; che non c'è bisogno di nessuna preparazione né di alcuna iniziazione; che l'impiego di qualsiasi segno od oggetto, sia per attrarli sia per respingerli, è senza effetto, e che il solo pensiero è sufficiente; infine, che i medium ricevono le comunicazioni degli Spiriti semplicemente e naturalmente, come se fossero dettate da un vivente, senza uscire dallo stato normale. Solo la ciarlataneria potrebbe far mostra di maniere eccentriche e aggiungere complementi ridicoli (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, n. 49).

— Il futuro, in linea di massima, deve essere tenuto nascosto all'uomo; è solo in casi rari ed eccezionali che Dio ne permette la rivelazione. Se l'uomo conoscesse il futuro, trascurerebbe il presente e non agirebbe con la stessa libertà, perché sarebbe dominato dal pensiero che, se una cosa deve accadere, non c'è bisogno di occuparsene oppure cercherebbe di contrastarla. Dio non ha voluto che fosse così, affinché ognuno potesse concorrere al compimento delle cose stabilite, anche di quelle alle quali vorrebbe opporsi. Dio permette la rivelazione del futuro quando questa preveggenza deve facilitare il compimento di qualcosa invece di avversarlo, impegnando l'uomo ad agire diversamente da come avrebbe fatto senza quella preveggenza (Il libro degli Spiriti, cap. X, nn. 868, 869, 870).

— Gli Spiriti non possono guidare gli uomini nelle ricerche scientifiche e nelle scoperte. La scienza è opera del genio; essa non deve acquisirsi che con il lavoro, perché è solo per mezzo del lavoro che l'uomo progredisce nel suo cammino. Quale merito avrebbe mai se non avesse che da interrogare gli Spiriti per sapere tutto? Ogni imbecille potrebbe diventare scienziato a questo prezzo. La stessa cosa avviene per le invenzioni e le scoperte industriali.

Quando il tempo di una scoperta è giunto, gli Spiriti incaricati di dirigere il cammino, cercano l'uomo in grado di portarlo a buon fine e gli ispirano le idee necessarie, in modo da lasciare a lui tutto il merito, poiché bisogna che egli elabori queste idee e le metta in opera. Ed è così per tutte le grandi opere dell'intelligenza umana. Gli Spiriti lasciano ogni uomo nella sua sfera. Di colui che non è adatto che a dissodare la terra non faranno certo il depositario dei segreti di Dio; ma sapranno trarre dall'oscurità l'uomo capace di assecondare i Suoi disegni. Dunque, non lasciatevi assolutamente trascinare dalla curiosità o dall'ambizione lungo una strada che non è lo scopo dello Spiritismo e che vi condurrebbe alle più ridicole mistificazioni (Il libro dei Medium, cap. XXVI).

— Gli Spiriti non possono far scoprire i tesori nascosti. Gli Spiriti superiori non si occupano di queste cose; ma ci sono Spiriti sbeffeggiatori che indicano spesso dei tesori che non esistono, oppure possono anche indicarne uno in un luogo, mentre esso si trova in un luogo opposto. E ciò ha la sua utilità, poiché serve a dimostrare che la vera fortuna è nel lavoro. Se la Provvidenza destina delle ricchezze nascoste a qualcuno, questi le troverà naturalmente; altrimenti no (Il libro dei Medium, cap. XXVI).

— Lo Spiritismo, illuminandoci sulle proprietà dei fluidi, che sono gli agenti e i mezzi di azione del mondo invisibile, e che costituiscono una delle forze e una delle potenze della Natura, ci dà la chiave di un gran numero di cose inesplicate e inesplicabili da ogni altro mezzo, e che sono potute passare, nei tempi trascorsi, per dei prodigi. Lo Spiritismo rivela, allo stesso modo del magnetismo, una legge, se non sconosciuta, almeno non ben compresa; o, per meglio dire, se ne conoscevano gli effetti, poiché essi si sono prodotti in ogni tempo, ma non se ne conosceva la legge, ed è l'ignoranza di questa legge che ha generato la superstizione. Conosciuta questa legge, il meraviglioso sparisce, e i fenomeni rientrano nell'ordine delle cose naturali. Ecco perché gli spiritisti non fanno miracoli, facendo ruotare una tavola o facendo scrivere i trapassati, più di quanto non ne faccia il medico che fa rivivere un moribondo, o il fisico che fa cadere il fulmine. Colui che pretendesse, con l'aiuto di questa scienza, di fare dei miracoli sarebbe, al riguardo, un ignorante o un imbroglione(Il libro dei Medium, cap. II).

— Taluni si fanno un'idea errata delle evocazioni. C'è chi crede che consistano nel far apparire i morti con tutto l'apparato lugubre della tomba. Non è come nei romanzi, nei racconti fantastici dei risuscitati o a teatro dove si vedono dei morti scheletriti uscire dai loro sepolcri avvolti in un lenzuolo, facendo scricchiolare le ossa. Lo Spiritismo — che non ha mai fatto miracoli — non ha mai fatto né questo né altro, né ha mai fatto risuscitare un morto. Quando un corpo è nella fossa vi rimane definitivamente. Ma l'essere spirituale, fluidico, intelligente non giace con il suo involucro pesante. Se ne libera al momento della morte e, una volta avvenuta la separazione, non ha più nulla in comune con il corpo (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, n. 48).

11. Ci siamo soffermati alquanto a lungo su queste citazioni per dimostrare che i principi dello Spiritismo non hanno alcun rapporto con quelli della magia. Così, né Spiriti agli ordini degli uomini, né mezzi per costringerli, né segni o formule cabalistiche, né scoperte di tesori o procedimenti per arricchirsi, né miracoli o prodigi, né divinazioni né apparizioni fantastiche; niente, insomma, di quanto costituisce il fine e gli elementi essenziali della magia. Infatti non solo lo Spiritismo rifiuta tutte queste cose, ma ne dimostra l'impossibilità e l'inefficacia. Non c'è dunque alcuna analogia tra il fine e i mezzi della magia e quelli dello Spiritismo; volere assimilarli non può essere che un fatto di ignoranza o di malafede. E, siccome i principi dello Spiritismo non hanno niente di segreto, dal momento che sono formulati in termini chiari e inequivocabili, l'errore non può prevalere.

Quanto ai casi di guarigione, riconosciuti reali nella lettera pastorale più indietro citata, l'esempio — quale mezzo per evitare relazioni con gli Spiriti — è stato mal selezionato. È uno dei benefici che impressionano di più e che ciascuno può apprezzare; pochi saranno disposti a rinunciarvi, soprattutto dopo aver esaurito tutti gli altri mezzi, nella paura di essere guariti dal diavolo; più di uno, al contrario, dirà che se il diavolo lo ha guarito, il diavolo ha compiuto una buona azione. [2]

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[2] Volendo persuadere delle persone, guarite dagli Spiriti, che erano state guarite dal diavolo, un grande numero di esse si è radicalmente staccato dalla Chiesa, senza che mai prima avesse pensato di lasciarla.

12. "Quali sono gli agenti segreti di questi fenomeni e i veri attori di queste scene inspiegabili? Gli angeli non accetterebbero mai questi ruoli indegni, né si presterebbero mai a tutti i capricci di una vana curiosità"

L'autore si riferisce alle manifestazioni fisiche degli Spiriti, tra le quali ve ne sono alcune che sarebbero evidentemente poco degne di Spiriti superiori. E se alla parola angeli, voi sostituite quella di puri Spiriti o Spiriti superiori, voi avrete esattamente ciò che dice lo Spiritismo. Ma non si potrebbero mettere al medesimo livello le comunicazioni intelligenti, attraverso la scrittura, la parola, l'udito od ogni altro mezzo, le quali non sono indegne dei buoni Spiriti più di quanto non lo siano, sulla Terra, le comunicazioni degli uomini più eminenti, né le apparizioni, le guarigioni e una miriade di altre manifestazioni, che i libri sacri citano a profusione come opera degli angeli o dei santi. Se dunque gli angeli e i santi hanno prodotto in passato dei fenomeni, perché non dovrebbero produrne anche oggi? Perché i medesimi fatti dovrebbero oggi essere l'opera del diavolo, tra le mani di certe persone, mentre sono reputati miracoli santi tra le mani di altre? Sostenere una simile tesi vuol dire abdicare a ogni logica.

L'autore della citata lettera pastorale è in errore quando afferma che questi fenomeni sono inspiegabili. Al contrario, al giorno d'oggi essi sono perfettamente spiegati, ed è per questo che non si guarda più a essi come a fenomeni sorprendenti e soprannaturali. E se ancora non fossero così spiegati, attribuirli al diavolo non sarebbe più logico di quanto non fosse in passato fare l'onore al diavolo di attribuirgli tutti gli effetti naturali di cui non si comprendeva la causa.

Per ruoli indegni, bisogna intendere i ruoli ridicoli e quelli che consistono nel fare il male; ma non si può qualificare così il ruolo degli Spiriti che praticano il bene e riconducono gli uomini a Dio e alla virtù. Orbene, lo Spiritismo afferma espressamente che i ruoli indegni non fanno parte delle attribuzioni degli Spiriti superiori, così come dimostrano i precetti di seguito riportati.

13. La natura degli Spiriti si riconosce dal loro linguaggio. Quello dei veramente buoni e superiori è sempre dignitoso, nobile, logico e senza contraddizioni. Esso rivela saggezza, benevolenza, modestia e la morale più pura; il loro linguaggio è conciso e senza parole superflue. Presso gli Spiriti inferiori, ignoranti od orgogliosi, il vuoto delle idee viene colmato dall'abbondanza delle parole. Ogni idea evidentemente falsa, ogni massima contraria alla morale, ogni consiglio ridicolo, ogni espressione grossolana, pesante o semplicemente frivola, ogni segno, infine, di malevolenza, di presunzione o di arroganza sono segni incontestabili della condizione di inferiorità di uno Spirito.

— Gli Spiriti superiori si occupano solo di comunicazioni intelligenti, fatte allo scopo di istruirci. Le manifestazioni fisiche o puramente materiali rientrano in modo particolare nelle attribuzioni degli Spiriti inferiori, volgarmente designati col nome di Spiriti percussori, come fra noi i giochi di abilità sono cose da giocolieri e non da persone dotte. Sarebbe assurdo pensare che gli Spiriti, per poco elevati che siano, si divertano a dare spettacolo (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, nn. 37,40; vedere anche: Il libro degli Spiriti, 2° parte, cap. I: "Differenti ordini di Spiriti" e "Scala spiritista"; Il libro dei Medium, 2° parte, cap. XXIV: "Identità degli Spiriti" e "Distinzione tra i buoni e i cattivi Spiriti").

Qual è l'uomo che, in buona fede, potrebbe vedere in questi precetti un molo indegno attribuito agli Spiriti elevati? Non solo lo Spiritismo non confonde gli Spiriti, ma, mentre si attribuisce ai demoni una intelligenza uguale a quella degli angeli, lo Spiritismo constata, attraverso l'osservazione dei fatti, che gli Spiriti inferiori sono più o meno ignoranti, che il loro orizzonte morale è più o meno limitato e la loro perspicacia ristretta; che delle cose hanno spesso un'idea falsa e incompleta, che sono incapaci di risolvere certe questioni, la qual cosa li mette nell'impossibilità di fare tutto quanto viene attribuito ai demoni.

14. "Le anime dei morti, che Dio proibisce di consultare, dimorano nel luogo che ha loro assegnato la Sua giustizia, ed esse non possono, senza il Suo permesso, mettersi agli ordini dei vivi."

Anche lo Spiritismo dice che esse non possono venire senza il permesso di Dio, ma è ancora molto più rigoroso, perché dice che nessuno Spirito, buono o cattivo, può venire senza questo permesso, mentre la Chiesa attribuisce ai demoni il potere di farne a meno. Anzi, lo Spiritismo va ancora oltre, poiché afferma che, anche con questo permesso, allorché gli Spiriti si presentano all'appello dei vivi, ciò non significa affatto mettersi ai loro ordini.

Lo Spirito evocato viene spontaneamente oppure vi è costretto? Egli obbedisce alla volontà di Dio, vale a dire alla legge generale che regge l'Universo. Tuttavia, il termine costretto non si adatta al caso, poiché lo Spirito giudica se è utile andare: e qui, ancora, egli esercita il libero arbitrio. Lo Spirito superiore viene sempre quando è chiamato per uno fine utile, egli si rifiuta di rispondere solo negli ambienti di persone poco serie e che trattano la cosa per divertimento (Il libro dei Medium, cap. XXV).

— Lo Spirito evocato può rifiutarsi di presentarsi all'appello che gli è stato rivolto? — Certamente. Dove sarebbe allora il suo libero arbitrio senza ciò? Ma voi credete che tutti gli esseri dell'Universo siano ai vostri ordini? E voi stessi d'altronde vi credete obbligati a rispondere a tutti quelli che pronunciano il vostro nome? Quando io dico ch'egli si può rifiutare, intendo su domanda dell'evocatore, perché uno Spirito inferiore può essere costretto a venire da uno Spirito superiore (Il libro dei Medium, cap. XXV).

Gli Spiritisti sono talmente convinti che essi non hanno alcun potere diretto sugli Spiriti e che non possono ottenerne niente senza il permesso di Dio, che, quando fanno appello a un qualsiasi Spirito, dicono: Prego Dio onnipotente di permettere a uno Spirito buono di comunicare con me e di farmi scrivere; prego anche il mio angelo custode di volermi assistere con benevolenza e di tenere lontano da me i cattivi Spiriti. Oppure, quando si tratta della chiamata verso un determinato Spirito: Io prego Dio onnipotente di permettere allo Spirito del tal dei tali di comunicare con me (Il libro dei Medium, cap. XVII, n. 203).

15. Le accuse lanciate dalla Chiesa contro la pratica delle evocazioninon concernono dunque lo Spiritismo, poiché esse si riferiscono principalmente alle operazioni della magia, con la quale lo Spiritismo non ha nulla in comune, poiché esso condanna, in queste operazioni, ciò che la Chiesa stessa condanna. Lo Spiritismo, inoltre, non fa esercitare ai buoni Spiriti un ruolo indegno di essi; esso, infine, dichiara di non chiedere nulla e nulla ottenere senza il permesso di Dio.

Indubbiamente, possono esserci delle persone che abusano delle evocazioni, che ne fanno un gioco, che le snaturano del loro fine provvidenziale per metterle al servizio dei loro interessi personali; che, per ignoranza, leggerezza, orgoglio o cupidigia, si allontanano dai veri principi della dottrina; ma lo Spiritismo serio condanna queste persone, così come la vera religione condanna i falsi devoti e gli eccessi del fanatismo. Non è dunque né logico né giusto imputare allo Spiritismo in generale gli abusi che esso stesso condanna, o gli errori di coloro che non lo comprendono. Prima di formulare un'accusa, bisogna accertarsi che essa colpisca giusto. Diremo dunque che il biasimo della Chiesa ricade sui ciarlatani, sugli sfruttatori, sulle pratiche di magia e stregoneria; e che su questo la Chiesa ha ragione.

Quando la critica religiosa o scettica smaschera gli abusi e stigmatizza il ciarlatanismo, non fa che mettere meglio in risalto la purezza della sana dottrina, aiutandola così a sbarazzarsi delle malefiche scorie. In tal modo essa facilita il nostro compito. Suo torto è quello di confondere il bene e il male, per ignoranza da parte dei più, per mala fede da parte di alcuni; ma la distinzione che essa non fa, altri la fanno. In tutti i casi, il suo biasimo, al quale ogni Spiritista sincero si associa — nei limiti di ciò che si applica al male —, non può colpire la dottrina.

16. "Gli esseri misteriosi che accorrono così al primo appello dell'eretico e dell'empio come del fedele, del delitto come dell'innocenza, non sono né gli inviati di Dio, né gli apostoli della verità, ma i seguaci dell'errore e dell'inferno."

Così, all'eretico e al criminale, Dio non permette che Spiriti buoni vadano a trarli fuori dall'errore per salvarli dalla perdizione eterna! Egli non invia loro se non i seguaci dell'inferno per meglio inabissarli nel letamaio! Ben di più, Egli non invia all'innocenza che degli esseri perversi per pervertirla! Dunque, tra gli angeli, queste creature da Dio privilegiate, non si trova nessun essere che abbia abbastanza compassione per venire in soccorso di queste anime perdute? A che cosa servono le brillanti qualità di cui essi sono dotati, se vengono impiegate solo per i loro personali godimenti? Sono poi buoni davvero se, immersi nelle delizie della contemplazione, essi vedono queste anime sulla strada dell'inferno, senza preoccuparsi di distoglierle? Non è forse questa l'immagine del ricco egoista che, pur avendo tutto a profusione, lascia, senza pietà, il povero morire di fame davanti alla sua porta? Non è forse questo l'egoismo elevato a virtù e posto ai piedi dell'Eterno?

Voi vi meravigliate che i buoni Spiriti si presentino all'eretico o all'empio; voi dimenticate allora queste parole del Cristo: "Non è colui che è in salute che ha bisogno del medico". Non riuscite voi a vedere le cose da un punto di vista più elevato di quello dei Farisei del suo tempo? E voi stessi, se foste chiamati da un miscredente, vi rifiutereste di andare da lui così da metterlo sulla buona strada? I buoni Spiriti fanno dunque ciò che fareste voi. Essi vanno dall'empio per fargli ascoltare delle buone parole. Invece di scagliare l'anatema sulle comunicazioni d'oltretomba, benedite le vie del Signore e ammirate la Sua onnipotenza e la Sua bontà infinita.

17. Ci sono, si dice, gli angeli custodi. Ma quando questi angeli custodi non possono farsi ascoltare attraverso la voce misteriosa della coscienza o dell'ispirazione, perché non dovrebbero impiegare dei mezzi d'azione più diretti e più materiali, in modo da colpire i sensi, dal momento che tali mezzi esistono? Dio dunque mette questi mezzi — che sono opera Sua, poiché tutto viene da Lui e poiché niente avviene senza il Suo permesso — a disposizione dei soli Spiriti malvagi, mentre rifiuta a quelli buoni di servirsene? Da ciò, bisogna concludere che Dio dà ai demoni maggiori possibilità per danneggiare gli uomini, di quante non ne dia agli angeli custodi per salvarli.

Ebbene, ciò che, secondo la Chiesa, non possono fare gli angeli custodi lo fanno i demoni per loro. Con l'aiuto di quelle stesse comunicazioni cosiddette infernali, essi riconducono a Dio coloro che Lo rinnegavano, al bene coloro che erano immersi nel male; essi ci offrono lo strano spettacolo di milioni di uomini che credono in Dio grazie alla potenza del diavolo, quando la Chiesa si era mostrata impotente a convertirli. Quanti uomini che non pregavano mai pregano oggi con fervore, grazie agli ammaestramenti di quegli stessi demoni! Quanti se ne vedono che, orgogliosi, egoisti e debosciati, sono divenuti umili, caritatevoli e temperanti! E poi si dice che questa è opera dei demoni! Se è così, bisogna convenire che il diavolo ha loro reso un più grande servizio e li ha assistiti meglio degli angeli. Bisogna avere una ben misera opinione del buon senso degli uomini in questo secolo, per credere ch'essi possano accettare ciecamente tali idee. Una religione, che fa d'una simile dottrina il suo cardine, che si dichiara privata delle sue fondamenta se le si levano i suoi diavoli, il suo inferno, le sue pene eterne e il suo Dio senza pietà, è una religione votata al suicidio.

18. Dio, dicono, il quale ha inviato il Suo Cristo per salvare gli uomini, non ha forse dimostrato il Suo amore per le Sue creature? Le ha forse lasciate senza protezione? Indubbiamente, il Cristo è il divino Messia, inviato per insegnare agli uomini la verità e mostrare loro la buona via. Ma contate — e soltanto dopo la sua venuta — il numero di coloro che hanno potuto intendere la sua parola di verità, quanti sono morti e quanti morranno senza conoscerla, e, fra coloro che la conoscono, quanti sono quelli che la mettono in pratica! Perché Dio, nella Sua sollecitudine per la salvezza dei Suoi figli, non dovrebbe inviare loro altri messaggeri, che vengano su tutta la Terra, entrando nelle abitazioni più umili, presso grandi e piccoli, presso sapienti e ignoranti, presso credenti e non credenti, per insegnare la verità a coloro che non la conoscono, per farla comprendere a coloro che non la comprendono, per supplire con il loro insegnamento diretto e molteplice all'insufficienza della diffusione del Vangelo e accelerare così l'avvento del regno di Dio? E quando questi messaggeri arrivano in masse innumerevoli, aprendo gli occhi ai ciechi, convertendo gli empi, guarendo i malati, consolando gli afflitti sull'esempio di Gesù, voi li respingete, voi ripudiate il bene che fanno, dicendo che sono demoni! Tale è anche il linguaggio dei Farisei riguardo a Gesù, poiché anch'essi dicevano che praticava il bene attraverso il potere del diavolo. Che cosa rispose Gesù? "Riconoscete l'albero dal suo frutto. Un cattivo albero non può dare buoni frutti." Ma per loro, i frutti prodotti da Gesù erano cattivi, poiché egli veniva a distruggere gli abusi e a proclamare la libertà che avrebbe dovuto abbattere la loro autorità. Se egli fosse venuto a blandire il loro orgoglio, a convalidare le loro prevaricazioni e a fiancheggiare il loro potere, egli sarebbe stato ai loro occhi il Messia atteso dai Giudei. Egli era solo, povero e debole, essi l'hanno fatto morire e hanno creduto di uccidere la sua parola; ma la sua parola era divina e gli è sopravvissuta. Tuttavia essa si è propagata con lentezza, e dopo diciotto secoli è conosciuta appena dalla decima parte del genere umano, e numerosi scismi sono scoppiati persino in seno alla cristianità. Ed è allora che Dio, nella Sua misericordia, invia gli Spiriti per confermarla, per completarla, per metterla alla portata di tutti e per diffonderla su tutta la Terra. Ma gli Spiriti non sono incarnati in un solo uomo, la cui voce sarebbe stata limitata; essi sono innumerevoli, vanno dappertutto e non li si può afferrare: ecco perché il loro insegnamento si diffonde con la rapidità del lampo. Essi parlano al cuore e alla ragione: ecco perché sono compresi dai più umili.

19. "Ma, voi dite, non è indegno di celesti messaggeri trasmettere le loro istruzioni con un mezzo così volgare come quello delle tavole parlanti? Non è oltraggiarli supporre ch'essi si divertano con delle trivialità e lascino la loro meravigliosa dimora per mettersi a disposizione del primo venuto?"

Gesù non ha forse lasciato la dimora del Padre suo per nascere in una stalla? D'altronde, dove mai avete visto che lo Spiritismo attribuisce le cose volgari a degli Spiriti superiori? Esso dice proprio il contrario, asserendo che le cose volgari sono il prodotto degli Spiriti volgari. Ma, per la loro stessa volgarità, tali cose non hanno fatto altro che colpire di più le immaginazioni; esse sono servite a provare l'esistenza del mondo spirituale e hanno mostrato che questo mondo è tutt'altro da come uno se lo era figurato. Era l'inizio; era semplice come tutto ciò che inizia. Ma l'albero nato da un piccolo seme, non estende meno, più tardi, il suo fogliame. Chi avrebbe mai creduto che, dalla misera mangiatoia di Betlemme, sarebbe uscita un giorno la parola che doveva sconvolgere il mondo?

Sì, il Cristo è il divino Messia. Sì, la sua è la parola di verità. Sì, la religione fondata su questa parola sarà incrollabile, ma a condizione di seguire e di praticare i suoi sublimi insegnamenti e di non fare del Dio giusto e buono, che Gesù ci insegna a conoscere, un Dio parziale, vendicativo e senza pietà.




Capitolo XI - DELLA PROIBIZIONE DI EVOCARE I MORTI

1. La chiesa non nega in alcun modo la realtà delle manifestazioni; essa, al contrario, le ammette tutte, come abbiamo visto nelle citazioni precedenti, solo che le attribuisce all'esclusivo intervento dei demoni. È a torto che alcuni invochino il Vangelo per interdirle, dal momento che il Vangelo non ne fa parola. L'argomento supremo che si fa valere è la proibizione di Mosè. Qui di seguito diamo i termini coi quali si riferisce all'argomento l'Autore della medesima pastorale, citata nei capitoli precedenti.

"Non è permesso mettersi in rapporto con essi (gli Spiriti), sia immediatamente, sia attraverso la mediazione di coloro che li invocano e li interrogano. La legge mosaica puniva con la morte quei Gentili che esercitavano queste pratiche detestabili, in uso presso di loro.

'Non vi rivolgete agli Spiriti, né agli indovini,' è detto nel libro del Levitico; 'non li consultate, per non contaminarvi a causa loro'" (Levitico 19:31).

"Se un uomo o una donna sono negromanti o indovini dovranno essere messi a morte; saranno lapidati; il loro sangue ricadrà su di loro" (Levitico 20:27). E nel libro del Deuteronomio si legge: "Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli Spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante, perché il Signore detesta chiunque fa queste cose; a motivo di queste pratiche abominevoli, il Signore, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni dinanzi a te" (Deuteronomio 18:10-12).

2. È utile, per la comprensione del vero senso delle parole di Mosè, ricordarne il testo completo ancora una volta:

"Non vi rivolgete agli Spiriti, né agli indovini, non li consultate, per non contaminarvi a causa loro. Io sono il Signore vostro Dio" (Levitico 19:31)

"Se un uomo o una donna sono negromanti o indovini dovranno essere messi a morte; saranno lapidati; il loro sangue ricadrà su di loro" (Levitico 20:27).

"Quando sarai entrato nel paese che il Signore, il tuo Dio, ti dà, non imparerai a imitare le pratiche abominevoli di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli Spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante, perché il Signore detesta chiunque fa queste cose; a motivo di queste pratiche abominevoli, il Signore, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni dinanzi a te" (Deuteronomio 18:9-12).

3. Se la legge di Mosè deve essere rigorosamente osservata su questo punto, egualmente deve esserlo su tutti gli altri. Infatti, perché essa dovrebbe essere positiva per ciò che concerne le evocazioni, e negativa per altre cose? È necessario essere coerenti. Se si riconosce che la sua legge non è più in armonia con i nostri costumi e con la nostra epoca per certe cose, non c'è ragione perché non sia lo stesso per la proibizione di cui si parla.

D'altronde, è necessario rifarsi ai motivi che hanno provocato questa proibizione, motivi che avevano allora la loro ragion d'essere, ma che di certo non esistono più oggi. Il legislatore ebraico voleva che il suo popolo rompesse con tutti i costumi acquisiti in Egitto, dove quello delle evocazioni era in uso e costituiva soggetto d'abuso, come dimostrano queste parole d'Isaia: "Lo Spirito che anima l'Egitto svanirà, io renderò vani i suoi disegni; quelli consulteranno gli idoli, gli incantatori, gli evocatori di Spiriti e gli indovini" (Isaia 19:3).

Inoltre, gli Israeliti non dovevano contrarre alcuna alleanza con le nazioni straniere; e ora, stavano per ritornare le medesime pratiche presso quelle nazioni in cui erano sul punto di entrare e che dovevano combattere. Mosè dovette, dunque, per cause pratiche, infondere nel popolo ebraico, avversione per tutte quelle loro usanze che sarebbero potute diventare dei punti di contatto, se il popolo ebraico le avesse assimilate. Per giustificare questa avversione, bisognava presentare queste usanze come se fossero state condannate da Dio stesso. Da qui queste parole: Signore ha in orrore tutte queste cose; e distruggerà, al vostro arrivo, quelle nazioni che commettono questi crimini" (Deuteronomio 18:12).

4. La proibizione di Mosè era tanto più giustificabile in quanto non si evocavano i morti per rispetto e affetto verso di loro, né per un sentimento di pietà; era un mezzo di divinazione, allo stesso modo dei vaticini e dei presagi, utilizzati dalla ciarlataneria e dalla superstizione. Per quanto abbia potuto fare, Mosè non ottenne di sradicare queste abitudini diventate l'oggetto di un traffico, come dimostrano i seguenti passaggi del medesimo profeta:

"Se vi si dice: 'Consultate quelli che evocano gli Spiriti e gli indovini, quelli che sussurrano e bisbigliano', rispondete: 'Un popolo non deve forse consultare il suo Dio? Si rivolgerà forse ai morti in favore dei vivi?'" (Isaia 8:19)

"Io rendo vani i presagi degli impostori e rendo insensati gli indovini; io faccio indietreggiare i saggi e muto la loro scienza in follia" (Isaia 44:25).

"Si alzino dunque quelli che misurano il cielo, che osservano le stelle, che fanno pronostici a ogni novilunio; ti salvino essi dalle cose che ti piomberanno addosso! Ecco, essi sono come stoppia; il fuoco li consuma; non salveranno la loro vita dalla violenza della fiamma; non ne rimarrà brace a cui scaldarsi, né fuoco davanti al quale sedersi. Così sarà la sorte di quelli intorno a cui ti sei affaticata. Quelli che hanno trafficato con te fin dalla tua giovinezza andranno senza meta ognuno per conto suo e non ci sarà nessuno che ti salvi." (Isaia 47:13-15)

In questo capitolo, Isaia si rivolge ai Babilonesi, sotto la figura allegorica della "vergine figlia di Babilonia,... figlia dei Caldei" (Isaia 47:1). Egli dice che gli incantatori non impediranno la rovina della loro monarchia. Nel capitolo che segue, Isaia si rivolge direttamente agli Israeliti.

"Ma voi, avvicinatevi qua, figli della incantatrice, discendenza dell'adultero e della prostituta! Alle spalle di chi vi divertite? Verso chi aprite larga la bocca e cacciate fuori la lingua? Voi non siete forse figli di ribellione, progenie della menzogna, voi che v'infiammate fra i terebinti sotto ogni albero verdeggiante, che scannate i figli nelle valli sotto i crepacci delle rocce? La tua sorte è fra le pietre lisce del torrente; quelle, quelle son la fine che ti è toccata; a quelle tu hai fatto libazioni e hai presentato offerte. Posso io tollerare queste cose?" (Isaia 57:3-6)

Queste parole sono inequivocabili. Esse provano chiaramente che, in quel tempo, le evocazioni avevano come fine la divinazione e che se ne faceva commercio; esse erano associate alle pratiche della magia e della stregoneria e accompagnate anche da sacrifici umani. Mosè aveva dunque ragione a proibire queste cose e a dire che Dio le aborriva. Queste pratiche superstiziose si sono perpetuate fino al Medioevo; ma oggi la ragione ne ha fatto giustizia, e lo Spiritismo è venuto per mostrare lo scopo esclusivamente morale, consolatore e religioso delle relazioni d'oltretomba. Poiché gli Spiritisti non sacrificano le piccole creature e non spargono liquori per onorare gli dei; poiché non interrogano né gli astri né i morti né gli àuguri per conoscere il futuro, che Dio ha saggiamente tenuto nascosto agli uomini; poiché rifiutano di esercitare ogni traffico attraverso la facoltà — che alcuni hanno ricevuto — di comunicare con gli Spiriti; poiché non sono spinti né dalla cupidigia, ma da un sentimento pio e dal solo desiderio di istruirsi, di migliorarsi e di sollevare le anime sofferenti, la proibizione di Mosè non li riguarda in nessun modo. Questo è ciò che avrebbero visto coloro che la invocano contro gli Spiritisti, se avessero meglio approfondito il senso delle parole bibliche. Essi avrebbero riconosciuto che non esiste alcuna analogia tra ciò che accadeva tra gli Ebrei e ciò che insegnano i principi dello Spiritismo. Molto di più: avrebbero riconosciuto che lo Spiritismo condanna precisamente quelle stesse cose che costituivano le motivazioni della proibizione di Mosè. Ma, accecati dal desiderio di trovare un argomento contro le idee nuove, essi non si sono accorti che questo argomento poggia completamente sul falso.

La legge civile dei nostri giorni punisce tutti gli abusi che voleva reprimere Mosè. Se Mosè ha decretato il supplizio capitale contro i delinquenti, è perché aveva bisogno di mezzi rigorosi per governare quel popolo indisciplinato; così la pena di morte è largamente comminata nella sua legislazione. Egli, d'altronde, non aveva una grande scelta tra i suoi mezzi di repressione: non aveva né prigioni, né case di correzione nel deserto, né il suo popolo era tale da aver paura di pene puramente disciplinari; né poteva egli graduare le pene come si fa ai giorni nostri. È dunque a torto che ci basa sulla severità del castigo per provare il grado di colpevolezza riguardo all'evocazione dei morti. Fosse che, per rispetto verso la legge di Mosè, si dovrebbe mantenere la pena capitale in tutti i casi in cui essa veniva applicata? C'è da chiedersi, allora, perché si faccia rivivere con tanta insistenza questo articolo della legge, mentre si passa sotto silenzio l'inizio del capitolo in cui viene affermato: "I sacerdoti levitici, tutta quanta la tribù di Levi, non avranno parte né eredità con Israele; vivranno dei sacrifici consumati dal fuoco per il Signore e della eredità di lui. Non avranno, dico, alcuna eredità tra i loro fratelli; il Signore è la loro eredità, come egli ha detto loro" (Deuteronomio 18:1-2).

5. Ci sono due parti distinte nella legge di Mosè: la legge di Dio propriamente detta, promulgata sul monte Sinai, e la legge civile o disciplinare, adeguata ai costumi e al carattere del popolo. L'una è invariabile, l'altra si modifica a seconda dei tempi, e a nessuno può venire in mente che noi potremmo essere governati allo stesso modo degli Ebrei nel deserto, così come i capitolari di Carlomagno non potrebbero applicarsi alla Francia del diciannovesimo secolo. Né troveremmo chi penserebbe, per esempio, di far rivivere oggi questo articolo della legge mosaica: "Se un bue ferisce a morte, con le corna, un uomo o una donna, il bue dovrà essere lapidato, non se ne mangerà la carne e il padrone del bue sarà assolto" (Esodo 21:28).

Questo articolo, che a noi sembra così assurdo, non aveva tuttavia quale obiettivo di punire il bue e di mandare assolto il suo padrone; esso equivaleva semplicemente alla confisca dell'animale, causa dell'incidente, per obbligare il proprietario a una maggiore sorveglianza. La perdita del bue era la punizione per il padrone, punizione che doveva essere abbastanza notevole per un popolo di pastori, da non dovergliene infliggere altre. Ma tale pena non doveva procurare vantaggi a nessuno: è per questo che era vietato mangiare la carne del bue abbattuto. Altri articoli di legge esaminano il caso in cui il padrone è responsabile.

Tutto aveva la sua ragion d'essere nella legislazione di Mosè, perché tutto vi era previsto fin nei minimi dettagli. Ma la forma così come l'essenza delle leggi mosaiche obbedivano alle circostanze in cui egli si trovava. Se Mosè ritornasse oggi a dare un codice a una nazione civile dell'Europa, certamente non le darebbe quello che aveva dato agli Ebrei.

6. A ciò si obietta che tutte le leggi di Mosè sono prescritte in nome di Dio, come quella del Sinai. Se le si giudicano tutte di origine divina, perché i comandamenti sono limitati al decalogo? Il fatto è che se ne fece, dunque, una differenza. Se tutte queste leggi originano da Dio, tutte sono egualmente obbligatorie; perché allora non vengono tutte osservate? Perché, inoltre, non si è mantenuta la circoncisione, a cui Gesù si sottopose e che non abolì affatto? Ci si dimentica che tutti gli antichi legislatori, per dare maggiore autorità alle loro leggi, raccontavano di averle ricevute da una divinità. Mosè, più di ogni altro, aveva bisogno di questo appoggio, a causa del carattere del suo popolo; se, nonostante ciò, egli penò tanto per farsi obbedire, sarebbe stato ben peggio se avesse promulgato le leggi a nome proprio.

Gesù non è forse venuto per modificare la legge mosaica, e la sua legge non è forse il codice dei Cristiani? Non ha forse egli detto: "Voi avete appreso che è stata detta agli Antichi la tale e tal cosa, e io vi dico la tal'altra cosa"? Ma ha forse toccata la legge del Sinai? In nessun modo. Egli anzi la conferma, e tutta la sua dottrina morale non ne è che lo sviluppo. Orbene, in nessuna parte, Gesù allude mai alla proibizione di evocare i morti. Questa, tuttavia, era una questione abbastanza grave e tale da non essere omessa nei suoi insegnamenti dal momento che trattò questioni ben più secondarie.

7. In sintesi, si tratta di sapere se la Chiesa pone la legge mosaica al di sopra della legge evangelica, vale a dire se è più giudea che cristiana. C'è anche da osservare che, di tutte le religioni, quella che ha fatto meno opposizione allo Spiritismo è l'ebraica, la quale è anche quella che non ha invocato, contro le relazioni con i morti, la legge di Mosè a cui fanno riferimento le sette cristiane.

8. Altra contraddizione. Se Mosè ha proibito di evocare gli Spiriti dei morti, è dunque perché questi Spiriti potevano presentarsi, altrimenti la sua proibizione non avrebbe avuto senso. Se essi, ai suoi tempi, potevano venire lo possono ancora oggi. E se quelli che vediamo sono gli Spiriti dei morti, non sono allora esclusivamente demoni. Del resto, Mosè non parla assolutamente di questi ultimi.

È dunque evidente che non ci si può logicamente basare sulla legge di Mosè in questa circostanza, per due specifici motivi: primo, perché tale legge non è alla base del Cristianesimo e, secondo, perché essa non è adatta ai costumi della nostra epoca. Ma anche accordandole tutta l'autorità che pure alcuni le accordano, essa non può, come abbiamo visto, essere applicata allo Spiritismo.

Mosè, è vero, nella sua proibizione, annovera anche l'interrogazione dei morti; ma ciò avviene in modo secondario e in quanto accessorio delle pratiche della magia. Il termine stesso interrogazione, messo accanto agli indovini e agli àuguri, prova che, presso gli Ebrei, le evocazioni erano un mezzo di divinazione; ora, gli Spiritisti non evocano i morti per ottenere delle rivelazioni illecite, ma per riceverne saggi consigli e procurare sollievo a coloro che soffrono. Certamente, se gli Ebrei si fossero serviti delle comunicazioni d'oltretomba solo con questo scopo, lungi dal proibirle, Mosè le avrebbe, invece, incoraggiate, perché esse avrebbero reso il suo popolo più trattabile.

9. Se ad alcuni critici faceti o malintenzionati è piaciuto presentare le riunioni spiritiste come delle assemblee di stregoni e di negromanti, e i medium come degli indovini; se alcuni ciarlatani mescolano il nome dello Spiritismo a pratiche ridicole che esso sconfessa, molti sono quelli che sanno bene come regolarsi riguardo al carattere essenzialmente morale e austero delle riunioni dello Spiritismo serio. Oltre a questo, la Dottrina, in libri alla portata di tutti, leva alte proteste contro gli abusi di ogni genere, perché la calunnia ricada su chi la merita.

10. L'evocazione, si dice, è una mancanza di rispetto per i morti, di cui non bisogna turbare le ceneri. Chi dice questo? Sono gli antagonisti di due campi opposti che si danno la mano: i non credenti, che non credono alle anime, e quelli che, pur credendovi, pretendono che esse non possano venire, e che si presenti il solo demonio.

Quando l'evocazione è fatta religiosamente e con raccoglimento; quando gli Spiriti sono chiamati, non per curiosità, ma per un sentimento di affetto e di simpatia, e con il desiderio sincero di istruirsi e di diventare migliori, non si vede che cosa ci sarebbe d'irriverente nel chiamare le persone dopo la morte piuttosto che quando sono ancora in vita. Ma c'è un'altra risposta perentoria a questa obiezione, ed è quella secondo cui gli Spiriti vengono liberamente e non per costrizione; vengono spontaneamente anche senza essere chiamati; testimoniano la loro soddisfazione nel comunicare con gli uomini e s i lamentano spesso dell'oblio in cui sono a volte lasciati. Se fossero disturbati nella loro quiete o fossero scontenti del nostro appello, essi lo direbbero oppure non verrebbero affatto. Poiché sono liberi, quando vengono è perché a loro ciò aggrada.

11. Si adduce anche un'altra ragione: "Le anime — si dice — risiedono nella dimora che ha loro assegnato la giustizia di Dio, cioè nell'inferno o nel paradiso". Così quelle che sono all'inferno non ne possono uscire, benché ogni libertà a questo riguardo sia lasciata ai demoni. Quelle che stanno in paradiso sono completamente immerse nella loro beatitudine; esse sono troppo al di sopra dei mortali per occuparsi di loro e troppo felici per ritornare su questa terra di miseria a interessarsi di parenti e amici, che qui hanno lasciato. Sono, dunque, queste anime come quei ricchi che distolgono lo sguardo dai poveri per paura che ciò disturbi la loro digestione? Se così fosse, ben poco degne esse sarebbero della felicità suprema, che sarebbe in tal caso il premio dell'egoismo. Restano quelle che sono in purgatorio; ma queste sono anime che soffrono e devono pensare prima di tutto alla loro salvezza. Dunque né le une né le altre possono venire, e allora è soltanto il diavolo che può presentarsi al loro posto. Se dunque non possono venire, non c'è da aver paura di turbare il loro riposo.

12. Ma qui si presenta un'altra difficoltà. Se le anime che stanno nella beatitudine, non possono lasciare la loro fortunata dimora per venire in soccorso dei mortali, perché la Chiesa invoca l'assistenza dei santi, i quali, proprio loro, devono gioire del massimo insieme possibile di beatitudini? Perché la Chiesa dice ai suoi fedeli di invocarli nelle malattie, nelle afflizioni e per preservarsi dalle sventure? Perché, secondo la Chiesa, i santi e la Vergine stessa vengono a mostrarsi agli uomini e a fare dei miracoli? Perché, dunque, essi lasciano il Cielo per venire sulla Terra? Se questi, che si trovano nel più alto dei Cieli, possono abbandonarlo, perché quelli che sono meno elevati non potrebbero fare altrettanto?

13. Che i non credenti neghino la manifestazione delle anime, questo ben si comprende dal momento che essi non credono nell'anima; ma ciò che è strano è vedere coloro, le cui credenze poggiano sulla sua esistenza e sul suo futuro, accanirsi contro quei mezzi che possono provare ch'essa esiste, e sforzarsi di dimostrare che ciò è impossibile. Sembrerebbe naturale, invece, che coloro che hanno maggior interesse alla sua esistenza accogliessero con gioia, e come un beneficio della Provvidenza, i mezzi per turbare i negatori con delle prove irrefutabili, poiché essi sono i negatori della religione. Costoro deplorano senza tregua il dilagare della miscredenza, che decima il gregge dei fedeli, e quando il più potente mezzo per combatterla si presenta, essi lo respingono con un'ostinazione maggiore di quella degli stessi non credenti. Poi, allorché le prove debordano al punto da non lasciare più alcun dubbio, si fa ricorso, quale argomento supremo, al divieto di occuparsene, e per giustificarlo si va a cercare un articolo della legge di Mosè, al quale nessuno più pensava, e dove si vuole a ogni costo vedere un'applicazione che non esiste. Si è così felici di questa scoperta, che non ci si accorge neppure che quell'articolo è una giustificazione della Dottrina Spiritista.

14. Tutti i motivi addotti contro i rapporti con gli Spiriti non possono resistere a un attento esame. Tuttavia dall'ostinazione con cui in questo senso si combatte, si può dedurre che a tale questione è legato un grande interesse, senza il quale non si impiegherebbe tanta insistenza. Nel vedere questa crociata da parte di tutti i culti contro le manifestazioni, si direbbe che ne abbiano paura. Il vero motivo potrebbe ben essere la paura che gli Spiriti, troppo chiaroveggenti, vengano a illuminare gli uomini su quei punti che si vuole lasciare nell'ombra, e a far loro conoscere esattamente in che cosa consiste l'altro mondo e quali sono le vere condizioni per esservi felici o infelici. È per questo che, come si dice a un bambino: "Non andare là, ché c'è il lupo marinaro", così' si dice agli uomini: "Non chiamate gli Spiriti, ché sono il diavolo". Ma si avrà un bel dire: se si impedisce agli uomini di chiamare gli Spiriti, non si potrà impedire agli Spiriti di venire agli uomini e togliere la lampada da sotto il moggio. [1]

Il culto che si dispiegherà nella verità assoluta non avrà nulla da temere dalla luce, perché la luce farà scoprire la verità, e il demonio non potrà prevalere sulla verità.

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[1] Nota del traduttore: Togliere la lampada da sotto il moggio è espressione di origine biblica, che significa svelare una verità, una virtù o un pregio

15. Respingere le comunicazioni d'oltretomba equivale a rifiutare il potente mezzo d'istruzione che risulta dall'iniziazione della vita futura e dagli esami che tali comunicazioni ci forniscono. Poiché, inoltre, l'esperienza ci insegna il bene che si può fare distogliendo dal male gli Spiriti imperfetti, aiutando coloro che soffrono a liberarsi della materia e a migliorarsi, proibire tali comunicazioni equivale a privare le anime disgraziate dell'assistenza che noi possiamo dar loro. Le seguenti parole di uno Spirito riassumono in modo mirabile le conseguenze dell'evocazione praticata con un fine caritatevole:

"Ogni Spirito sofferente e dolente vi racconterà la causa della sua caduta e le lusinghe dalle quali si è lasciato sopraffare; vi dirà delle sue speranze, delle sue lotte, dei suoi terrori; vi dirà dei suoi rimorsi, dei suoi dolori, delle sue disperazioni; vi mostrerà Dio, giustamente indignato, che punisce il colpevole con tutta la severità della Sua giustizia. Ascoltandolo, voi vi muoverete a compassione per lui e sarete presi da timore per voi stessi. Se, poi, lo seguirete nei suoi lamenti, voi vedrete che Dio non lo perde mai di vista, attendendo che il peccatore si penta, per protendergli le braccia non appena quello provi ad avanzare. Del colpevole, infine, voi vedrete i progressi, ai quali voi avrete la gioia e la gloria di aver contribuito; e voi li seguirete con sollecitudine, così come il chirurgo segue i progressi della ferita, ch'egli medica ogni giorno" (Bordeaux, 1861).





PARTE SECONDA - ESEMPI



Capitolo I - IL PASSAGGIO

1. La certezza nella vita futura non esclude affatto le apprensioni del passaggio da questa vita all'altra. Molti non temono la morte in sé stessa; ciò che temono è il momento della transizione. Si soffre o non si soffre durante la traversata? È questo ciò che li inquieta, e con ragione, visto che nessuno sfugge alla legge fatale di questa transizione. Ci si può dispensare da un viaggio terreno; ma qui i ricchi come i poveri devono superare l'ostacolo, e se ciò è doloroso, né il rango né la fortuna potrebbero addolcirne l'amarezza.

2. Nell'osservare la calma di certe morti, e le terribili convulsioni dell'agonia in certe altre, si può già giudicare che le sensazioni non sempre sono le medesime; ma chi può illuminarci a questo riguardo? Chi ci descriverà il fenomeno fisiologico della separazione dell'anima e del corpo? Chi ci dirà le impressioni di questo istante supremo? Su questo punto la Scienza e la Religione sono mute.

E perché questo? Perché manca all'una e all'altra la conoscenza delle leggi che reggono i rapporti dello spirito e della materia; l'una si arresta sulla soglia della vita spirituale, l'altra su quella della vita materiale. Lo Spiritismo è il tramite tra le due; solo lo Spiritismo può dire come avviene la transizione, sia attraverso le nozioni più positive ch'esso ci dà sulla natura dell'anima, sia attraverso il racconto di coloro che hanno lasciato la vita. La conoscenza del legame fluidico che unisce l'anima e il corpo è la chiave di questo fenomeno, come di molti altri.

3. La materia inerte è insensibile: questo è un fatto positivo; solo l'anima prova le sensazioni del piacere e del dolore. Durante la vita, ogni disgregazione della materia si ripercuote sull'anima, la quale ne riceve una impressione più o meno dolorosa. È l'anima che soffre, non il corpo; questo non è che lo strumento del dolore, l'anima è il paziente. Dopo la morte, il corpo, essendo separato dall'anima, può essere impunemente mutilato, poiché non sente nulla; l'anima, essendo da esso isolata, non riceve alcun danno dalla disgregazione del corpo; essa ha sue proprie sensazioni, la cui origine non è nella materia tangibile.

Il perispirito è l'involucro fluidico dell'anima, dalla quale esso non è separato né prima né dopo la morte e con la quale esso non fa, per così dire, che un tutt'uno, poiché l'uno non può concepirsi senza l'altra. Durante la vita, il fluido del perispirito penetra il corpo in tutte le sue parti e serve da veicolo alle sensazioni fisiche dell'anima; è anche attraverso questo intermediario che l'anima agisce sul corpo e ne dirige i movimenti.

4. L'estinzione della vita organica conduce alla separazione dell'anima e del corpo attraverso la rottura del legame fluidico che li univa; ma questa separazione non è mai brusca; il fluido del perispirito si libera a poco a poco da tutti gli organi, così che la separazione è completa e assoluta solo quando non resta più un solo atomo del perispirito unito a una molecola del corpo. La sensazione dolorosa che l'anima prova in questo momento è in ragione della somma dei punti di contatto che esistono tra il corpo e il perispirito, e della maggiore o minore difficoltà e lentezza che la separazione presenta. Non ci si deve dunque nascondere che, a seconda delle circostanze, la morte può essere più o meno dolorosa. Sono queste le differenti circostanze che ci accingeremo a esaminare.

5. Prendiamo innanzi tutto, per iniziare, i quattro seguenti casi, che si possono considerare come le situazioni estreme, tra le quali c'è una infinità di varianti: 1° se al momento dell'estinzione della vita organica, la separazione del perispirito fosse stata completamente attuata, l'anima non sentirebbe assolutamente nulla; 2° se in quel momento la coesione dei due elementi si trova al massimo della sua forza, si produce allora una sorta di lacerazione che reagisce dolorosamente sull'anima; 3° se la coesione è debole, la separazione è facile e si attua senza scosse; 4° se, dopo la cessazione completa della vita organica, esistono ancora numerosi punti di contatto tra il corpo e il perispirito, l'anima potrebbe risentire degli effetti della decomposizione del corpo fin quando questo legame non sia completamente spezzato.

Da tutto ciò risulta che la sofferenza, che accompagna la morte, è subordinata alla forza di coesione che unisce il corpo e il perispirito; che tutto quanto può esser d'aiuto alla diminuzione di questa forza e alla rapidità del distacco rende il trapasso meno penoso; che, infine, se la separazione si attua senza alcuna difficoltà, l'anima non ne prova alcuna sensazione sgradevole.

6. Nel passaggio dalla vita corporale alla vita spirituale, si produce ancora un altro fenomeno, d'importanza capitale: è quello del turbamento. In questa situazione, l'anima prova un intorpidimento che paralizza momentaneamente le sue facoltà e paralizza, almeno in parte, le sensazioni. Essa si trova, per così dire, in uno stato di catalessi di modo che non è quasi mai testimone cosciente dell'ultimo respiro. Dicono quasi mai, perché c'è un caso in cui l'anima può averne coscienza, come vedremo fra poco. Il turbamento può dunque essere considerato come lo stato normale nel momento della morte; indeterminata è la sua durata, che può variare da alcune ore ad alcuni anni. Man mano che esso si dissipa, l'anima è nella condizione di un uomo che si svegli da un sonno profondo; le idee sono confuse, vaghe e incerte; la vista distingue a fatica, come attraverso una nebbia; poi a poco a poco la vista si schiarisce, la memoria ritorna, e l'anima riconosce sé stessa. Ma questo risveglio differisce molto da individuo a individuo; in alcuni è tranquillo e procura una sensazione deliziosa; in altri è pieno di terrore e di angoscia e produce l'effetto di un incubo orrendo.

7. Il momento dell'ultimo respiro non è quindi il più penoso, perché, nella maggior parte dei casi, l'anima non ha coscienza di sé stessa. Ma prima, soffre per la disgregazione della materia durante le convulsioni dell'agonia, e dopo, per le angosce del turbamento. Diciamo subito che questo stato non è generale. L'intensità e la durata della sofferenza sono, come abbiamo già detto, proporzionali all'affinità che esiste tra il corpo e il perispirito; più grande è questa affinità, più gli sforzi dello Spirito, per liberarsi dai suoi legami, sono lunghi e dolorosi. Ma ci sono persone presso le quali la coesione è così debole che il distacco si attua da sé stesso e naturalmente. Lo Spirito si separa dal corpo come un frutto maturo si stacca dal suo ramo; è il caso, questo, delle morti tranquille e dei risvegli pacifici.

8. Lo stato morale dell'anima è la causa che principalmente influisce sulla maggiore o minore facilità del distacco. L'affinità tra il corpo e il perispirito è proporzionale all'attaccamento dello Spirito per la materia. Tale affinità è al suo massimo nell'uomo le cui preoccupazioni si concentrano tutte sulla vita e sui piaceri materiali; essa è quasi nulla in colui la cui anima purificata si è identificata anticipatamente con la vita spirituale. Poiché la lentezza e la difficoltà della separazione sono in ragione del grado di purificazione e di dematerializzazione dell'anima, dipende da ognuno rendere questo passaggio più o meno facile o faticoso, più o meno lieve o doloroso.

Posto questo, sia come teoria sia come risultato dell'osservazione, non ci resta che esaminare l'influenza del genere di morte sulle sensazioni dell'anima negli ultimi momenti.

9. Nella morte naturale, quella che risulta dall'estinzione delle forze vitali, a causa dell'età o della malattia, la separazione si attua gradualmente. Nell'uomo la cui anima è dematerializzata e i cui pensieri si sono staccati dalle cose terrene, la separazione è pressoché completa ancor prima della morte reale; il corpo vive ancora della vita organica, quando l'anima è già entrata nella vita spirituale e non è più legata al corpo che da un legame così debole che si spezza senza fatica all'ultimo battito del cuore. In questa situazione, lo Spirito può aver già riscoperto la sua lucidità ed essere testimone cosciente dell'estinzione della vita dal suo corpo, del quale è felice d'essersi liberato, e per il quale il turbamento è quasi nullo. Per il corpo questo non è che un momento di sonno sereno, dal quale esce con una indicibile impressione di felicità e di speranza.

Nell'uomo materiale e sensuale, il quale ha vissuto più con il corpo che con lo spirito, per il quale la vita spirituale non significa nulla, neppure come una realtà nella sua mente, tutto ha contribuito a rafforzare i legami che lo avvincono alla materia; niente è venuto ad allentarli durante la sua vita. All'avvicinarsi della morte, il distacco avviene per gradi, ma con sforzi continui. Le convulsioni dell'agonia sono l'indice della lotta che sostiene lo Spirito, il quale a volte vuole rompere i legami che gli resistono, e altre volte si aggrappa al suo corpo, dal quale una forza irresistibile lo strappa violentemente, molecola per molecola.

10. Lo Spirito si attacca maggiormente alla vita corporale in quanto nulla vede al di là di essa; sente che questa gli sfugge e vuole trattenerla; invece di abbandonarsi al movimento che lo travolge, gli resiste con tutte le sue forze. Può così prolungare la lotta per giorni, settimane e anche per mesi interi. Senza dubbio, in questo momento, lo Spirito non possiede tutta la sua lucidità; il turbamento è cominciato molto tempo prima della morte, ma non per questo egli soffre meno. Il vuoto in cui si trova e l'incertezza di ciò che sarà di lui si aggiungono alle sue angosce. La morte arriva, e non tutto è finito. Il turbamento continua. Lo Spirito sente che vive, ma non sa se si tratta della vita materiale o della vita spirituale; lotta ancora fin quando gli ultimi legami del perispirito non sono spezzati. La morte ha messo termine alla malattia effettiva, ma non ne ha arrestato le conseguenze; finché esistono punti di contatto tra il corpo e il perispirito, lo Spirito ne risente le conseguenze e ne soffre.

11. Ben differente è la posizione dello Spirito dematerializzato, anche nelle più crudeli malattie. Poiché i legami fluidici che lo legano al corpo sono molto fragili, essi si spezzano senza alcuna scossa; inoltre, la sua fiducia nel futuro, ch'egli intravede già col pensiero e, a volte, anche nella realtà, gli fa considerare la morte come una liberazione, e i suoi mali come una prova; da tutto ciò, in lui sopraggiungono una calma morale e una rassegnazione che addolciscono la sofferenza.

Dopo la morte, essendosi quei legami spezzati nel medesimo istante, nessuna reazione dolorosa avviene in lui. Egli si sente, al suo risveglio, libero, riposato, alleviato di un gran peso e pienamente felice di non soffrire più.

12. Nella morte violenta, le condizioni non sono le stesse. Nessuna disgregazione parziale ha potuto indurre una separazione preliminare tra il corpo e il perispirito; la vita organica, nella piena esuberanza della sua forza, viene all'improvviso arrestata; il distacco del perispirito non inizia, dunque, che dopo la morte; in questo caso come negli altri, esso non può attuarsi istantaneamente.

Lo Spirito, colto all'improvviso, è come stordito; ma accorgendosi di pensare, si crede ancora in vita, e questa illusione dura, finché non si sarà reso conto della sua posizione. Questo stato intermedio tra la vita corporale e la vita spirituale è uno dei più interessanti da studiare, perché presenta il singolare spettacolo di uno Spirito, che confonde il suo corpo fluidico con il suo corpo materiale, e che prova tutte le sensazioni della vita organica. Questo stato intermedio offre inoltre una varietà infinita di modalità a seconda del carattere, delle cognizioni e del grado di avanzamento morale dello Spirito. Esso è di breve durata per coloro la cui anima è purificata, poiché in essi c'era già un distacco anticipato, di cui la morte, anche la più improvvisa, non fa che accelerare la conclusione; in altri, questo stato può prolungarsi anche per anni. Esso è molto frequente anche nei casi di morte ordinaria; e non c'è, per alcuni, niente di doloroso, a seconda delle qualità dello Spirito; ma per altri è una situazione terribile. È nel suicidio soprattutto che questa posizione diventa oltremodo dolorosa. Stando il corpo attaccato al perispirito con tutte le sue fibre, ogni convulsione del corpo si ripercuote sull'anima, che ne prova atroci sofferenze.

13. Lo stato dello Spirito al momento della morte può riassumersi nel modo che segue.

Lo Spirito tanto più soffre quanto più lento è il distacco del perispirito; la celerità del distacco è in rapporto col grado di avanzamento morale dello Spirito; per lo Spirito e materializzato, la cui coscienza è pura, la morte è un sonno di qualche istante, esente da ogni sofferenza, e il cui risveglio è pieno di soavità.

14. Per lavorare alla propria purificazione, reprimere le proprie cattive tendenze, vincere le proprie passioni, bisogna vederne i vantaggi nel futuro; per identificarsi con la vita futura, dirigervi le proprie aspirazioni e preferirla alla vita terrena, bisogna non solo credervi, ma anche comprenderla. Bisogna rappresentarsela sotto un aspetto soddisfacente per la ragione, in completo accordo con la logica, il buon senso e l'idea che ci si fa della grandezza, della bontà e della giustizia di Dio.

Di tutte le dottrine filosofiche, lo Spiritismo è quella che esercita, sotto questo aspetto, l'influenza più potente attraverso la fede incrollabile che esso sa offrire.

Lo Spiritista serio non si limita a credere; egli crede perché comprende, ed egli comprende perché ci si rivolge al suo giudizio; la vita futura è una realtà che si svolge senza tregua davanti ai suoi occhi; egli la vede e la tocca, per così dire, a ogni istante; il dubbio non può entrare nella sua anima. La vita corporale, così limitata, si cancella per lui davanti alla vita spirituale che è la vera vita; da qui la poca importanza ch'egli dà agli incidenti di percorso; da qui la sua rassegnazione di fronte alle vicissitudini della vita delle quali comprende la causa e l'utilità. La sua anima si eleva attraverso i rapporti diretti ch'egli intrattiene con il mondo invisibile; i legami fluidici che lo legano alla materia si affievoliscono, e così si attua un primo parziale distacco, che facilita il passaggio da questa vita all'altra. Il turbamento inseparabile della transizione è di breve durata, perché, appena superato l'ostacolo, egli si riconosce; niente gli è estraneo. Egli si rende conto della sua situazione.

15. Lo Spiritismo non è sicuramente indispensabile per raggiungere questo risultato; così come non ha la pretesa di assicurare, lui soltanto, la salvezza dell'anima, ma la facilita attraverso le conoscenze ch'esso procura, attraverso i sentimenti che ispira e attraverso la disponibilità nella quale pone lo Spirito, a cui fa comprendere la necessità di migliorarsi. A ciascuno, inoltre, lo Spiritismo dà i mezzi per facilitare il distacco degli altri Spiriti al momento in cui abbandonano l'involucro terreno, e per abbreviare la durata del turbamento con la preghiera e l'evocazione. Con la preghiera sincera, che è una magnetizzazione spirituale, si provoca una disgregazione più celere del fluido del perispirito; con una evocazione condotta con saggezza e prudenza, e con parole ricche di benevolenza e incoraggiamento, si trae fuori lo Spirito dall'intorpidimento in cui si trova, e lo si aiuta a riconoscersi molto prima; se è sofferente, lo si incita al pentimento, che è il solo a poter abbreviare le sofferenze. [1]

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[1] Gli esempi che ci apprestiamo a citare presentano gli Spiriti nelle differenti fasi di felicità e infelicità della vita spirituale. Non siamo stati a cercarli tra le persone più o meno illustri dell'antichità, la cui condizione è potuta considerevolmente cambiare, dopo l'esistenza che di loro abbiamo conosciuta, e che non offrirebbero, d'altra parte, sufficienti prove di autenticità. Al contrario, abbiamo preso questi esempi nelle circostanze più comuni della vita contemporanea, perché sono quelli in cui ciascuno può trovare le maggiori similitudini, e da cui si possono trarre le istruzioni più proficue attraverso il confronto. Quanto più l'esistenza terrena degli Spiriti si avvicina alla nostra, per la posizione sociale, per le relazioni o i legami di parentela, tanto più essi ci interessano, e tanto più facile è controllarne l'identità. Le posizioni comuni sono le più numerose, e ciò accade perché ognuno può più facilmente applicarle a sé stesso; le posizioni eccezionali toccano meno, perché escono dalla sfera delle nostre abitudini. Dunque, non sono affatto le celebrità che noi abbiamo ricercato; se poi tra questi esempi si trovano alcune personalità conosciute, la maggior parte degli esempi fa riferimento a persone del tutto oscure; ai fini dell'istruzione, nomi altisonanti nulla avrebbero aggiunto, mentre avrebbero potuto urtare alcune suscettibilità. Noi non ci rivolgiamo né ai curiosi né agli amanti degli scandali, ma a coloro che vogliono seriamente istruirsi. Questi esempi potrebbero essere moltiplicati all'infinito; ma costretti a limitarne il numero, abbiamo scelto quelli che potevano gettare più luce sulle condizioni del mondo spirituale, sia per la situazione dello Spirito, sia per le spiegazioni che questi era in grado di dare. Per la maggior parte essi sono inediti; soltanto alcuni sono già stati pubblicati sulla Rivista Spiritista di questi, abbiamo soppresso i dettagli superflui, conservando solo le parti essenziali per il fine che qui ci prefiggiamo, e vi abbiamo aggiunto le istruzioni complementari a cui hanno potuto dar luogo ulteriormente.




Capitolo II - SPIRITI FELICI

Bernardin

(Bordeaux, aprile del 1862)

"Io sono uno Spirito dimenticato da molti secoli. Ho vissuto sulla Terra nella miseria e nell'ignominia. Ho lavorato senza tregua per portare ogni giorno alla mia famiglia un misero tozzo di pane. Amavo, però, il mio vero Signore, e quando quello che mi tormentava sulla Terra aumentava il mio fardello di dolori, io dicevo: 'Mio Dio, datemi la forza di sopportare questo peso senza lamentarmi'. Io espiavo, amici miei. Ma una volta uscito da questa dura prova, il Signore mi ha ricevuto nella pace, e il mio augurio più caro è quello di riunirvi tutti attorno a me, figli miei, fratelli miei, e dirvi: 'Qualsiasi prezzo paghiate, la felicità che vi attende è ancora ben al di sopra di quel prezzo'.

Io non avevo una posizione sociale. Figlio di una famiglia numerosa, ho servito chi poteva aiutarmi a sopportare la mia esistenza. Nato in un'epoca in cui l'essere servi era condizione crudele, ho sopportato tutte le ingiustizie, tutte le fatiche, tutti i pesi che ai subalterni del Signore piaceva impormi. Ho visto la mia sposa oltraggiata; ho visto le mie figlie rapite e in seguito ripudiate, senza che io potessi protestare; ho visto i miei figli, buttati in guerre di crimini e saccheggi, venire impiccati per colpe che non avevano commesso! Se voi sapeste, miei poveri amici, ciò che ho sopportato nella mia troppo lunga esistenza! Ma attendevo. Attendevo la felicità che non sta sulla Terra, e il Signore me l'ha concessa. A voi tutti dunque, fratelli miei, coraggio, pazienza e rassegnazione.

Tu, figlio mio, custodisci ciò che ti ho dato: è un insegnamento pratico. Colui che predica è molto meglio ascoltato quando può dire: Io ho ascoltato più di voi. Io ho sopportato senza lamentarmi."

— In quale epoca siete vissuto?

«Dal 1400 al 1460.»

— Dopo, avete avuta un'altra esistenza?

«Sì. Ho vissuto ancora tra di voi come missionario. Sì, missionario della fede; ma di quella vera, di quella pura, di quella che proviene dalla mano di Dio, e non di quella manipolata dagli uomini.

— Ora, come Spirito, avete ancora delle occupazioni?

«Potresti forse credere che gli Spiriti restino inattivi? L'inattività, l'inutilità sarebbe un supplizio per loro. La mia missione è quella di guidare dei centri operai nello Spiritismo. Ispiro loro dei buoni pensieri e mi sforzo di neutralizzare quelli che gli Spiriti malvagi cercano di suggerire loro.»

BERNARDIN

Maurice Gontran

Era un figlio unico, morto a diciotto anni di una malattia polmonare. Intelligenza rara, razionalità precoce, grande amore per lo studio, carattere dolce, affettuoso e simpatico, egli possedeva tutte quelle qualità che danno le più legittime speranze d'un brillante avvenire. I suoi studi erano stati portati a termine assai presto con il più grande successo, ed egli lavorava per la Scuola Politecnica. La sua morte fu per i suoi genitori la causa d'uno di quei dolori che lasciano tracce profonde, e tanto più penose poiché, essendo egli sempre stato di salute delicata, essi attribuivano la sua fine prematura alla fatica cui lo avevano spinto. E se ne rimproveravano. "A che cosa — dicevano — gli serve adesso tutto ciò che ha appreso? Meglio sarebbe stato se fosse rimasto ignorante. Non aveva certo bisogno di quello per vivere. Senza dubbio egli sarebbe ancora fra di noi e sarebbe stato la consolazione dei giorni della nostra vecchiaia." Se avessero conosciuto lo Spiritismo, avrebbero senza dubbio ragionato altrimenti. Più tardi, infatti, vi trovarono la vera consolazione. La comunicazione, qui sotto riportata, fu data dal figlio a uno dei loro amici, alcuni mesi dopo la sua morte.

— Mio caro Maurice, il tenero attaccamento che avevate per i vostri genitori fa sì che io non dubiti del vostro desiderio di dar loro coraggio, se questo è in vostro potere. L'angoscia, direi anzi la disperazione, in cui li ha gettati la vostra morte, scuote visibilmente la loro salute e fa loro affrontare la vita con repulsione. Alcune vostre buone parole potranno senza dubbio farli rinascere alla speranza.

«Mio vecchio amico, con impazienza attendevo l'occasione di comunicare che voi mi offrite. Il dolore dei miei genitori mi affligge, ma esso si calmerà quando avranno la certezza che io non sono perduto per loro. Occorre che voi cerchiate di convincerli di questa verità, e certamente ci riuscirete. Era necessario questo avvenimento per condurli a una fede che porterà loro felicità, perché impedirà che si lamentino contro i decreti della Provvidenza. Mio padre, voi lo sapete, era molto scettico riguardo alla vita futura. Dio ha permesso ch'egli avesse questo dolore per trarlo dal suo errore.

Noi ci ritroveremo qui, in questo mondo dove non si conoscono più le sofferenze della vita e dove io li ho preceduti. Ma spiegate loro che la consolazione di rivedermi qui potrebbe venir rifiutata come punizione della loro mancanza di fede nella bontà divina. Mi sarebbe persino proibito, d'allora in poi, di comunicare con loro mentre essi sono ancora sulla Terra. La disperazione è una rivolta contro la volontà dell'Onnipotente ed è sempre punita con la continuazione della causa che ha prodotto questa disperazione, finché non ci si sia alla fine sottomessi. La disperazione è un vero suicidio, poiché mina le forze del corpo. . Colui che abbrevia i suoi giorni, con l'idea di sottrarsi più in fretta ai lacci del dolore, va incontro ai più crudeli disinganni. Il fatto è che, al contrario, bisogna lavorare per mantenere efficienti le forze fisiche, così da sopportare più facilmente il peso delle prove.

Miei buoni genitori, è a voi che mi rivolgo. Dopo che ho lasciato le mie spoglie mortali, non ho mai cessato d'essere accanto a voi e ci sono più spesso di quando vivevo sulla Terra. Consolatevi dunque, perché io non sono morto, ma il mio Spirito vive sempre. Il mio Spirito è libero, felice, al riparo dalle malattie, dalle invalidità, dal dolore. Invece di affliggervi, rallegratevi di sapermi in un ambiente esente da affanni e pericoli, dove il cuore è inebriato da una gioia pura, senza ombre.

Oh, amici, non piangete coloro che muoiono prematuramente! È una grazia che Dio concede, per risparmiare loro le tribolazioni della vita. La mia esistenza non doveva, questa volta, protrarsi più a lungo sulla Terra; vi avevo acquisito ciò che vi dovevo acquisire, per prepararmi a compiere, più tardi, nello Spazio, una missione più importante. Se fossi vissuto lunghi anni, sapete voi a quali pericoli, a quali seduzioni sarei stato esposto? Sapete che, se — non essendo ancora abbastanza forte per resistere — non fossi morto, ciò poteva equivalere per me a un ritardo di parecchi secoli? Un dolore inconsolabile, in questo caso, denuncerebbe una mancanza di fede e non potrebbe essere legittimata che dalla credenza nel nulla. Oh, sì, sono da compiangere coloro che coltivano questa sconfortante credenza! Per loro, infatti, non c'è alcuna possibile consolazione. Gli esseri che sono loro cari sono perduti senza ritorno! La tomba ha portato via con sé la loro ultima speranza!»

— La vostra morte è stata dolorosa?

«No, amico mio, io ho sofferto soltanto prima di morire, della malattia che mi ha portato via, ma questa sofferenza diminuiva nella misura in cui si avvicinava l'ultimo istante, poi, un giorno, mi sono addormentato senza pensare alla morte. Ho sognato. Oh, un sogno delizioso! Sognavo che ero guarito: non soffrivo più, respiravo a pieni polmoni e con piacere un'aria balsamica e corroborante. Venivo trasportato attraverso lo Spazio da una forza sconosciuta. Una luce abbagliante risplendeva intorno a me, senza tuttavia affaticare la mia vista. Vidi mio nonno: non aveva più la figura scarna, ma un'aria di freschezza e di giovinezza; mi tese le braccia e mi strinse con effusione sul suo cuore. Una folla di altre persone, dal viso sorridente, l'accompagnava; tutti mi accoglievano con bontà e benevolenza, mi sembrava di riconoscerli, ero felice di rivederli, e tutti insieme ci scambiammo parole e testimonianze di amicizia. Ebbene, ciò che io credevo fosse un sogno era la realtà! Non avrei più dovuto risvegliarmi sulla Terra: mi ero risvegliato nel mondo degli Spiriti.»

— La vostra malattia non potrebbe essere stata causata dalla troppo intensa assiduità allo studio?

«Oh, no! Siatene ben persuasi! Il tempo che io dovevo vivere sulla Terra era segnato, e niente avrebbe potuto trattenermi più a lungo. Il mio Spirito, in quei momenti del distacco, lo sapeva perfettamente ed era felice pensando alla sua vicina liberazione. Ma il tempo che ho trascorso sulla Terra non è stato senza profitto e oggi mi compiaccio di non averlo perduto. I seri studi cui mi sono dedicato hanno fortificato la mia anima e hanno accresciuto le mie cognizioni. È tanto ciò che ho appreso, e se non ho potuto applicarlo nel mio breve soggiorno tra voi, lo applicherò più tardi con maggior profitto.

Addio, mio caro amico, vado accanto ai miei genitori, per predisporli a ricevere questa comunicazione.»

Maurice

La signora Anais Gourdon

Giovanissima donna, nota per la dolcezza del suo carattere e per le qualità morali tra le più eccellenti, morta nel novembre del 1860, Anais Gourdon apparteneva a una famiglia di minatori, occupati nelle miniere di carbone dei dintorni di Saint-Etienne, circostanza importante per giudicare la sua posizione come Spirito.

Evocazione. «Sono qui.»

— Vostro marito e vostro padre mi hanno pregato di chiamarvi e saranno molto felici di avere da voi una comunicazione.

«Anch'io sono ben felice di offrirla loro.»

— Perché siete stata sottratta così giovane all'affetto della vostra famiglia?

«Perché avevo terminato le mie prove terrene.»

— Andate a vederli qualche volta?

«Oh, io sono spesso accanto a loro!»

— Siete felice come Spirito?

«Sono felice: spero, attendo, amo. I cieli non m'infondono alcun terrore, e io attendo con fede e amore che le ali bianche mi sospingano fino a essi.»

— Che cosa intendete per ali bianche?

«Intendo: diventare puro Spirito e risplendere come i messaggeri celesti che mi abbagliano.»

Le ali degli angeli, degli arcangeli e dei serafini, i quali sono puri Spiriti, non sono che un attributo immaginato dagli uomini per rappresentare la rapidità con la quale essi si trasportano. La loro natura eterea, infatti, li esime da qualsiasi sostegno, per percorrere gli spazi. Essi possono tuttavia apparire agli uomini con questo accessorio per corrispondere alla loro idea, così come altri Spiriti assumono l'aspetto che avevano sulla Terra per farsi riconoscere.

— I vostri parenti possono fare qualcosa che vi sia particolarmente gradito?

«Possono, quei cari esseri, non più rattristarmi con la visione dei loro rimpianti, poiché sanno bene che io non sono perduta per loro. Che il mio pensiero sia loro dolce, leggero e profumato nel loro ricordo. Sono passata come un fiore, e niente di triste deve sussistere del mio rapido passaggio.»

— Come succede che il vostro linguaggio è così poetico e così poco adeguato alla posizione che avevate sulla Terra?

«Il fatto è che qui è la mia anima che parla. Sì, io possedevo delle cognizioni acquisite. Spesso Dio permette che degli Spiriti delicati si incarnino fra gli uomini più rudi per far loro presentire le delicatezze ch'essi raggiungeranno e che comprenderanno più tardi.»

Senza questa spiegazione così logica e così conforme alla sollecitudine di Dio per le Sue creature, difficilmente ci si sarebbe resi conto di ciò che, di primo acchito, potrebbe sembrare un'anomalia. Infatti, che cosa di più gentile e poetico del linguaggio dello Spirito di questa giovane donna, cresciuta in mezzo ai lavori più rudi? Sovente si osserva il contrario. Ci sono Spiriti inferiori incarnati tra gli uomini più evoluti, ma ciò con un fine opposto. È in vista del loro stesso progresso che Dio li mette in contatto con un mondo illuminato, ma a volte anche per servire come prova a quel mondo stesso. Quale altra filosofia potrebbe risolvere tali problemi?

Victor Lebufle

Giovane pratico locale, appartenente al porto di Le Havre, morto all'età di vent'anni. Abitava con sua madre, una povera commerciante, a cui egli prodigava le cure più tenere e che sosteneva con i guadagni del suo faticoso lavoro. Non lo si vide mai frequentare osterie, né darsi a quegli eccessi così frequenti in quelli del suo mestiere, poiché non voleva distrarre la benché minima parte del suo guadagno dal caritatevole uso cui lo aveva consacrato. Tutto il tempo che non veniva impiegato nel suo lavoro lo dedicava alla madre, per risparmiarle ogni fatica. Minato da ormai lungo tempo dalla malattia di cui presentiva che sarebbe morto, nascondeva le sue sofferenze per paura di causare delle apprensioni in sua madre e per paura che ella volesse lei stessa occuparsi dei lavori più ingrati. Bisognava che questo giovane uomo avesse una riserva ben profonda di qualità naturali e una ben straordinaria forza di volontà, per resistere, nell'età delle passioni, agli influssi nefasti dell'ambiente in cui viveva. Era di una pietà sincera. Edificante è stata la sua morte.

Alla vigilia della morte, volle che sua madre andasse a riposare un poco, dicendo che lui stesso sentiva il bisogno di dormire. Fu a questo punto che la madre ebbe una visione. Si trovava — disse — in una grande oscurità allorché vide un punto luminoso che ingrandiva a poco a poco, e la stanza si trovò illuminata da un chiarore brillante, da cui si distaccò la figura del figlio, che si levava radiosa nello spazio infinito. Ella comprese che la sua fine era vicina; infatti, il giorno dopo l'anima bella di suo figlio aveva lasciato la Terra, mentre le sue labbra sussurravano una preghiera.

Una famiglia spiritista, che ne conosceva la condotta edificante e che s'interessava della madre rimasta sola, aveva avuto intenzione di evocarlo poco tempo dopo la sua morte, quand'egli si manifestò spontaneamente attraverso questa comunicazione.

"Voi desiderate sapere come sto ora: sono molto felice. Oh, molto felice! Non dovete affatto tener conto delle sofferenze e delle angosce, poiché sono fonte di benedizioni e felicità nell'oltretomba. Felicità! Voi non sapete che cosa significhi questo termine. Le felicità della Terra sono così lontane da ciò che proviamo quando ritorniamo verso il Maestro con una coscienza pura, con la fiducia del servitore che ha svolto bene il suo dovere e che , pieno di gioia, attende l'assenso di colui che è tutto!

Oh, amici miei, la vita è penosa e difficile, se voi non guardate al fine! Ma io ve lo dico in verità: quando verrete tra di noi, se la vostra vita si è svolta secondo la legge di Dio, voi sarete ricompensati ben oltre misura, ben oltre la sofferenza e i meriti che credete di aver guadagnato per il Cielo. Siate buoni, siate caritatevoli, di quella carità sconosciuta a molti degli uomini, che si chiama benevolenza. Siate soccorrevoli verso i vostri simili; fate per loro più di quanto vorreste che si facesse per voi stessi, perché ignorate la miseria intima degli altri, è vero, ma conoscete la vostra. Soccorrete mia madre, la mia povera madre, il mio solo rimpianto della Terra. Ella deve subire altre prove, e bisogna ch'ella arrivi in Cielo. Addio. Vado da lei."

Victor

La guida del medium. Le sofferenze patite sulla Terra durante una incarnazione terrestre non sempre sono una punizione. Gli Spiriti che vengono sulla Terra per compiervi una missione, come colui che ha appena comunicato con voi, sono felici di sopportare mali che per altri sono una espiazione. Il sonno accanto all'Altissimo li ritempra e dona loro la forza di sopportare tutto per la Sua gloria. La missione di questo Spirito, nella sua ultima esistenza, non era una missione da far scalpore; ma quantunque essa sia stata oscura, egli non ne ha avuto che maggior merito, dal momento che non poteva essere stimolato dall'orgoglio. Egli aveva prima di tutto un dovere di riconoscenza da compiere nei confronti di colei che fu sua madre. In secondo luogo, doveva dimostrare che, anche negli ambienti più degradati, si possono trovare delle anime pure, dai sentimenti nobili ed elevati, e che con la volontà si può resistere a tutte le tentazioni. Questa è una prova secondo cui le qualità hanno una causa anteriore. Un tale esempio, inoltre, non sarà stato sterile.

Il dottor Vignal

Antico membro della Società Spiritista di Parigi, morto il 27 marzo 1865. Alla vigilia della sepoltura, un sonnambulo lucidissimo e che vede molto bene gli Spiriti, pregato di trasportarsi presso di lui e di dire se lo vedesse, così risponde: "Vedo un cadavere nel quale si sta attuando un travaglio straordinario; si direbbe una massa che si agita, come un qualcosa che compia degli sforzi per liberarsene, ma che faccia fatica a vincere la resistenza. Non distinguo una forma di Spirito ben determinata".

Il dottor Vignal è stato evocato nella Società Spiritista di Parigi il 31 marzo.

— Caro dottor Vignal, tutti i vostri ex colleghi della Società di Parigi hanno conservato di voi il migliore dei ricordi, e io quello, in particolare, degli eccellenti rapporti che fra di noi non si sono mai interrotti. Il nostro scopo, chiamandovi fra di noi, è innanzi tutto quello di darvi una testimonianza della nostra simpatia, e saremmo molto felici se voi voleste o poteste venire a intrattenervi con noi.

«Amico caro e degno maestro, il buon ricordo che di me serbate e le vostre testimonianze di simpatia mi giungono molto gradite. Se oggi posso venire a voi e assistere libero a questa riunione di tutti i nostri buoni amici fratelli spiritisti, è grazie alla vostra evocazione e all'assistenza che le vostre preghiere mi hanno apportato. Come giustamente diceva il mio giovane segretario, ero impaziente di comunicare; fin dall'inizio di questa serata, ho impiegato tutte le mie forze spirituali per dominare questo desiderio. I vostri discorsi e i gravi problemi che avete sollevato, vivamente interessandomi, hanno reso la mia attesa meno penosa. Perdonate, amici miei, ma la mia riconoscenza chiedeva di manifestarsi.»

— Vogliate dirci subito come vi trovate nel mondo degli Spiriti. Vogliate nello stesso tempo descriverci il travaglio della separazione, le vostre sensazioni in quel momento e dirci in capo a quanto tempo voi vi siete riconosciuto.

«Io sono felice quanto lo si può essere quando si vedono pienamente confermati tutti i segreti pensieri che possono essere stati concepiti su una dottrina consolante e riparatrice. Io sono felice. Sì lo sono, perché ora vedo senza alcun ostacolo svilupparsi davanti a me l'avvenire della scienza e della filosofia spiritiste.

Ma mettiamo da parte, per oggi, queste inopportune digressioni. Verrò di nuovo a intrattenermi con voi su questo argomento, ben sapendo che la mia presenza vi procurerà tanto piacere quanto ne provo io stesso a visitarvi.

Il distacco dal corpo è stato abbastanza rapido; più rapido comunque di quanto quel mio poco di merito potesse farmi sperare. Sono stato fortemente aiutato dalla vostra assistenza. Il vostro sonnambulo vi ha dato un'idea abbastanza precisa del fenomeno della separazione, perché io debba insistervi ancora. Si trattava di una sorta di oscillazione intermittente, una specie di trascinamento in due sensi opposti. Lo Spirito ha trionfato, dal momento che sono qui. Non ho completamente lasciato il corpo se non nell'istante in cui è stato deposto nella terra. Sono così ritornato con voi.»

— Che cosa pensate del servizio che è stato fatto per il vostro funerale? Mi sono fatto il dovere di assistervi. In quel momento vi eravate abbastanza liberato per vederlo? E le preghiere che io ho detto per voi (beninteso non ostentatamente) sono esse giunte fino a voi?

«Sì. Come vi ho già detto, la vostra assistenza, in parte, ha fato tutto, e io sono ritornato con voi, abbandonando completamente la mia vecchia crisalide. Poco mi toccano le cose materiali, del resto voi lo sapete. Io non pensavo che all'anima e a Dio.»

— Vi ricordate che, su vostra richiesta, cinque anni fa, nel mese di febbraio del 1860, noi abbiamo fatto uno studio su di voi, quando eravate ancora in vita? [6] In quel momento il vostro Spirito si è liberato per venire a intrattenersi con noi. Abbiate la bontà di descriverci, per quanto possibile, la differenza che esiste tra la vostra liberazione attuale e quella di allora.

«Sì, certo, ricordo. Oh, quale differenza fra il mio stato di allora e quello di oggi! Allora la materia mi serrava ancora nella sua rete inflessibile. Volevo liberarmi in una maniera più assoluta e non potevo farlo. Oggi sono libero. Un vasto campo, quello dell'ignoto, si apre davanti a me. Io spero, con il vostro aiuto e quello dei buoni Spiriti ai quali mi raccomando, di progredire e di immedesimarmi il più rapidamente possibile nei sentimenti che occorre provare e nelle azioni che occorre compiere, per percorrere il sentiero della prova e per meritare il mondo delle ricompense. Quale maestà! Quale grandezza! È quasi un sentimento di sgomento quello che ci domina, quando, fragili come siamo, vogliamo fissare le luci sublimi.»

— Saremo felici di continuare questo colloquio un'altra volta, quando vorrete ritornare fra noi.

«Ho risposto succintamente e in modo forse un po' sconnesso alle vostre varie domande. Non esigete troppo dal vostro fedele discepolo: non sono ancora interamente libero. Parlare, e ancora parlare, sarebbe la mia gioia; la mia guida modera il mio entusiasmo, e io ho già potuto abbastanza apprezzare la sua bontà e la sua giustizia da sottomettermi completamente alla sua decisione, per quanto provi dispiacere a essere interrotto. Mi consolo pensando che spesso potrò venire ad assistere, in incognito, alle vostre riunioni. Alcune volte vi parlerò: vi amo e voglio dimostrarvelo. Ma altri Spiriti, più avanzati di me, reclamano la precedenza, e io devo cancellarmi davanti a coloro che hanno avuto la bontà di permettere al mio Spirito di dare libero corso al torrente di pensieri che vi avevo accumulato.

Amici, vi lascio; e devo doppiamente ringraziare non solo voi Spiritisti che mi avete chiamato, ma anche quello Spirito che ha voluto permettere che io prendessi il suo posto, e che quand'era in vita portava il nome illustre di Pascal.

Colui che fu e che sempre sarà il più devoto dei vostri adepti.»

Dott. Vignal

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[6] Si veda la Rivista Spiritista del mese di marzo del 1860.

A Srta. Emma

La signorina Emma [5] era una giovane donna, morta in seguito a un incidente causato dal fuoco, e dopo crudeli sofferenze. Qualcuno si era proposto di chiederne l'evocazione alla Società Spiritista di Parigi, allorché ella si è presentata spontaneamente il 31 luglio 1863, poco tempo dopo la sua morte.

"Eccomi, dunque, ancora sulle scene del mondo, io che mi credevo sepolta per sempre nel mio velo d'innocenza e giovinezza. Il fuoco della Terra mi salvava dal fuoco dell'Inferno: questo io pensavo nella mia fede cattolica e, se non osavo intravedere gli splendori del paradiso, la mia anima si rifugiava trepidante nell'espiazione del purgatorio. E pregavo, soffrivo, piangevo. Ma chi dava a me, così fragile, la forza di sopportare le mie angosce? Chi nelle lunghe notti d'insonnia e di febbre debilitante si chinava sul mio letto di martirio? Chi rinfrescava le mie labbra riarse? Eravate voi, mio angelo custode, la cui bianca aureola mi circondava tutta; eravate anche voi, cari Spiriti amici, che venivate a sussurrare al mio orecchio parole di speranza e di amore.

La fiamma che consumò il mio debole corpo mi dispogliò dell'attaccamento a ciò che è passeggero. Così morii che già vivevo della vera vita. Io non conobbi il turbamento ed entrai serena e quieta nel giorno radioso che avvolge quelli che, dopo aver sofferto molto, hanno un po' sperato. Mia madre, la mia cara madre, fu l'ultima vibrazione terrestre che risuonò nella mia anima. Come vorrei ch'ella diventasse Spiritista!

Io mi sono staccata dall'albero terrestre come un frutto maturato prima del tempo. Io non ero ancora stata sfiorata dal demone dell'orgoglio che tormenta le anime delle infelici, travolte dal successo brillante e dall'esaltazione della giovinezza. Io benedico la fiamma. Io benedico le sofferenze. Io benedico la prova che era una espiazione. Simile a quei leggeri fili chiari dell'autunno, fluttuo trasportata nella corrente luminosa. Non sono più le stelle di diamanti a brillare sulla mia fronte, ma le stelle d'oro del buon Dio."

EMMA


In un altro centro, il 30 luglio 1863, a Le Havre, il medesimo Spirito diede, anche qui spontaneamente, la comunicazione che segue.

"Coloro che soffrono sulla Terra sono ricompensati nell'altra vita. Dio è pieno di giustizia e misericordia per coloro che soffrono sulla Terra. Egli dona una felicità così pura, una beatitudine così perfetta, che non si dovrebbero temere né la sofferenza né la morte, se alle povere creature umane fosse possibile sondare i misteriosi disegni del nostro Creatore. Ma la Terra è un luogo di prove spesso assai grandi, spesso costellate di dolori assai crudeli. A tutte queste prove siate rassegnati, se ne siete colpiti; a tutte inchinatevi davanti alla bontà suprema del Dio che è onnipotente, s'Egli vi dà un pesante fardello da sopportare. Se Egli vi richiama a Lui dopo grandi sofferenze, voi nell'altra vita, nella vita felice, vedrete quanto questi dolori e queste pene della Terra fossero ben poca cosa, allorché giudicherete la ricompensa che Dio vi riserva, posto che né lagnanze né dicerie siano entrate nel vostro cuore. Ancora molto giovane, ho lasciato la Terra. Dio ha voluto perdonarmi e darmi la vita di coloro che hanno rispettato le Sue volontà. Adorate sempre Dio. Amatelo con tutto il vostro cuore. PregateLo, soprattutto, pregateLo fermamente: è il vostro sostegno sulla Terra, la vostra speranza, la vostra salvezza."

Emma

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[5] Signorina Emma Livry.

Antoine Costeau

Membro della Società Spiritista di Parigi, fu inumato il 12 settembre 1863 nel cimitero di Montmartre, nella fossa comune. Era un uomo di cuore che lo Spiritismo ha ricondotto a Dio; la sua fede nel futuro era completa, sincera e profonda. Semplice operaio lastricatore, praticava la carità attraverso i pensieri, le parole e le azioni, e, secondo le sue deboli risorse, trovava ancora il modo di assistere quelli che avevano meno di lui. Se la Società Spiritista non ha sostenuto le spese di una sepoltura individuale, è perché c'era un impiego più utile da Fare di quei fondi, che sarebbero stati adoperati senza profitto per i vivi, per una vana soddisfazione d'amor proprio. Gli Spiritisti, soprattutto, sanno che la fossa comune è una porta che conduce al cielo tanto quanto il più sontuoso mausoleo.

Il signor Canu, segretario della Società Spiritista, un tempo radicato materialista, ha pronunciato ai suoi funerali l'orazione che qui riportiamo.

"Caro fratello Costeau, soltanto alcuni anni fa, molti di noi — e, lo confesso, io primo fra tutti — non avrebbero visto davanti a questa tomba aperta che la fine delle miserie umane e, dopo, il nulla, il terribile nulla; vale a dire niente anima per meritare premi o espiare e, di conseguenza, niente Dio che ricompensi, castighi o perdoni. Oggi, grazie alla nostra divina dottrina, noi vi ravvisiamo la fine delle prove, e per voi, fratello caro, di cui rendiamo alla terra le spoglie mortali, noi vi scorgiamo il trionfo del vostro impegno e il principio delle ricompense che avete meritato con il vostro coraggio, con la vostra rassegnazione, con la vostra carità, in una parola con le vostre virtù; e soprattutto vi scorgiamo la glorificazione di un Dio saggio, onnipotente, giusto e buono. Siate dunque, fratello caro, il portatore delle grazie che noi rendiamo all'Eterno, il quale ha voluto dissipare attorno a noi le tenebre dell'errore e della miscredenza. Infatti, fino a poco tempo fa, noi, la fronte triste e la mestizia nel cuore, in questa circostanza vi avremmo detto: 'Addio, amico, addio per sempre'. Oggi noi, la fronte alta e splendente di speranza, il cuore pieno di coraggio e d'amore, vi diciamo: 'Fratello caro, arrivederci, e pregate per noi'." [4]

Uno dei medium della Società ricevette, sulla fossa stessa non ancora ricoperta, la comunicazione che segue, della quale tutti gli astanti, compresi i necrofori, ascoltarono la lettura, a testa nuda e con profonda emozione. Era, infatti, uno spettacolo nuovo e impressionante udire le parole di un morto, raccolte dal seno stesso della tomba.

"Grazie, amici, grazie. La mia tomba non è ancora chiusa eppure, ancora un secondo, e la terra ricoprirà i miei resti. Ma — voi lo sapete — sotto questa polvere non verrà seppellita la mia anima. Essa si librerà nello Spazio, per salire verso Dio!

Cosicché diviene consolante poter ancora dire a sé stessi: Oh, no! Io non sono affatto morto, io vivo della vita vera, della vita eterna!

Il corteo funebre del povero non è seguito da un grande numero di persone. Sulla sua tomba non hanno luogo superbe manifestazioni, tuttavia, amici, credetemi, la folla immensa qui non manca, e Spiriti buoni hanno seguito con voi e con queste pie donne il corpo di colui che ora è steso laggiù! Almeno voi, voi tutti, avete dimostrato di credere e di amare il buon Dio!

Oh, certo che no! Noi non moriamo perché il nostro corpo va in frantumi, sposa amatissima! D'ora in poi io sarò sempre accanto a te per consolarti e aiutarti a sopportare la prova. Dura sarà per te la vita. Ma con l'idea dell'eternità, e pieno il tuo cuore dell'amore di Dio, quanto le tue sofferenze ti saranno leggere!

Parenti che attorniate la mia amatissima compagna, amatela e rispettatela; siate per lei dei fratelli e delle sorelle. Non dimenticate che voi tutti vi dovete reciproca assistenza sulla Terra, se volete entrare nella dimora del Signore.

E a voi Spiritisti, fratelli e amici, grazie per essere venuti a dirmi addio fino a questa dimora di polvere e di fango. Ma voi, voi sapete bene che la mia anima vive immortale, e che talvolta essa verrà a chiedervi delle preghiere, che non mi saranno rifiutate, così da aiutarmi a camminare su questa magnifica strada, che voi, Spiritisti, mi avete rivelata durante la mia vita terrena.

A voi tutti, che siete qui, addio! Potremo rivederci in altro luogo che non sia su questa tomba. Le anime mi chiamano al loro raduno.

Addio! Voi pregate per quelle che soffrono. Arrivederci!"

COSTEAU


Tre giorni più tardi, lo Spirito di Costeau, evocato da un gruppo privato, tramite un altro medium, dettò quanto qui di seguito riportiamo.

"La morte è la vita. Io non faccio che ripetere ciò che è stato già detto; ma per voi non c'è altra espressione che questa, malgrado ciò che dicono i materialisti, i quali vogliono restare ciechi. Oh, amici miei, quale splendida visione quella di veder sventolare sulla Terra le bandiere dello Spiritismo! Questa scienza immensa di cui voi possedete appena le prime parole! Quali chiarezze essa porta agli uomini di buona volontà, a coloro che hanno spezzato le terribili catene dell'orgoglio per levare in alto la loro fede in Dio! Pregate, umani, ringraziateLo di tutti i Suoi benefici. Povera Umanità! Ah, se ti fosse concesso di comprendere!... E invece no! Ancora non è giunto quel tempo in cui la misericordia del Signore dovrà estendersi su tutti gli uomini, affinché riconoscano le Sue volontà e vi si sottomettano.

Sarà attraverso i tuoi raggi luminosi, scienza benedetta, ch'essi vi arriveranno e comprenderanno. Sarà al tuo calore benefico e al fuoco divino, portatore di fede e consolazioni, ch'essi verranno a riscaldare i loro cuori. Sarà sotto i tuoi raggi vivificanti che il padrone e l'operaio si confonderanno e costituiranno una persona sola, perché avranno compreso quella carità fraterna predicata dal divino Messia.

Oh, miei fratelli, pensate alla fortuna immensa che possedete per essere stati i primi iniziati all'opera rigeneratrice. Onore a voi, amici! Continuate così e, come me, un giorno venendo nella patria degli Spiriti, voi direte: La morte è la vita; o, piuttosto è un sogno, una specie di sogno angoscioso che dura lo spazio di un minuto, e dal quale si esce per vedersi circondati da amici, che vi festeggiano e sono felici di tendervi le braccia. La mia felicità è stata così grande che io non riuscivo a comprendere come Dio potesse accordarmi tante grazie per aver fatto io così poco. Mi sembrava di sognare e, siccome qualche volta mi era capitato di sognare che ero morto, ho avuto paura, per un istante, di essere obbligato a ritornare in quel misero corpo; ma non tardai a rendermi conto della realtà, e ne ringraziai Dio. Benedicevo il maestro che così bene aveva saputo risvegliare in me i doveri dell'uomo che crede nella vita futura. Sì, io lo benedicevo e lo ringraziavo, perché Il libro degli Spiriti aveva risvegliato nella mia anima gli slanci d'amore per il mio Creatore.

Grazie, miei buoni amici, per avermi attratto verso di voi. Dite ai nostri fratelli che io sono spesso in compagnia del nostro amico Sanson. Arrivederci e coraggio! La vittoria vi attende! Felici coloro che avranno preso parte alla battaglia!"

Dopo di allora il signor Costeau si è sovente manifestato sia nella Società Spiritista sia in altre riunioni, dove ha sempre dato prova dell'elevatezza di pensiero che caratterizza gli Spiriti avanzati.

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[4] Per maggiori dettagli e per altre orazioni funebri, si veda la Rivista Spiritista dell'ottobre 1863, pag. 297.

Jean Reynaud

(Società Spiritista di Parigi. Comunicazione spontanea)

"Amici miei, quanto questa nuova vita è meravigliosa! Simile a un torrente luminoso trascina nel suo corso immenso le anime inebriate dall'infinito! Dopo il distacco dai legami carnali, i miei occhi hanno abbracciato i nuovi orizzonti che mi circondano e hanno gioito delle splendide meraviglie dell'infinito. Sono passato dalle ombre della materia all'alba luminosa che annuncia l'Onnipotente. Io sono salvo, non per merito delle mie azioni, ma per la conoscenza del principio eterno, che mi ha fatto evitare le macchie impresse dall'ignoranza sulla povera Umanità. La mia morte è stata benedetta; i miei biografi la giudicheranno prematura. Quei ciechi! Rimpiangeranno qualche scritto nato dalla polvere, e non comprenderanno quanto quel poco di rumore, che si fa attorno alla mia tomba socchiusa, sia utile alla santa causa dello Spiritismo. La mia opera era terminata; i miei predecessori seguivano la rotta; io avevo raggiunto quel punto culminante in cui l'uomo ha dato ciò che aveva di meglio, in cui non può far altro che ricominciare. La mia morte ravviva l'attenzione dei letterati e la riconduce sulla mia opera fondamentale che tratta della grande questione spiritista, che essi fingono di disconoscere e che ben presto li avvincerà. Gloria a Dio! Con l'aiuto degli Spiriti Superiori che proteggono la nuova dottrina, sarò uno dei precursori che vi indicheranno la strada."

Jean Reynaud

(Parigi, riunione familiare. Altra comunicazione spontanea)

Lo Spirito risponde a una riflessione sulla sua morte inaspettata, a un'età poco avanzata, che ha sorpreso tutti.

"Chi vi dice che la mia morte non sia un beneficio per lo Spiritismo, per il suo avvenire, per le sue conseguenze? Avete notato, amico mio, la strada che sta imboccando il progresso, la strada che sta prendendo la fede spiritista? Dio ha prima di tutto dato delle prove materiali: la danza dei tavolini, i colpi picchiati e ogni sorta di fenomeni. Era per richiamare l'attenzione; era un inizio divertente. Agli uomini occorrono delle prove palpabili per credere. Ora vi è ben altro! Dopo i fatti materiali, Dio si rivolge all'intelligenza, al buonsenso, alla fredda ragione; non si tratta più di azioni faticose, ma di cose razionali che devono convincere e riunire anche gli increduli più ostinati. E questo non è che l'inizio. Fate molta attenzione a ciò che vi dico: seguirà tutta una serie di fatti intelligenti e irrefutabili, e il numero degli adepti della fede spiritista, già così grande, aumenterà ancora. Dio s'insinuerà nel fior fiore delle intelligenze, nelle vette più alte dello Spirito, del talento e del sapere. Sarà un raggio di luce che si spanderà su tutta la Terra come un fluido magnetico irresistibile, e spingerà i più recalcitranti alla ricerca dell'infinito, allo studio di questa scienza meravigliosa che ci insegna massime così sublimi. Tutti si raduneranno attorno a voi e, prescindendo dal diploma di genio che è stato loro dato, si faranno umili e piccoli per apprendere e per convincersi. Poi, più avanti, quando saranno ben istruiti e convinti, si serviranno della loro autorità e della notorietà del loro nome per spingersi ancora più lontano e raggiungere gli ultimi limiti del fine che voi tutti vi siete proposti: la rigenerazione della specie umana attraverso la conoscenza ragionata e approfondita delle esistenze passate e future. Ecco la mia opinione sincera sullo stato attuale dello Spiritismo."

(Bordeaux)

Evocazione. "Con piacere, signora, io mi presento al vostro appello. Sì, voi avete ragione; il turbamento spirituale, per così dire, per me non è esistito (questo rispondeva al pensiero della medium). Esiliato volontariamente sulla vostra Terra, dove dovevo gettare il primo seme serio delle grandi verità che avvolgono il mondo in questo momento, io ho sempre avuto la coscienza della mia patria spirituale e mi sono rapidamente riconosciuto in mezzo ai miei fratelli."

— Vi ringrazio per esser voluto venire. Non avrei mai creduto, però, che il mio desiderio d'intrattenermi con voi avrebbe avuto una qualche influenza su di voi. Deve necessariamente esserci una tale differenza tra di noi, che io penso a voi soltanto col più grande rispetto.

«Grazie, figlia mia, di questo bel pensiero. Ma dovete anche sapere che, qualunque distanza possano stabilire tra noi le prove superate più o meno prontamente, più o meno felicemente, c'è sempre un potente legame che ci unisce: la simpatia. E voi, questo legame, lo avete rafforzato con il vostro costante pensiero.»

— Benché siano molti gli Spiriti che hanno spiegato le loro prime sensazioni al momento del risveglio, sareste così gentile da rivelarmi che cosa avete provato voi riconoscendomi? E come si è verificata la separazione del vostro Spirito e del vostro corpo?

«Come per tutti. Ho sentito avvicinarsi il momento della liberazione; ma, più fortunato di molti altri, essa non mi ha causato angosce poiché ne conoscevo i risultati, quantunque fossero più grandi di quanto non pensassi. Il corpo costituisce un ostacolo alle facoltà spirituali, e — quali che siano le luci da esso conservate — esse sono sempre più o meno offuscate dal contatto della materia. Mi sono addormentato confidando in un risveglio felice; il sonno è stato breve, lo stupore immenso! Gli splendori celesti, che si estendevano sotto il mio sguardo, brillavano in tutta la loro magnificenza. La mia vista meravigliata s'immergeva nella immensità di questi mondi di cui avevo constatato l'esistenza e l'abitabilità. Era un miraggio che mi rivelava e, nello stesso tempo, mi confermava la verità dei miei sentimenti. L'uomo ha un bel credersi sicuro, ma quando parla ha spesso in fondo al cuore dei momenti di dubbio, d'incertezza. Egli sovente diffida — se non delle verità che proclama — almeno dei mezzi imperfetti di cui si serve per dimostrarla. Convinto della verità che volevo far accogliere, ho dovuto spesso combattere contro me stesso, contro lo scoraggiamento di vedere, di toccare, per così dire, la verità, e di non poterla rendere palpabile a coloro che tanto avrebbero avuto bisogno di credervi per camminare sicuri sulla via che devono seguire.»

— Durante la vostra vita, professavate lo Spiritismo?

«Tra il professare e il praticare c'è una grande differenza. Molti professano una dottrina che non praticano affatto; io praticavo, ma non professavo. Come ogni uomo che segua, foss'anche senza conoscerle, le leggi del Cristo è Cristiano, così ogni uomo può essere Spiritista, quando creda all'immortalità della sua anima, alle sue reincarnazioni, al suo progressivo e incessante cammino, alle sue prove terrene, abluzioni necessarie per purificarsi. Io credevo in tutto questo, io ero dunque uno Spiritista. Ho compreso l'erraticità, questo legame intermedio tra le incarnazioni, questo purgatorio dove lo Spirito colpevole si spoglia delle sue vesti insozzate per indossare una veste nuova, dove lo Spirito in progresso tesse con diligenza la veste che indosserà nuovamente e che vuole conservare pura. Io ho compreso — ve l'ho detto — e senza professare ho continuato a praticare.»

Osservazione: Queste tre comunicazioni sono state ottenute da tre medium diversi, completamente estranei l'uno all'altro. Dall'analogia dei pensieri, dallo stile del linguaggio, possiamo, almeno come presunzione, ammetterne l'autenticità. L'espressione tesse con diligenza la veste che indosserà nuovamente è un'espressione seducente che rispecchia la sollecitudine con cui lo Spirito in progresso prepara la nuova esistenza che dovrà farlo progredire ulteriormente. Gli Spiriti arretrati prendono meno precauzioni e fanno a volte scelte infelici che li inducono a ricominciare.

La contessa Paula

Era una donna giovane, bella, ricca, di origine illustre e, inoltre, un modello perfetto di tutte le qualità del cuore e dello spirito. È morta, a trentasei anni, nel 1851. Era una di quelle persone la cui orazione funebre si compendia su tutte le bocche in queste parole: "Perché Dio toglie tanto presto dalla Terra siffatte persone?" Beati coloro che, così, rendono benedetta la loro memoria! Ella era buona, dolce e indulgente verso tutti; sempre pronta a scusare o attenuare il male, invece di acuirlo; mai la maldicenza aveva insudiciato le sue labbra. Senza presunzione né alterigia, trattava i suoi subalterni con una benevolenza che non aveva nulla della familiarità condiscendente, e senza ostentare verso di loro arie di altezzosità o di protezionismo mortificante. Comprendendo che le persone che vivono del proprio lavoro non hanno rendite personali, e che del denaro loro dovuto hanno realmente bisogno, sia per la loro condizione, sia per vivere, mai fece loro attendere un solo salario. Il pensiero che qualcuno potesse soffrire per la mancanza di un pagamento a causa sua, sarebbe stato per lei un rimorso di coscienza. Non era certo di quelle persone che per soddisfare i propri capricci il denaro lo trovano sempre, mentre per pagare ciò che devono non ne hanno mai. Lei non capiva come potesse essere di buon gusto per un ricco avere dei debiti; lei si sarebbe sentita umiliata se qualcuno avesse potuto dire che i suoi fornitori erano obbligati a farle credito. Così, alla sua morte, non ci furono che rimpianti e neppure una rimostranza.

La sua beneficenza era inesauribile, ma non si trattava di quella beneficenza ufficiale che veniva ostentata alla luce del sole; in lei c'era la carità del cuore e non quella dell'ostentazione. Dio solo sa le lacrime che lei ha asciugato e le disperazioni che ha quietato, poiché queste buone azioni non avevano come testimoni altri che lei e gli infelici ch'ella assisteva. Sapeva soprattutto scoprire quelle sventure nascoste, che sono le più strazianti, e vi portava il suo soccorso cori una tale delicatezza da risollevare il morale anziché deprimerlo.

Il suo rango e le alte funzioni di suo marito la obbligavano a un tenore di vita al quale non poteva derogare. Ma, pur ottemperando alle esigenze della sua posizione sociale senza grette avarizie, ella si avvaleva di un metodo tale che, evitando gli sprechi rovinosi e le spese superflue, le permetteva di sopperirvi con metà del denaro che avrebbero speso altri, i quali non per questo avrebbero ottenuto risultati migliori.

Poteva così prelevare dal suo patrimonio una più larga parte per i bisognosi. Dalle sue sostanze aveva distratto un importante capitale, la cui rendita era esclusivamente destinata a questo scopo, che lei considerava sacro, e motivo per cui aveva meno da spendere per la sua casa. Trovava così il modo di conciliare i suoi doveri verso la società e quelli verso la sventura. [2]

Evocata, dodici anni dopo la sua morte, da uno dei suoi parenti, iniziato allo Spiritismo, ha fatta la comunicazione, qui sotto riportata, in risposta a diverse domande che le erano state rivolte. [3]

"Voi avete ragione, amico mio, di pensare che sono felice. Lo sono, in effetti, al di là di tutto quanto si possa esprimere, eppure sono ancora lontana dall'ultimo gradino. Anche sulla Terra ero tra i fortunati, dal momento che non ricordo di aver mai provato un vero dolore. Giovinezza, salute, ricchezze, omaggi: io avevo tutto quello che costituisce la felicità tra di voi; ma che cos'è questa felicità vicino a quella che si gode qui? Che cosa sono le vostre feste più splendide, in cui si ostentano gli ornamenti più ricchi, accanto a questa folla di Spiriti risplendenti di un bagliore che la vostra vista non potrebbe sopportare e che è l'appannaggio della purezza? Che cosa sono i vostri palazzi e i vostri saloni dorati accanto alle dimore aeree, ai vasti campi dello Spazio disseminati di colori che farebbero impallidire l'arcobaleno? Che cosa sono le vostre passeggiate dai passi contati nei vostri parchi, a paragone delle corse attraverso l'immensità, più veloci del lampo? Che cosa sono i vostri orizzonti limitati e nuvolosi accanto allo spettacolo grandioso dei mondi che si muovono nell'Universo senza confini, sotto la mano possente dell'Altissimo? Quanto i vostri più melodiosi concerti sono tristi e stridenti a paragone di questa soave armonia che fa vibrare i fluidi dell'etere e tutte le fibre dell'anima! Quanto le vostre più grandi gioie sono tristi e insulse accanto alla ineffabile sensazione di felicità che incessantemente penetra in tutto il nostro essere come un benefico effluvio, senza quella vaga mescolanza d'inquietudine, di apprensione e di sofferenza! Qui tutto spira amore, fiducia, sincerità. Dappertutto cuori che si amano, dappertutto degli amici, da nessuna parte ci sono né invidiosi né gelosi. Questo è il mondo dove io mi trovo, amico mio, e dove voi giungerete infallibilmente seguendo la retta via.

Tuttavia prima o poi ci si stancherebbe di una felicità tanto uniforme; non crediate perciò che la nostra sia esente da vicissitudini di vario genere. Tale felicità non consiste né in un concerto perpetuo, né in una festa senza fine, né in una beata contemplazione per tutta l'eternità. No. Essa è il movimento, la vita, l'attività. Le occupazioni, benché esenti da vere e proprie fatiche, vi apportano una incessante varietà di aspetti ed emozioni, a causa dei mille avvenimenti di cui tali occupazioni sono permeate. Ognuno ha la sua missione da compiere, i suoi protetti da assistere, amici della Terra da visitare, meccanismi della Natura da dirigere, anime sofferenti da consolare; si va, si viene, non da una strada all'altra, ma da un mondo all'altro; ci si raduna, ci si separa per ricongiungersi in seguito; a un certo punto ci si riunisce, ci si comunica ciò che si è fatto, ci si congratula a vicenda dei successi ottenuti; ci si accorda, ci si assiste reciprocamente nei casi difficili. Vi assicuro, infine, che nessuno ha il tempo di annoiarsi un solo secondo.

In questo momento la Terra è il centro delle nostre più gravi preoccupazioni. Quale sommovimento tra gli Spiriti! Quali e quante coorti vi affluiscono per concorrere alla trasformazione di questo pianeta! Si direbbe trattarsi di un nugolo di lavoratori occupati a diboscare una foresta, sotto gli ordini di capi esperti; gli uni abbattono con la scure i vecchi alberi e ne strappano le profonde radici; gli altri spianano il terreno, quelli arandolo e seminandolo; questi edifi cando la nuova città sulle rovine decrepite del vecchio mondo. Per tutto questo tempo, i capi si radunano, tengono consigli e inviano messaggeri a dare ordini in tutte le direzioni. La Terra deve essere rigenerata in un determinato tempo. Bisogna che i disegni della Provvidenza si compiano, ed è per questo che ciascuno è all'opera. Non crediate, però, che io sia una semplice spettatrice di questo grande lavoro; proverei vergogna a restarmene inattiva quando tutti sono indaffarati. Mi è stata affidata una importante missione e cerco di compierla al meglio delle mie possibilità.

Non è certo senza lotte che sono arrivata al rango che ora occupo nella vita spirituale. Sappiate che la mia ultima esistenza, per quanto meritevole possa sembrarvi, non sarebbe stata, per questo, sufficiente. Durante parecchie esistenze, sono passata attraverso le prove del lavoro e della miseria che avevo volontariamente scelto per fortificare e purificare la mia anima. Ho avuto la fortuna di uscirne vittoriosa, ma restava ancora una prova da sopportare, la più pericolosa di tutte: quella della ricchezza e del benessere materiale, di un benessere senza ombra di amarezza, e qui stava il pericolo. Prima di tentare questa prova, ho voluto sentirmi abbastanza forte per non esserne travolta. Dio ha tenuto conto delle mie buone intenzioni e mi ha fatto la grazia di sostenermi. Molti altri Spiriti, sedotti dalle apparenze, si affrettano a fare questa scelta: troppo deboli, ahimè, per affrontarne il pericolo! Cosicché le seduzioni hanno facilmente ragione della inesperienza di costoro.

Lavoratori, io sono stata nelle vostre fila. Io, la nobile dama, mi sono guadagnata, come voi, il pane col sudore della fronte; ho sopportato le privazioni, ho sofferto le intemperie, ed è questo che ha sviluppato le forze virili del mio animo. Altrimenti avrei probabilmente fallito nella mia ultima prova, la qual cosa mi avrebbe rigettato molto indietro. Come me, anche voi, a vostra volta, avrete la prova della fortuna, ma non affrettatevi a chiederla troppo presto. E voi che siete ricchi abbiate sempre presente nella vostra mente che la vera fortuna, la fortuna imperitura, non sta sulla Terra, e comprenderete a quale prezzo potete meritare i benefici dell'Onnipotente."

PAULA, sulla Terra contessa di ***


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[2] Possiamo dire che questa dama era il ritratto vivente della donna benefica, tracciato ne Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. XIII.

[3] Abbiamo estrapolato da questa comunicazione, il cui originale è in lingua tedesca, le parti più importanti riguardo all'argomento che ci interessa, sopprimendo quanto è d'interesse esclusivamente familiare.

Il signor Sanson

Il signor Sanson, antico membro della Società Spiritista di Parigi, è morto il 21 aprile 1862, dopo un anno di crudeli sofferenze. In previsione della sua fine, egli aveva indirizzato al presidente della Società una lettera contenente il brano che segue.

"Potendo darsi il caso che venga sorpreso dalla separazione tra la mia anima e il mio corpo, ho l'onore di ricordarvi una preghiera che vi ho già fatta circa un anno fa. Si tratta di evocare il mio Spirito il più presto possibile e quanto più spesso voi giudicherete al riguardo, in modo che io, membro alquanto inutile della nostra Società durante la mia esistenza sulla Terra, possa servirle a qualcosa nell'oltretomba. Potrei così darle, in queste evocazioni, i mezzi per studiare fase per fase le diverse circostanze che fanno seguito a ciò che il volgo chiama morte, ma che, per noi Spiritisti, altro non è che una trasformazione, secondo le vedute insondabili di Dio, ma sempre utile allo scopo ch'Egli si propone.

Oltre a tale autorizzazione e alla preghiera di farmi l'onore di questa specie di autopsia spirituale — che il mio modesto avanzamento come Spirito renderà forse sterile, nel qual caso la vostra saggezza vi porterà naturalmente a non spingervi oltre a un certo numero di tentativi — io oso rivolgervi ancora un'altra preghiera. Io prego personalmente voi, così come tutti i miei colleghi, di voler supplicare l'Onnipotente affinché voglia permettere ai buoni Spiriti di assistermi con i loro benevoli consigli — in particolare, san Luigi, nostro presidente spirituale —, con lo scopo di guidarmi nella scelta e circa l'epoca di una reincarnazione. Infatti, fin d'ora ciò molto mi preoccupa; temo di ingannarmi sulle mie forze spirituali e di domandare a Dio, troppo presto e troppo presuntuosamente, uno stato corporale nel quale io non potrei giustificare la bontà divina, cosa che, invece di servirmi per avanzare, prolungherebbe la mia permanenza sulla Terra o altrove, nel caso in cui fallissi."

Per conformarci al suo desiderio di essere evocato il più presto possibile dopo il suo decesso, ci siamo recati nella camera mortuaria con alcuni membri della Società. Il dialogo che riportiamo ha avuto luogo, al cospetto del cadavere, un'ora prima dell'inumazione. Noi avevamo, in questo, un duplice scopo, quello di esaudire un'ultima volontà, e quello di osservare una volta di più la situazione dell'anima in un momento così vicino alla morte; e ciò, in un uomo eminentemente intelligente e illuminato e profondamente convinto delle verità spiritiste. Volevamo costatare l'influenza di queste credenze sullo stato dello Spirito, per afferrare le sue prime impressioni. La nostra attesa non è stata ingannata. Il signor Sanson ha descritto con perfetta lucidità l'istante della transizione. Egli si è visto morire e si è visto rinascere, circostanza poco comune e che dipendeva dall'elevatezza del suo Spirito.


I

(Camera mortuaria, 23 aprile 1862)


1. Evocazione. Vengo al vostro appello per mantenere la mia promessa.

2. Caro signor Sanson, compiendo un dovere, con piacere vi abbiamo evocato il più presto possibile dopo la vostra morte, come era vostro desiderio.

«È una speciale grazia di Dio che permette al mio Spirito di poter comunicare. Vi ringrazio per la vostra buona volontà; ma io sono così debole che tremo.»

3. Soffrivate tanto che possiamo, io penso, chiedervi come state ora. Risentite ancora dei vostri dolori? Quale sensazione provate paragonando la vostra presente situazione con quella di due giorni fa?

«La mia posizione è molto felice, perché io non sento più nulla dei miei vecchi dolori; sono come rigenerato e rimesso a nuovo, come dite tra di voi. La transizione dalla vita terrena alla vita degli Spiriti, per prima cosa, mi aveva lasciato in uno stato di totale confusione, perché restiamo talvolta per parecchi giorni senza aver recuperato la nostra lucidità. Ma, prima di morire, io ho rivolto una preghiera a Dio per chiederGli di poter parlare con coloro che amo, e Dio mi ha ascoltato.»

4. Dopo quanto tempo avete recuperato la lucidità delle vostre idee?

«Dopo otto ore. Dio, ve lo ripeto, mi aveva dato un segno della Sua bontà; mi aveva giudicato sufficientemente degno, e io non saprò mai sufficientemente ringraziarLo.»

5. Siete ben certo di non appartenere più al nostro mondo? E da che cosa l o stabilite?

«Oh, certamente! No, non faccio più parte del vostro mondo. Ma io sarò sempre accanto a voi per proteggervi e sostenervi, al fine di predicare la carità e l'abnegazione che furono le guide della mia vita. E poi insegnerò la fede vera, la fede spiritista che deve risollevare la credenza del buono e del giusto. Io sono forte, anzi fortissimo, in una parola, trasformato; voi non riconoscereste più il vecchio infermo, che doveva dimenticare tutto tenendo lontano da sé ogni piacere, ogni gioia. Io sono uno Spirito; la mia patria è lo Spazio, e il mio avvenire è Dio, che risplende nell'immensità. Vorrei poter parlare ai miei figli, perché insegnerei loro ciò che hanno sempre disdegnato di credere.»

6. Che effetto vi fa la vista del vostro corpo, qui a fianco?

«Il mio corpo! Povera e infima spoglia, tu devi tornare alla polvere, e io, io conservo il buon ricordo di tutti quelli che mi stimavano. Guardo questa povera carne deformata, dimora del mio Spirito, prova di tanti anni! Grazie, mio povero corpo! Tu hai purificato il mio Spirito, e la sofferenza, dieci volte santa, mi ha dato un posto ben meritato, dal momento che immediatamente ho avuta la possibilità di parlare con voi.»

7. Avete conservato le vostre idee fino all'ultimo istante?

«Sì. Il mio Spirito ha conservato le sue facoltà; io non vedevo più, ma presentivo. Tutta la mia vita mi si è dispiegata nella memoria, e il mio ultimo pensiero, la mia ultima preghiera è stata quella di potervi parlare, cosa che sto facendo ora. Poi ho chiesto a Dio di proteggervi, affinché il sogno della mia vita si concludesse.»

8. Avete avuto coscienza del momento in cui il vostro corpo ha esalato l'ultimo respiro? Che cosa è successo in voi in quel momento? Quale sensazione avete provata?

«La vita si spezza, e la vista — o piuttosto la vista dello Spirito — si spegne. S'incontra il vuoto, l'ignoto, e, trasportati da non so quale potere, ci si trova in un mondo dove tutto è gioia e magnificenza. Io non sentivo più, non mi rendevo conto di nulla, e tuttavia mi colmava una ineffabile felicità. Io non sentivo più la morsa del dolore.»

9. Avete conoscenza di... (che cosa mi accingo a leggere sulla vostra tomba?)

Le prime parole della domanda sono state appena pronunciate, che lo Spirito risponde prima ancora che la domanda sia completamente formulata. Egli interviene inoltre — e senza che la questione venga proposta — in una discussione, che si era levata tra gli astanti, sull'opportunità di leggere questa comunicazione al cimitero, relativamente al fatto che le persone avrebbero potuto o non potuto condividere tali opinioni.

«Oh! amico mio, io lo so, perché vi ho visto ieri e vi vedo oggi; grandissima è la mia soddisfazione!...Grazie! Grazie! Parlate, affinché mi si comprenda e vi si stimi; nulla dovete temere, poiché si rispetta la morte; parlate dunque, affinché i non credenti acquistino la fede. Addio! Parlate! Coraggio e fiducia! E possano i miei figli convertirsi a una fede sacrosanta!»

J. SANSON


Durante la cerimonia al cimitero, egli dettò le seguenti parole: "Che la morte non vi spaventi, amici miei; essa è uno stadio della vostra vita, se avete saputo ben vivere; essa è una felicità, se avete degnamente meritato e superato le vostre prove. Ve lo ripeto: coraggio e buona volontà! Non attribuite che un prezzo mediocre ai beni della terra, e ne sarete ricompensati. Non si può gioire troppo, senza sottrarre il benessere a un altro, e senza farsi moralmente un male immenso. Che la terra mi sia leggera."


II

(Società Spiritista di Parigi, 25 aprile 1862)



1. Evocazione. Sono accanto a voi, amici miei.

2. Siamo molto felici del colloquio che abbiamo avuto con voi il giorno della vostra sepoltura e, poiché lo permettete, vi saremmo grati se fosse possibile completarlo a beneficio della nostra istruzione.

«Sono pronto e sono felice che pensiate a me.»

3.Tutto ciò che può illuminarci sullo stato del mondo invisibile e farcelo comprendere è un alto insegnamento perché è l'idea falsa, che di esso ci si fa, che conduce il più delle volte alla incredulità. Non siate dunque sorpreso delle domande che potremo rivolgervi.

«Non ne sarò stupito e attendo le vostre domande.»

4. Voi avete descritto con luminosa chiarezza il passaggio dalla vita alla morte. Avete detto che nel momento in cui il corpo esala l'ultimo respiro la vita si spezza, e che la vista dello Spirito si spegne. Questo momento è accompagnato da una sensazione penosa, dolorosa?

«Senza dubbio, perché la vita è un susseguirsi continuo di dolori, e la morte è il completamento di tutti questi dolori. Da qui, uno strappo violento, come se lo Spirito dovesse compiere uno sforzo sovrumano per fuggire dal suo involucro, ed è questo sforzo che assorbe tutto il nostro essere facendogli perdere la coscienza di ciò che avviene.»

Questo non è un caso comune. L'esperienza dimostra che molti Spiriti perdono conoscenza prima di spirare, e che, in coloro che sono giunti a un certo grado di smaterializzazione, la separazione si attua senza sforzi.

5. Sapete se ci sono degli Spiriti per i quali questo momento è più doloroso? Per esempio, è più penoso per il materialista, per chi crede che tutto per lui finisca in quel momento?

«Questo è certo, perché lo Spirito preparato ha già dimenticato la

sofferenza, o piuttosto ne ha l'abitudine, e la serenità con cui egli vede la morte gli impedisce di soffrire doppiamente, perché sa ciò che lo attende. La pena morale è quella più forte, e l'assenza di questa nell'istante della morte è un sollievo molto grande. Colui che non crede assomiglia a quel condannato alla pena capitale, il cui pensiero vede il coltello e l'ignoto. C'è una certa analogia tra questa morte e quella dell'ateo.»

6. Esistono materialisti così irriducibili da credere seriamente che, in questo momento supremo, stiano per essere sprofondati nel nulla?

«Senza dubbio. Ve ne sono di quelli che fino all'ultima ora credono al nulla. Ma, al momento della separazione, lo Spirito ha un profondo ravvedimento; il dubbio s'impadronisce di lui e lo tortura, perché si domanda che cosa diventerà; vuole afferrare qualcosa e non vi riesce. La separazione non può avvenire senza queste impressioni.»

Uno Spirito ci ha dato, in un'altra circostanza, il seguente quadro della fine dell'incredulo.

"L'incredulo irriducibile prova nei suoi ultimi istanti le angosce di quei terribili incubi, dove ci si vede sull'orlo di un precipizio, sul punto di cadere nell'abisso; si fanno inutili sforzi per fuggire, ma non si riesce a camminare; ci si vuole aggrappare a qualcosa, afferrare un punto d'appoggio, ma ci si sente scivolare; si vuole invocare qualcuno, ma non si può articolare alcun suono; è a questo punto che si vede il moribondo dibattersi, torcersi le mani ed emettere grida soffocate, segni certi dell'incubo al quale è in preda. Nell'incubo comune, il risveglio vi tira fuori dall'inquietudine, e voi vi sentite felici di scoprire che avete fatto soltanto un sogno. Ma l'incubo della morte si protrae spesso per lungo tempo, anche per anni, dopo il trapasso, e ciò che rende queste sensazioni ancora più penose per lo Spirito sono le tenebre, in cui a volte egli si trova sprofondato."

7. Voi avete detto che al momento di morire non vedevate più, ma che presentivate. Non vedevate più corporalmente, questo ben si comprende; ma, prima dell'estinzione della vita, presentivate già in che cosa sarebbe consistita la luminosità del mondo degli Spiriti?

«È ciò che ho detto precedentemente: l'istante della morte dona allo Spirito la chiaroveggenza; gli occhi non vedono più, ma lo Spirito, che possiede una vista ben più profonda, scopre istantaneamente un mondo sconosciuto. La verità, che improvvisamente gli appare, gli dà — momentaneamente, è vero — o una gioia profonda o una pena inesprimibile, secondo lo stato della sua coscienza e il ricordo della sua vita passata.»

Si tratta dell'istante che precede quello in cui lo Spirito perde conoscenza, il che spiega l'impiego del termine momentaneamente perché le medesime impressioni, gradevoli o penose, proseguono al risveglio.

8. Abbiate la compiacenza di riferirci ciò che, nell'istante in cui i vostri occhi si sono aperti alla luce, vi ha impressionato maggiormente, ciò che, insomma, avete visto. Se è possibile, descriveteci l'aspetto delle cose che si sono offerte alla vostra vista.

«Quando son potuto tornare in me e ho potuto vedere ciò che avevo davanti agli occhi, ero come tramortito e non me ne rendevo ben conto, poiché la lucidità non ritorna istantaneamente. Ma Dio, che mi ha dato un segno profondo della Sua bontà, ha permesso che io recuperassi le mie facoltà. Io mi sono visto attorniato da numerosi e fedeli amici. Tutti gli Spiriti protettori che vengono ad assisterci mi attorniavano e mi sorridevano; una felicità senza pari li animava, e io stesso, forte e in salute, potevo, senza sforzo alcuno, trasportarmi attraverso lo Spazio. Ciò che ho visto non ha nome nel linguaggio umano.

Vi parlerò, del resto, più ampiamente di tutte le mie felicità, senza tuttavia oltrepassare il limite che Dio esige. Sappiate che la felicità, come fra di voi la concepite, è una finzione. Vivete saggiamente, santamente, nello spirito di carità e di amore, e vi sarete preparati a delle impressioni che i vostri più grandi poeti non saprebbero descrivere.»

Le fiabe sono senza dubbio piene di cose assurde; ma non sarebbero in alcuni punti, l'immagine di ciò che avviene nel mondo degli Spiriti? Il racconto del Signor Sanson non assomiglia forse a quello di un uomo che, addormentatosi in una povera e buia capanna, si sveglia in uno splendido palazzo, in mezzo a una corte brillante?


III


9. Sotto quale aspetto gli Spiriti vi si sono presentati? Sotto forma umana?

«Sì, mio caro amico. Gli Spiriti, sulla Terra, ci avevano insegnato che essi conservavano nell'altro mondo la forma transitoria che avevano avuto sulla Terra; ed è la verità. Ma quale differenza tra la macchina informe, che si trascina penosamente con il suo carico di prove, e la meravigliosa fluidità del corpo degli Spiriti! La bruttezza non esiste più, perché i tratti hanno perduto la durezza d'espressione che forma il carattere distintivo della razza umana. Dio ha beatificato tutti questi corpi graziosi che si muovono con ogni eleganza della forma; il linguaggio ha delle intonazioni, per voi intraducibili, e lo sguardo ha la profondità di una stella. Fate in modo di vedere, con il pensiero, ciò che Dio può fare nella sua onnipotenza, Lui l'architetto degli architetti, e vi sarete fatti una tenue idea della forma degli Spiriti.»

10. E voi, voi come vi vedete? Vi riconoscete una forma delimitata, circoscritta, benché fluidica? Vi sentite una testa, un tronco, delle braccia, delle gambe?

«Lo Spirito, avendo conservato la sua forma umana, ma divinizzata e idealizzata, ha incontestabilmente tutte le membra di cui voi parlate. Io mi sento perfettamente gambe e dita, perché noi possiamo, per nostra volontà, apparirvi o stringervi le mani. Io sono accanto a voi e ho stretto la mano di tutti i miei amici, senza che essi ne abbiano avuta coscienza; la nostra fluidità può stare dappertutto senza perturbare lo spazio, senza dare alcuna sensazione, se questo è il nostro desiderio. In questo momento, voi avete le mani intrecciate, e io ho le mie tra le vostre. Io vi dico: vi voglio bene, ma il mio corpo non occupa spazio, la luce lo attraversa, e quello che voi chiamereste un miracolo — nel caso ciò fosse possibile —, per gli Spiriti è l'azione continua di tutti gli istanti.

La vista degli Spiriti non si può paragonare con la vista umana, allo stesso modo che il loro corpo non ha una qualsiasi somiglianza reale, poiché tutto è cambiato nell'insieme e nell'essenza. Lo Spirito — ve lo ripeto — ha una perspicacia divina che abbraccia tutto, poiché può intuire anche il vostro pensiero; e può anche, all'occasione, prendere la forma che meglio può ricordarlo alla vostra memoria. Ma, di fatto, lo Spirito superiore, che ha terminato le sue prove, ama la forma che ha potuto condurlo vicino a Dio.»

11. Gli Spiriti non hanno sesso. Tuttavia, poiché fino a pochi giorni fa voi eravate un uomo, nel vostro nuovo stato, conservate la natura maschile più di quella femminile? Ed è la medesima cosa per uno Spirito che avesse lasciato il suo corpo da lungo tempo?

«Non abbiamo alcun motivo per essere di natura maschile o femminile: gli Spiriti non si riproducono. Dio li creò secondo la Sua volontà e se, per i Suoi disegni meravigliosi, Egli ha voluto che gli Spiriti si reincarnassero sulla Terra, ha dovuto decretare la riproduzione delle specie attraverso il maschio e la femmina. Ma — ben lo capirete, senza che sia necessaria alcuna spiegazione — gli Spiriti non possono avere un sesso.»

Sempre è stato detto che gli Spiriti non hanno sesso; i sessi non sono necessari che per la riproduzione dei corpi. E poiché gli Spiriti non si riproducono, i sessi sarebbero per loro inutili. La nostra domanda non si prefiggeva di confermare questo fatto; ma, in seguito alla recente morte del signor Sanson, noi volevamo sapere se gli rimaneva qualche impressione del suo stato terreno. Gli Spiriti purificati si rendono perfettamente conto della loro natura, ma fra gli Spiriti inferiori, non dematerializzati, ve ne sono molti che credono di essere ancora ciò che erano sulla Terra e conservano le medesime passioni e i medesimi desideri. Costoro si credono ancora uomini o donne, ed ecco perché ci sono di quelli che hanno affermato che gli Spiriti hanno un sesso. È così che certe contraddizioni derivano dallo stato più o meno avanzato degli Spiriti che si manifestano; il torto non è però tanto da addebitare agli Spiriti, quanto a coloro che li interrogano e non si danno la pena di approfondire le questioni.

12. Con quale aspetto vi si presenta la seduta? È, per le vostre nuove vedute, ciò che vi appariva quando eravate vivo? Le persone hanno per voi il medesimo aspetto? Tutto è parimenti chiaro, parimenti nitido?

«Più che chiaro, perché io posso leggere nel pensiero di tutti, e sono molto felice della benefica impressione che mi procura la buona volontà di tutti gli Spiriti riuniti. Io desidero che la medesima intesa possa avvenire non solo a Parigi, attraverso la riunione di tutti i gruppi, ma anche nella Francia intera, dove vi sono dei gruppi che si separano, invidiandosi vicendevolmente, incitati da Spiriti turbolenti che si compiacciono del disordine, mentre lo Spiritismo deve essere l'oblio completo e assoluto dell'io.»

13. Voi dite che leggete nel nostro pensiero. Potreste farci comprendere come avviene questa trasmissione del pensiero?

«Ciò non è facile. Per descrivervi, per spiegarvi questo prodigio singolare della vita degli Spiriti, bisognerebbe schiudervi tutto un arsenale di agenti nuovi, così che voi diventereste sapienti quanto noi, il che non è possibile, poiché le vostre facoltà sono limitate dalla materia. Pazienza! Migliorate, e vi arriverete. Voi, attualmente, non avete che quanto Dio vi concede, ma con la speranza di progredire continuamente. Più avanti, voi sarete come noi. Nel frattempo fate dunque in modo di ben morire per saperne di più. La curiosità, che è lo stimolo dell'uomo pensante, vi accompagna tranquillamente fino alla morte, riservandovi l'appagamento di tutte le vostre curiosità passate, presenti, e future. Nell'attesa, per rispondere, bene o male che sia, alla vostra domanda, vi dirò: l'aria che vi circonda, come noi impalpabile, trasporta, per così dire, il carattere del vostro pensiero; il respiro che voi esalate è, per così dire, la pagina scritta dei vostri pensieri; essi sono letti e commentati dagli Spiriti che di continuo sono acanto a voi; sono i messaggi di una telegrafia divina cui nulla sfugge.»


La morte del giusto


Dopo la prima evocazione del signor Sanson, avvenuta presso la Società di Parigi, uno Spirito fece, a tal proposito, la comunicazione che segue.

"La morte dell'uomo di cui vi occupate in questo momento è stata la morte del giusto; vale a dire, accompagnata da tranquillità e speranza. Come il giorno succede naturalmente all'alba, così la vita spirituale è succeduta per lui alla vita terrena, senza scosse, senza lacerazioni, e il suo ultimo respiro è stato esalato in un inno di riconoscenza e di amore. Quanto pochi sono coloro che attraversano così questo duro passaggio! Quanto pochi sono coloro che, dopo la confusione e la disperazione della vita, sentono il ritmo armonioso delle sfere! Come l'uomo in buona salute, mutilato da una pallottola, soffre ancora nelle membra da cui il suo corpo è ormai separato, così l'anima dell'uomo, che muore senza fede e senza speranza, si lacera e palpita fuggendo dal corpo e lanciandosi, inconscia di sé stessa, nello Spazio.

Pregate per queste anime tormentate; pregate per tutti coloro che soffrono; la carità non è limitata all'Umanità visibile: essa soccorre e consola anche gli esseri che popolano lo Spazio. Voi ne avete avuta una prova toccante attraverso la conversione così improvvisa di questo Spirito, mosso a pietà dalle preghiere spiritiste recitate sulla tomba dell'uomo dabbene, che voi dovete interrogare e che desidera farvi avanzare sulla santa via. 1 L'amore non ha limiti; esso riempie lo Spazio donando e ricevendo mutuamente le sue divine consolazioni. Il mare si estende in una prospettiva infinita, il suo ultimo orizzonte sembra confondersi con il cielo, e lo Spirito è inebriato dallo splendido spettacolo di queste due grandezze. Così l'amore, più profondo dei flutti, più infinito dello Spazio, deve riunire tutti voi, incarnati e disincarnati, nella medesima comunione di carità e realizzare la sublime fusione del finito e dell'eterno."

GEORGES

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[1] Allusione allo Spirito di Bernard, che spontaneamente si è manifestato il giorno delle esequie del signor Sanson (vedere la Rivista Spiritista del maggio 1862, p.132)

Un medico russo

Il dottor R era un medico di Mosca, noto sia per le sue eccelse qualità morali sia per la sua scienza. La persona che lo ha evocato lo conosceva soltanto di fama e non aveva avuto con lui che dei rapporti indiretti. La comunicazione originale era in lingua russa.

— (Dopo l'evocazione) Siete qui?

«Sì. Il giorno della mia morte io vi ho incalzato con la mia presenza, ma voi vi siete opposti a tutti i miei tentativi per indurvi a scrivere. Avevo saputo delle vostre considerazioni sul mio conto; questo mi aveva dato l'occasione di conoscervi, e allora ho avuto il desiderio d'intrattenermi con voi per esservi utile.»

— Perché voi, che siete così buono, avete tanto sofferto?

«La bontà era del Signore, il quale voleva in tal modo farmi doppiamente sentire il prezzo della mia liberazione e farmi avanzare il più possibile sulla Terra.»

— Il pensiero della morte vi ha causato terrore?

«Avevo sufficiente fede in Dio perché ciò non succedesse.»

— La separazione è stata dolorosa?

«No. Ciò che voi chiamate l'ultimo momento non è nulla. Io non ho sentito che un brevissimo scricchiolio, e subito dopo mi sono ritrovato tutto felice per essermi sbarazzato della mia miserabile carcassa.»

— Che cosa è accaduto allora?

«Ho avuto la gioia di vedere un gran numero di amici venirmi incontro e darmi il benvenuto, soprattutto coloro che ebbi la soddisfazione di aiutare.»

— Quale regione abitate? Vi trovate su di un pianeta?

«Tutto ciò che non è un pianeta è ciò che voi chiamate Spazio. È qui che io mi trovo. Ma quanti gli stadi in questa immensità di cui l'uomo non può farsi un'idea! Quanti i gradini in questa scala di Giacobbe che va dalla Terra al Cielo, vale a dire dall'avvilimento dell'incarnazione su di un mondo inferiore come il vostro, fino alla purificazione completa dell'anima! Qui, dove io mi trovo, non si arriva che in seguito a molte prove, il che significa dopo molte incarnazioni.»

— A questa stregua voi dovete aver avuto parecchie esistenze.

«Come potrebbe essere altrimenti? Nell'ordine immutabile stabilito da Dio, nulla può costituire un'eccezione; la ricompensa non può venire che dopo la vittoria riportata sulla lotta; e quando la ricompensa è grande, bisogna necessariamente che anche la lotta lo sia stata. Ma la vita umana è così breve che la lotta, in realtà, non avviene che a intervalli, e questi intervalli sono il susseguirsi delle diverse esistenze. Ora, poiché io mi trovo su di un gradino già elevato, è certo che ho raggiunto questa felicità attraverso una serie continua di combattimenti nei quali Dio ha permesso che talvolta io riportassi la vittoria.»

— In che cosa consiste la vostra felicità?

«Questo è più difficile da farvi comprendere. La felicità di cui godo è una specie di estrema contentezza di me stesso; non dei miei meriti — questo sarebbe orgoglio, e l'orgoglio è proprio degli Spiriti malvagi —, ma una contentezza come immersa, per così dire, nell'amore di Dio, nella riconoscenza per la Sua bontà infinita; è la gioia profonda che ci proviene dal bene; è la gioia di dire a sé stessi: "Forse ho contribuito al miglioramento di alcuni di coloro che si sono elevati verso il Signore". È come identificarsi con il benessere; è una specie di fusione dello Spirito e della bontà divina. Si ha il dono di vedere gli Spiriti più avanzati, di comprenderne la missione, e di sapere che anche noi arriveremo là. Si intravedono, nell'infinito incommensurabile, le regioni così risplendenti del fuoco divino che se ne rimane abbagliati pur contemplandole attraverso il velo che ancora le ricopre. Ma che cosa vado dicendovi? Comprendete le mie parole? Per esempio, questo fuoco di cui parlo, credete voi forse che sia simile al sole? No. No. È qualcosa d'indicibile per l'uomo, perché le parole esprimono solo gli oggetti, le cose fisiche o metafisiche di cui egli ha conoscenza attraverso la memoria o l'intuizione della sua anima, mentre, non potendo avere questa memoria riguardo all'ignoto assoluto, non esistono termini che possano dargliene la percezione. Ma sappiatelo: è già un'immensa felicità pensare che ci si può elevare infinitamente.»

— Avete avuta la bontà di dirmi che volete essermi utile. Vi prego: in che cosa?

«Posso aiutarvi quando cadete in errore, sostenervi nelle vostre debolezze, consolarvi nelle vostre afflizioni. Se la vostra fede, scossa da qualche affanno che vi turba, sta per vacillare, chiamatemi: Dio mi darà le parole giuste perché possiate voi ricordarvi di Lui e possa io ricondurvi a Lui. Se vi sentite sul punto di soccombere sotto il peso di inclinazioni che anche voi riconoscete essere riprovevoli, chiamatemi: io vi aiuterò a portare la vostra croce, come un tempo Gesù fu aiutato a portare la sua, quella che doveva proclamarci in modo così sublime la verità e la carità. Se sotto il peso dei vostri affanni diventate fragile, se la disperazione s'impossessa di voi, chiamatemi: io verrò a trarvi fuori da questo abisso parlandovi da Spirito a Spirito, richiamandovi ai doveri che vi sono stati imposti, non per delle considerazioni sociali e materiali, ma per l'amore che voi sentirete m me, amore che Dio ha posto nel mio essere, perché sia trasmesso a coloro che da questo amore possono essere salvati.

Senza dubbio voi avete sulla Terra degli amici; forse costoro prendevano parte ai vostri dolori e forse vi hanno già salvata. Nel dolore voi andate a trovarli, andate a portar loro i vostri lamenti e le vostre lacrime, ed essi vi daranno, in cambio di questo vostro segno d'affetto, i loro consigli, il loro appoggio, le loro premure. Ebbene, non ritenete che avere un amico anche qui sia una buona cosa? È certo consolante poter dire a sé stessi: "Quando morirò, i miei amici della Terra saranno al mio capezzale, pregando per me e piangendo su di me". Ma più consolante ancora è poter dire: "I miei amici dello Spazio saranno sulla soglia della vita e verranno, sorridenti, a prendermi per condurmi nel luogo che avrò meritato con le mie virtù".»

— In qual modo dunque ho io meritata la protezione che voi avete la bontà di accordarmi?

«Ecco perché mi sono legato a voi fin dal giorno della mia morte. Ho visto che siete una Spiritista, una buona medium e una sincera adepta. Fra coloro che ho lasciato sulla Terra, subito non ho visto che voi; allora ho deciso di venire a contribuire al vostro avanzamento, senza dubbio nel vostro interesse, ma ancor più nell'interesse di tutti coloro che voi siete chiamata a istruire nella verità. Pur lo vedete, Dio vi ama tanto da rendervi missionaria; attorno a voi, tutti, a poco a poco, condividono le vostre credenze; i più ribelli, almeno vi ascoltano, e un giorno, vedrete, vi crederanno. Non stancatevi! Continuate a camminare, malgrado gli ostacoli del cammino. Prendetemi come il vostro bastone nei momenti di debolezza.»

— Credete davvero che io meriti un così grande favore?

«Senza dubbio, siete lontana dalla perfezione. Ma il vostro ardore nel diffondere le sane dottrine, nel sostenere la fede di coloro che vi ascoltano, nel predicare la carità, la bontà, la benevolenza — anche quando verso di voi si usano delle cattive maniere —, la tenacia nell'opporvi ai vostri istinti di collera, che così facilmente potrebbero darvi soddisfazione contro quanti vi affliggono o disconoscono le vostre intenzioni, servono per fortuna da contrappeso a quanto in voi può esserci di cattivo. E seppiatelo: non c'è contrappeso più potente del perdono.

Dio vi colma delle Sue grazie attraverso la facoltà che vi concede e che spetta a voi sviluppare con i vostri sforzi, al fine di lavorare efficacemente alla salvezza del prossimo. Ora vi lascio, ma contate su di me. Cercate di limitare i vostri pensieri terreni e di vivere più spesso con i vostri amici di qui.»

La vedova Foulon, nata Wollis

La signora Foulon, morta ad Antibes il 3 febbraio del 1865, aveva a lungo abitato a Le Havre, dove si era fatta una reputazione come abilissima miniaturista. Il suo notevole talento, agli inizi, non fu per lei che un passatempo amatoriale; ma più tardi, quando vennero i tempi duri, ella seppe farne una risorsa per lei preziosa. Ciò che la faceva soprattutto amare e stimare, ciò che rende cara la sua memoria, a tutti quelli che l'hanno conosciuta, è la festosità del suo carattere, sono le sue qualità personali, di cui possono apprezzare tutta la profondità solo coloro che conoscono la sua vita intima; infatti, come tutte le persone in cui il sentimento del bene è innato non ne faceva sfoggio, anzi neppure sospettava di possederlo. Se c'è qualcuno su cui l'egoismo non aveva alcuna presa, era senza dubbio lei; forse mai il sentimento dell'abnegazione personale fu portato più lontano. Sempre pronta a sacrificare il suo riposo, la sua salute, i suoi interessi per coloro cui ella poteva essere utile, la sua vita non è stata che un lungo susseguirsi di dedizioni, come, dopo la giovinezza non è stata che un lungo susseguirsi di dure e crudeli prove, di fronte alle quali il suo coraggio, la sua rassegnazione e la sua perseveranza non sono mai venute meno. Ma, ahimè, la sua vista, affaticata da un lavoro così minuzioso, si andava spegnendo di giorno in giorno; poco tempo ancora, e la cecità, già molto avanzata, sarebbe stata completa.

Quando la signora Foulon venne a conoscere la Dottrina Spiritista, fu per lei come un raggio di luce; le parve che un velo si alzasse su qualcosa che non le era sconosciuto, ma di cui non aveva che una vaga intuizione. Così si mise a studiarla con ardore, ma nello stesso tempo con quella lucidità di spirito, con quella onestà di giudizio che costituivano la caratteristica della sua profonda intelligenza. Bisogna conoscere tutte le perplessità della sua vita — perplessità che avevano sempre avuto come movente non lei stessa, ma gli esseri che le erano cari — per capire quante consolazioni ella attinse da questa sublime rivelazione, che le dava una fede incrollabile nell'avvenire e le mostrava il nulla delle cose terrene.

La sua morte è stata degna della sua vita. Ella ne ha visto l'avvicinarsi senza alcuna penosa apprensione; per lei si trattava della liberazione dai legami terreni, che doveva aprirle quella felice vita spirituale con la quale si era identificata attraverso lo studio dello Spiritismo. Ella è morta con tranquillità, perché aveva la coscienza di aver compiuto la missione che aveva accettato venendo sulla Terra, e di aver scrupolosamente adempiuto i suoi doveri di sposa e di madre di famiglia; perché aveva, durante la sua vita, rinunciato a ogni risentimento nei confronti di coloro di cui ella avrebbe avuto di che lagnarsi, e che l'avevano ripagata con l'ingratitudine; perché aveva sempre reso bene per male; perché, infine, ha lasciato la vita perdonandoli e rimettendosi, per quanto riguardava sé stessa, alla bontà e alla giustizia di Dio. Ella è morta, infine, con la serenità che proviene da una coscienza pura, e dalla certezza di essere meno separata dai suoi figli di quanto lo fosse durante l'esistenza fisica, poiché ormai avrebbe potuto essere con loro in Spirito; e in qualunque punto del globo essi si fossero trovati, avrebbe potuto aiutarli con i suoi consigli e con la sua protezione.

Non appena abbiamo saputo della morte della signora Foulon, il nostro primo desiderio fu quello di evocarla. I rapporti di amicizia e di simpatia, che la Dottrina Spiritista aveva fatto nascere tra lei e noi, spiegano alcune sue frasi e la familiarità del suo linguaggio.


I



(Parigi, 6 febbraio 1865, tre giorni dopo la sua morte)

"Io ero sicura che voi avreste avuto l'idea di evocarmi subito dopo la mia liberazione dalla materia e mi tenevo pronta a rispondervi, poiché non ho subito alcun turbamento; soltanto coloro che hanno paura vengono avvolti dalle fitte tenebre della morte.

Ebbene, amico mio, io ora sono felice! Questi poveri occhi — che si erano indeboliti e che mi lasciavano solo il ricordo dei prismi che avevano colorato del loro cangiante splendore la mia giovinezza — si sono qui aperti e hanno ritrovato gli splendidi orizzonti che idealizzavano, nelle loro vaghe riproduzioni, alcuni dei vostri grandi artisti, ma la cui realtà maestosa, severa e tuttavia piena di fascino, è improntata alla più completa realtà.

Sono solo tre giorni dacché sono morta, e sento di essere un'artista. Le mie aspirazioni verso l'ideale della bellezza nell'arte non erano che l'intuizione di facoltà che avevo studiato e acquisito in altre esistenze e che nella mia ultima si sono sviluppate. Ma quanto devo lavorare per riprodurre un capolavoro degno del grande scenario che colpisce lo spirito, giungendo nella regione della luce! Dei pennelli, dei pennelli! Proverò al mondo che l'arte spiritista è il completamento dell'arte pagana e dell'arte cristiana che sta andando a rotoli, proverò altresì che soltanto allo Spiritismo è riservata la gloria di far rivivere quest'arte in tutto il suo splendore nel vostro mondo diseredato.

Basta con l'artista; ora tocca all'amica.

Perché, mia buona amica, (si riferisce alla signora Allan Kardec) addolorarvi così per la mia morte? Voi soprattutto, che conoscete le delusioni e le amarezze della mia vita, dovreste al contrario rallegrarvi nel vedere che io ora non debbo più bere dall'amaro calice dei dolori terreni, che ho svuotato fino alla feccia. Credetemi, i morti sono più felici dei vivi, e piangerli vuol dire dubitare della verità dello Spiritismo. Mi rivedrete, siatene certa; io sono partita per prima perché il mio compito sulla Terra era terminato; ciascuno ha il suo da compiere sulla Terra, e quando anche il vostro sarà terminato, verrete a riposarvi un po' accanto a me, per ricominciare poi, se ve n'è bisogno, posto che niente nella natura resta inattivo. Ognuno ha le sue tendenze e vi obbedisce: è una legge suprema che prova la potenza del libero arbitrio. Pertanto, buona amica, indulgenza e carità: noi tutti ne abbiamo reciprocamente bisogno, sia nel mondo visibile sia nel mondo invisibile. Con questo motto, tutto va bene.

Voi non mi direste mai di fermarmi. Sapete voi che è la prima volta che parlo così a lungo? Pertanto, ora vi lascio e mi rivolgo al mio eccellente amico, signor Kardec. Voglio ringraziarlo delle affettuose parole che ha avuto la benevolenza di rivolgere all'amica che l'ha preceduto nella tomba, dal momento che non siamo riusciti a partire insieme per il mondo dove io mi trovo, mio buon amico! (Allusione alla malattia di cui parla il dottor Demeure.) Che cosa avrebbe detto la compagna tanto amata dei vostri giorni, se i buoni Spiriti non fossero intervenuti? È allora che avrebbe pianto e sofferto, e io comprendo questo. Ma lei deve vegliare affinché voi non vi esponiate di nuovo al pericolo prima di aver portato a termine il vostro lavoro d'iniziazione spiritista; senza di ciò voi correreste il rischio di arrivare troppo presto tra di noi e di vedere, come Mosè, la Terra promessa solo da lontano. Riguardatevi, dunque, è un'amica che vi avverte.

Ora, io me ne vado. Ritorno presso i miei cari figli; poi andrò a vedere, al di là dei mari, se la mia pecorella viaggiatrice è finalmente giunta in porto o se è in balia della tempesta (si tratta di una delle mie figlie, che abitava in America). Che i buoni Spiriti la proteggano; vado a unirmi a loro per questo. Tornerò a parlare con voi, perché sono una conversatrice instancabile, e voi ve ne ricordate certamente. Arrivederci, dunque, buoni e cari amici. A presto."

Vedova Faulon


II


(8 febbraio 1865)

— Cara signora Foulon, sono felicissimo della comunicazione che mi avete fatto pervenire l'altro giorno e della vostra promessa di continuare la nostra conversazione.

Vi ho perfettamente riconosciuta nella comunicazione; in essa parlate di cose ignorate dal medium e che quindi non possono venire che da voi; inoltre il vostro linguaggio, così affettuoso nei nostri riguardi, è proprio quello della vostra anima delicata. Ma c'è nelle vostre parole una sicurezza, un autocontrollo, una fermezza che io non vi conoscevo quando eravate in vita. Voi sapete che, a questo riguardo, mi sono permesso più di una volta di rivolgervi delle esortazioni in determinate circostanze.

«È vero; ma da quando mi sono vista gravemente ammalata, ho riacquistato la mia fermezza di spirito, perduta a causa degli affanni e delle vicissitudini che talvolta in vita mi avevano reso timorosa. Mi sono detta: "Tu sei Spirito; dimentica la Terra; preparati alla trasformazione del tuo essere; cerca di vedere, con il pensiero, il sentiero luminoso che la tua anima deve seguire lasciando il tuo corpo, e che la condurrà, felice e libera, nelle sfere celesti dove tu devi ormai vivere".

Voi mi direte che era un po' presuntuoso, da parte mia, contare sulla perfetta felicità lasciando la terra, ma tanto avevo sofferto che avevo dovuto espiare le mie colpe di questa esistenza e delle esistenze precedenti. Questa intuizione non mi aveva ingannata, ed è stata lei a darmi il coraggio, la calma e la fermezza degli ultimi istanti. Questa fermezza è naturalmente aumentata quando, dopo la mia liberazione, ho visto le mie speranze realizzate.»

— Usateci ora la cortesia di descriverci il vostro passaggio, il vostro risveglio e le vostre prime impressioni.

«Ho sofferto, ma il mio Spirito è stato più forte della sofferenza materiale che il distacco gli faceva provare. Mi sono ritrovata, dopo l'ultimo respiro, come in deliquio, non avendo alcuna coscienza del mio stato, non pensando a nulla, e come immersa in una vaga sonnolenza che non era né il sonno del corpo né il risveglio dell'anima. Sono rimasta così abbastanza a lungo; poi, come se venissi fuori da un lungo svenimento, mi sono a poco a poco risvegliata in mezzo a fratelli che non conoscevo. Essi si prodigavano in cure e premure e, mostrandomi un punto nello Spazio che assomigliava a una stella splendente, mi hanno detto: "È là che tu verrai con noi. Tu non appartieni più alla Terra". Allora mi sono ricordata. Mi sono appoggiata a loro, e, come un elegante gruppo che si lancia verso le sfere sconosciute, ma con la certezza di trovarvi la felicità, siamo saliti, saliti, e la stella ingrandiva, ingrandiva. È un mondo felice, un mondo superiore, dove la vostra buona amica troverà il riposo. E intendo dire riposo riguardo alle fatiche fisiche, che io ho sopportato, e alle vicissitudini della vita terrena; non intendo certo l'indolenza dello Spirito, poiché l'attività per lo Spirito è una gioia.»

— Avete abbandonata la Terra definitivamente?

«Vi lascio ancora troppi esseri che mi sono cari per abbandonarla definitivamente. Vi ritornerò, perciò, in Spirito, perché ho una missione da compiere accanto ai miei nipotini. Voi sapete bene, d'altronde, come nessun ostacolo possa opporsi acché gli Spiriti che risiedono nei mondi superiori vengano a visitare la Terra.»

— Vi sembra che la posizione in cui vi trovate debba rallentare i vostri rapporti con coloro che avete lasciato sulla Terra?

«No, amico mio. L'amore avvicina le anime. Credetemi, sulla Terra si può essere più vicini a quanti hanno raggiunto la perfezione che a quanti inferiorità ed egoismo fanno turbinare intorno alla sfera terrestre. Carità e amore sono due motori di potente attrazione, credete, la quale è il legame che cementa l'unione delle anime legate l'una all'altra e che la prolunga nonostante luoghi e distanze. La distanza esiste solo per i corpi materiali, per gli Spiriti non esiste.»

— Quale idea vi siete fatta, ora, dei miei lavori concernenti lo Spiritismo?

«Trovo che abbiate la responsabilità di molte anime e che il fardello sia faticoso da portare. Ma ne comprendo il fine e so che lo raggiungerete. Io vi aiuterò, se sarà possibile, con i miei consigli di Spirito, perché voi possiate superare le difficoltà che vi si presenteranno, esortandovi a prendere opportunamente determinate misure atte ad attivare, mentre siete in vita, il movimento rinnovatore al quale mira lo Spiritismo. Il vostro amico Demeure, unito allo Spirito di Verità, sarà per voi un aiuto più utile ancora: egli è più sapiente e più saggio di me. Ma poiché io so che l'assistenza dei buoni Spiriti vi fortifica e vi sostiene nel vostro lavoro, credete, il mio aiuto vi sarà assicurato sempre e ovunque.»

— Si potrebbe dedurre da alcune vostre parole che voi non offrirete una cooperazione personale molto attiva all'opera dello Spiritismo.

«Vi sbagliate. Il fatto è che io vedo tanti altri Spiriti più validi di me a trattare questa importante questione, che un invincibile sentimento di timidezza m'impedisce, per il momento, di rispondervi secondo i vostri desideri. Questo forse avverrà; avrò più coraggio, più audacia; ma prima occorre che io conosca meglio questi Spiriti. Non sono che quattro giorni dacché sono morta; sono ancora sotto l'influenza abbagliante di tutto ciò che mi circonda. Amico mio, non lo comprendete? Non riesco a esprimere le nuove sensazioni che provo. Ho dovuto farmi forza per sottrarmi al fascino che esercitano sul mio essere le meraviglie ch'esso ammira. Io non posso che benedire e adorare Dio nelle Sue opere. Ma tutto ciò passerà. Gli Spiriti mi assicurano che presto io mi sarò abituata a tutte queste meraviglie e che potrò allora, cori la mia lucidità di Spirito, trattare tutte le questioni relative al rinnovamento terrestre. Inoltre, tenete conto che, con tutto ciò, in questo momento soprattutto, io ho una famiglia da consolare.

Addio e a presto. La vostra buona amica che vi ama e vi amerà sempre, mio maestro, perché è a voi ch'essa deve la sola consolazione vera e duratura che ha provato sulla Terra.»

Vedova Faulon


III


La comunicazione che segue fu fatta per i suoi figli, il 9 febbraio:

"Miei amatissimi figli, Dio mi ha allontanata da voi, ma la ricompensa ch'Egli si degna di accordarmi è grandissima, in confronto al poco che io ho compiuto sulla Terra. Rassegnatevi, miei buoni figli, alla volontà dell'Altissimo; attingete, in tutto quello ch'Egli ha permesso che voi riceveste, la forza per sopportare le prove della vita. Tenete sempre racchiusa nel vostro cuore questa fede, la quale tanto ha facilitato il mio passaggio dalla vita terrena alla vita che ci attende nell'uscire da questo mondo. Dio ha effuso su di me, dopo la morte, la Sua inesauribile bontà, così come ha voluto fare quando ero sulla Terra. RingraziateLo di tutti i benefici ch'Egli vi accorda; benediteLo, figli miei, benediteLo sempre, in ogni istante. Non perdete mai di vista lo scopo che vi è stato indicato né la via che dovete seguire; pensate all'impiego che dovete fare del tempo che Dio vi accorda sulla Terra. Ne sarete felici, carissimi, felici gli uni per gli altri, se l'unione regna tra di voi; felici per i vostri figli, se li educherete verso la buona strada, quella che Dio ha permesso che vi fosse rivelata.

Oh, se voi non potete vedermi, sappiate che il legame che ci univa sulla Terra non è affatto rotto dalla morte del corpo, perché non è l'involucro che ci univa, ma lo Spirito! Ed è attraverso questo, miei carissimi, che io potrò, in virtù della bontà dell'Onnipotente, guidarvi ancora e incoraggiarvi nel vostro cammino per ricongiungerci più tardi.

Andate, figli miei, coltivate con lo stesso amore questa fede sublime; bei giorni sono a voi riservati, a voi che credete. Vi è stato detto, ma io non dovevo vederli sulla Terra. È dall'alto che io giudicherò i tempi felici promessi dal Dio buono, giusto e misericordioso.

Non piangete, figli miei. Fortifichino questi colloqui la vostra fede, il vostro amore in Dio, che tanti doni ha profuso su di voi, che tante volte ha inviato soccorsi a vostra madre. PregateLo sempre: la preghiera fortifica. Conformate alle istruzioni, che io seguivo tanto ardentemente, la vita che Dio vi accorda.

Tornerò a voi, figli miei, ma bisogna che io sostenga la mia povera figlia che ha ancora tanto bisogno di me. Addio, a presto. Credete nella bontà dell'Onnipotente. Io Lo prego per voi. Arrivederci."

Vedova Faulon


Osservazione: Ogni Spiritista serio e illuminato trarrà facilmente, da queste comunicazioni, gli insegnamenti che ne derivano; noi, richiameremo l'attenzione soltanto su due punti. Il primo di questi punti s'incentra sul fatto che questo esempio ci dimostra la possibilità di non incarnarci più sulla Terra e di passare da qui in un mondo superiore, senza per questo venire separati dagli esseri cari che vi si lasciano. Quanti, dunque, temono la reincarnazione a causa delle miserie della vita, possono liberarsi da questo timore agendo come si deve, vale a dire lavorando al proprio miglioramento. Proprio come chi non voglia vegetare nei ranghi inferiori deve istruirsi e lavorare per salire di grado.

Il secondo punto riguarda la conferma di questa verità, secondo cui noi, dopo la morte, siamo separati dagli esseri che ci sono cari, meno di quanto lo fossimo durante la vita. La signora Foulon, trattenuta dall'età e dalla malattia, in una piccola città del Mezzogiorno, non aveva accanto a sé che una piccola parte della sua famiglia; la maggior parte dei suoi figli e dei suoi amici era sparsa in località lontane; inoltre, ostacoli materiali si opponevano affinché ella potesse vederli tanto sovente quanto da una parte e dall'altra si sarebbe desiderato. La grande lontananza rendeva anche la corrispondenza rara e difficile per alcuni di loro. Non appena liberatasi dell'involucro, accorre leggera presso ciascuno di loro, annulla le distanze senza fatica con la velocità della luce, li vede, assiste alle loro riunioni personali, li circonda della sua protezione e, attraverso la medianità, può intrattenersi con loro a ogni istante, come da viva. E dire che c'è gente che a questo consolante pensiero preferisce l'idea d'una separazione indefinita!

Il dottor Demeure

Morto ad Albi (Tarn), il 25 gennaio del 1865

Demeure era un notissimo medico omeopata di Albi. Tanto con il suo carattere quanto con la sua scienza, si era guadagnato la stima e la venerazione dei suoi concittadini. La sua bontà e la sua carità erano inestimabili, e, nonostante l'età avanzata, non si risparmiava quando si trattava di andare a prestare le sue cure a dei poveri malati. Il prezzo delle sue visite era il minore dei suoi crucci; di preferenza sacrificava la sua comodità per gli sventurati, piuttosto che per quelli ch'egli sapeva che potevano pagarlo, perché, diceva, questi ultimi in mancanza di lui potevano sempre procurarsi un medico. Ai primi non solo dava le medicine gratuitamente, ma spesso lasciava loro di che sopperire ai bisogni materiali, cosa che a volte è la più utile delle medicine. Si può dire di lui che era il curato d'Ars della medicina.

Il dottor Demeure aveva abbracciato con ardore la Dottrina Spiritista, nella quale aveva trovato la chiave dei problemi più gravi, di cui aveva invano cercato la soluzione nella scienza e in tutte le filosofie. Il suo Spirito profondo e indagatore gliene fece immediatamente comprendere tutta la portata, e così divenne uno dei suoi più attivi propagatori. Rapporti di viva e vicendevole simpatia si erano stabiliti tra lui e noi per corrispondenza.

Apprendemmo della sua morte il 30 gennaio, e il nostro primo pensiero fu quello di intrattenerci con lui. Ecco la comunicazione che ci fece quel giorno stesso:

"Eccomi. In vita, mi ero ripromesso che, appena fossi morto, sarei venuto, se ciò mi fosse stato possibile, a stringere la mano al mio caro maestro e amico Allan Kardec.

La morte aveva dato alla mia anima quel sonno pesante chiamato letargo; ma il mio pensiero vegliava. Io mi sono liberato da questo funesto torpore che prolunga il turbamento che segue alla morte, mi sono svegliato e d'un balzo ho fatto il viaggio.

Quanto sono felice! Non sono più né vecchio né infermo. Il mio corpo altro non era che un mascheramento imposto. Io sono giovane e bello, bello di quella eterna giovinezza degli Spiriti, perché le rughe non segnano mai il loro volto, e i capelli non imbiancano col protrarsi del tempo. Io sono leggero come l'uccello che attraversa in rapido volo l'orizzonte del vostro cielo nebuloso, e ammiro, contemplo, benedico, amo e m'inchino, io che non sono che un atomo, dinanzi alla grandezza, alla saggezza, alla scienza del nostro Creatore, dinanzi alle meraviglie che mi circondano.

Io sono felice! Sono nella gloria! Oh, chi potrà mai raccontare le splendide bellezze della dimora degli eletti; i Cieli, i Mondi, i Soli e il loro importante ruolo nel concorrere all'armonia dell'Universo? Ebbene, io ci proverò, o mio maestro! Studierò tali bellezze e deporrò accanto a voi l'omaggio dei miei lavori di Spirito, che vi dedico fin d’ora. A presto."

Demeure

Osservazione: Le due comunicazioni che seguono, fatte il 1° e il 2 febbraio, sono relative alla malattia che ci aveva colpito in quel momento. Benché tali comunicazioni siano personali, le riproduciamo, perché provano che il dottor Demeure è tanto buono come Spirito, quanto lo era come uomo.

"Mio buon amico, abbiate fiducia in noi e abbiate coraggio. Questa crisi, benché spossante e dolorosa, non sarà lunga, e con le precauzioni prescritte voi potrete, secondo i vostri desideri, portare a termine l'opera che è stata lo scopo principale della vostra esistenza. Nondimeno ci sono sempre io a starvi accanto, con lo Spirito di Verità che mi permette di prendere a suo nome la parola, come ultimo dei vostri amici venuto tra gli Spiriti. Essi mi fanno gli onori di benvenuto. Caro maestro, come sono felice di essere morto in tempo per essere con loro in questo momento! Forse, se fossi morto prima, avrei potuto evitarvi questa crisi che non prevedevo. Da troppo poco tempo ero disincarnato, perché potessi occuparmi di altre cose che non fossero quelle spirituali. Ma ora veglierò su di voi, caro maestro. È il vostro fratello e amico che è felice di essere Spirito per essere accanto a voi e offrirvi le sue cure nella vostra malattia. Ma voi conoscete il proverbio: 'Aiutati, e il Cielo ti aiuterà'. Aiutate dunque gli Spiriti buoni nelle cure ch'essi vi offrono, attenendovi strettamente alle loro prescrizioni.

Qui fa troppo caldo; questo fumo è irritante. Fintanto che sarete malato, non bruciate carbone; esso contribuisce ad aumentare la vostra oppressione; e i gas che da esso si liberano sono deleteri."

Il vostro amico DEMEURE


"Sono io, Demeure, l'amico del signor Kardec. Vengo per dirgli che io ero accanto a lui al momento dell'incidente che gli è occorso, e che avrebbe potuto essere funesto senza l'intervento efficace al quale sono stato felice di concorrere. Secondo le mie osservazioni e gli insegnamenti che ho attinto da una buona fonte, è evidente, a mio parere, che, tanto prima si opererà la sua disincarnazione e tanto prima potrà compiersi la reincarnazione, attraverso la quale porterà a termine la sua opera. Tuttavia, prima di partire, bisogna ch'egli dia un ultimo sguardo alle opere che devono completare la teoria dottrinale di cui è l'iniziatore. Egli si rende colpevole d'omicidio volontario, poiché contribuisce, con un eccesso di lavoro, alla sua debilitazione organica, che lo minaccia d'una improvvisa partenza verso il nostro mondo. Non bisogna temere di dirgli tutta la verità, affinché stia in guardia e segua alla lettera le nostre prescrizioni."
DEMEURE

La comunicazione che segue è stata ottenuta a Montauban, il 26 gennaio, l'indomani della sua morte, nella cerchia dei suoi amici spiritisti ch'egli aveva in quella città.

"Antoine Demeure. Per voi, miei buoni amici, io non sono morto. Sono morto solo per coloro che non conoscono, come voi conoscete, questa santa dottrina che riunisce coloro che si sono amati su questa Terra, e che hanno avuto i medesimi pensieri e i medesimi sentimenti d'amore e di carità.

Io sono felice, più felice di quanto potessi sperare, poiché godo di una lucidità che è rara negli Spiriti liberatisi della materia da così poco tempo. Prendete coraggio, miei buoni amici; io sarò spesso presso di voi, e non mancherò d'istruirvi su molte cose, che ignoriamo quando siamo attaccati alla nostra povera materia, la quale ci nasconde tante magnificenze e tante gioie. Pregate per coloro che sono privi di questa felicità, perché essi non sanno il male che fanno a sé stessi.

Oggi non continuerò più a lungo, ma voglio dirvi che io non mi sento del tutto estraneo in questo mondo degli invisibili; mi sembra di avervi sempre abitato. Qui io sono felice, perché qui vedo i miei amici e posso comunicare con loro tutte le volte che lo desidero.

Non piangete, amici miei: mi fareste rimpiangere di avervi conosciuto. Lasciate fare al tempo, e Dio vi condurrà a questa dimora dove dovremo trovarci riuniti tutti insieme. Buonasera, amici miei: che Dio vi consoli. Io sono accanto a voi."

DEMEURE


Un'altra lettera, da Montauban, contiene il racconto che segue. "Avevamo nascosto alla signora G., medium veggente e sonnambula lucidissima, la morte del dottor Demeure per rispettare la sua estrema sensibilità. E il buon dottore, assecondando le nostre intenzioni, aveva evitato di manifestarsi a lei. Il 10 febbraio scorso, eravamo tutti riuniti, su invito delle nostre guide, le quali — dicevano — volevano confortare la signora G. per una lussazione di cui soffriva crudelmente dal giorno prima. Noi non ne sapevamo niente di più ed eravamo lontani dall'attenderci la sorpresa che ci stavano preparando. Non appena la signora fu in stato di sonnambulismo, cominciò a lanciare grida strazianti, mostrando il suo piede. Ed ecco che cosa accadde.

La signora G. vedeva uno Spirito chino sulla sua gamba, ma il suo viso le rimaneva nascosto; egli effettuava frizioni e massaggi, esercitando di quando in quando sulla parte malata una trazione longitudinale, esattamente come avrebbe potuto fare un medico. L'operazione era così dolorosa che la paziente si lasciava andare talvolta a urla e a movimenti scoordinati. Ma la crisi non ebbe lunga durata; in capo a dieci minuti ogni traccia di lussazione era scomparsa, niente più infiammazione, e il piede aveva ripreso il suo aspetto normale. La signora G. era guarita.

Tuttavia lo Spirito continuava a rimanere sconosciuto alla medium e insisteva a non mostrare il viso. Egli aveva anzi l'aria di volersene fuggir via, quando d'un balzo la nostra malata, che fino a qualche minuto prima non poteva fare un passo, si slancia in mezzo alla stanza per prendere e stringere la mano del suo dottore spirituale. Anche questa volta lo Spirito aveva voltato la testa lasciandole la mano nella sua. A quel punto la signora G. getta un grido e cade svenuta sul pavimento. Aveva appena riconosciuto nello Spirito guaritore il dottor Demeure. Durante la sincope, la signora ricevette le cure premurose di molti simpatici Spiriti. Infine, avendo recuperato la lucidità sonnambolica, ella parlò con gli Spiriti, scambiando con loro calorose strette di mano; soprattutto con lo Spirito del dottore, il quale rispondeva alle sue testimonianze di affetto irradiandola con un fluido riparatore.

Questa scena non è forse sorprendentemente drammatica? E non ci si immaginerebbe forse di vedere tutti questi personaggi giocare il loro ruolo nella vita umana? Non è forse questa una prova, tra le mille, che gli Spiriti sono esseri reali, aventi un corpo, e che agiscono come facevano prima sulla Terra? Noi eravamo felici di ritrovare spiritualizzato il nostro amico, il nostro amico con il suo splendido cuore e la sua delicata premura. Egli era stato, durante la sua vita, il medico della medium; conosceva la sua profonda sensibilità e aveva avuto cura di lei, come di una sua figlia. Questa prova d'identità, data a coloro che lo Spirito amava, non è stupefacente? E non è forse fatta proprio per farci considerare la vita futura sotto il suo aspetto più consolante?"

Osservazione: La condizione del dottor Demeure, come Spirito, è proprio quella che poteva far presentire la sua vita così degnamente e utilmente vissuta. Ma un altro fatto non meno istruttivo si evince da queste comunicazioni, cioè l'attività ch'egli svolge, quasi immediatamente dopo la sua morte, per rendersi utile. Per la sua profonda intelligenza e per le sue qualità morali, egli appartiene all'ordine degli Spiriti molto avanzati; egli è felice, ma la sua felicità non è l'inattività. Fino a pochi giorni prima della sua morte, egli curava i malati come medico, e, appena liberatosi della materia, si affretta ad andare a curarli come Spirito. Che cosa si guadagna dunque nell'essere nell'altro mondo, diranno certuni, se non vi si gode di alcun riposo? In risposta a ciò noi innanzitutto chiederemmo loro se non significa niente non aver più né gli affanni né i bisogni né le infermità della vita, essere liberi, poter percorrere senza fatica lo Spazio con la rapidità del pensiero e andare a vedere i propri amici a qualsiasi ora e a qualsiasi distanza essi si trovino. Poi aggiungeremmo: quando sarete nell'altro mondo, niente e nessuno vi obbligheranno a fare una qualsiasi cosa; voi sarete perfettamente liberi di rimanere in un ozio beato quanto a lungo vi piacerà; ma vi stancherete ben presto di questo ozio egoistico e sarete voi i primi a cercare una occupazione. Allora vi sarà risposto: se a non far niente vi annoiate, cercatevi voi stessi qualcosa da fare; le occasioni per rendersi utili non mancano, tanto nel mondo degli Spiriti quanto fra gli uomini. È così che l'attività spirituale non è una costrizione, ma un'esigenza, una soddisfazione per gli Spiriti, i quali ricercano le occupazioni in rapporto ai loro gusti e alle loro attitudini e scelgono di preferenza quelle che possono concorrere al loro avanzamento.

Sixdeniers

Uomo dabbene, morto in un incidente, da vivo, conosciuto dal medium

(Bordeaux, 11 febbraio 1861)

— Potete darmi alcuni dettagli sulla vostra morte?

«Dettagli sulla mia morte, dopo essere annegato, sì.»

— Perché non prima?

«Perché già li conosci» (Il medium effettivamente li conosceva).

— Vogliate dunque descrivermi le vostre sensazioni dopo la morte.

«È trascorso molto tempo prima di riconoscermi, ma con la grazia di Dio e con l'aiuto di coloro che mi circondavano, quando si è fatta luce, ne sono stato inondato. Puoi ben sperare: sempre troverai più di quanto t'attendi. Niente di materiale; tutto colpisce i sensi nascosti; tutto ciò che non può toccare né l'occhio né la mano. Mi comprendi? Si tratta di un'estasi spirituale che supera il vostro intendimento, perché non ci sono parole per spiegarla: solo l'anima può percepirla.

Il mio risveglio è stato molto felice. La vita è uno di quei sogni che, nonostante l'idea grottesca che si attribuisce a questa parola, posso solo definire come un incubo spaventoso. Immagina di essere chiuso in un carcere infetto; immagina che il tuo corpo, roso dai vermi che penetrano fin nel midollo delle ossa, sia sospeso sopra una fornace ardente; che la tua bocca riarsa non trovi neppure l'aria per rinfrescarla; che il tuo Spirito colpito dall'onore non veda intorno a te che mostri pronti a divorarti; figurati, infine, tutto ciò che di più odioso, di più orribile un sogno fantastico può generare, e trovati tutt'a un tratto trasportato in un Eden delizioso. Svegliati circondato da tutti coloro che tu hai amato e pianto; guarda intorno a te i loro adorati volti che ti sorridono di gioia; respira i più soavi odori; rinfrescati la gola riarsa alla sorgente d'acqua viva; senti come il tuo corpo si elevi nello Spazio infinito, che lo trasporta e lo culla come fa la brezza con un fiore staccato dalla cima di un albero; sentiti avvolto dall'amore di Dio, come il bimbo che nasce è avviluppato dall'amore di sua madre. E, pur con tutto ciò, tu non avrai che un'idea imperfetta di questa transizione. Io ho cercato di spiegarti la felicità della vita che attende l'uomo dopo la morte del suo corpo, ma non ho potuto farlo che blandamente. Si spiega forse l'infinito a colui che ha gli occhi chiusi alla luce e le cui membra non sono mai potute uscire dallo stretto cerchio in cui sono racchiuse? Per spiegarti la felicità eterna, ti dirò questo: ama! Solo l'amore infatti può farla presentire; e chi dice amore, dice assenza d'egoismo.»

— La vostra situazione è stata felice fin dal vostro ingresso nel mondo degli Spiriti?

«No. Dovetti pagare il debito dell'uomo. Il mio cuore mi aveva fatto presentire l'avvenire dello Spirito, ma mi mancava la fede. E ho dovuto espiare la mia indifferenza verso il mio Creatore, ma la Sua misericordia ha tenuto conto di quel poco di bene che avevo potuto fare, dei dolori che avevo sopportato con rassegnazione nonostante la mia sofferenza. La Sua giustizia, inoltre, che ha una bilancia che gli uomini non comprenderanno mai, ha pesato il bene con tanta bontà e tanto amore che il male è stato velocemente cancellato.»

— Vorreste darmi notizie di vostra figlia? (Morta quattro o cinque anni dopo la morte del padre.)

«È in missione sulla vostra Terra.»

— Ed è felice come incarnata? Ma non vorrei farvi una domanda indiscreta.

«Lo so bene: non vedo io forse il tuo pensiero come un quadro davanti ai miei occhi? No. Come creatura incarnata non è felice, al contrario. Devono attenderla tutte le miserie della vostra vita; ma essa deve predicare con l'esempio quelle grandi virtù da cui voi traete grandi parole; io l'aiuterò, perché devo vegliare su di lei; ma lei non farà grande fatica a superare gli ostacoli. Ella non è in espiazione, ma in missione. Rassicurati dunque per lei, e grazie del tuo ricordo.» In questo momento, il medium prova una certa difficoltà a scrivere e dice: "Se c'è uno Spirito sofferente che mi sta fermando, io lo prego di inserirsi".

«Una infelice.»

— Vogliate dirmi il vostro nome.

«Valerie.»

— Volete dirmi che cosa ha attirato il castigo su di voi?

«No.»

— Siete pentita dei vostri errori?

«Tu lo vedi bene.»

— Chi vi ha condotto qui?

«Sixdeniers.»

— Con qual fine lo ha fatto?

«Perché tu possa aiutarmi.»

— Siete voi che mi avete impedito di scrivere poco fa?

«Mi ha messo al suo posto.»

— Che rapporto c'è fra voi due?

«Lui mi guida.»

— Domandategli di unirsi a noi per la preghiera. (Dopo la preghiera, Sixdeniers riprende.)

«Grazie per lei. Hai capito. Non ti dimenticherò. Pensa a lei.»

— (A Sixdeniers) Come Spirito, avete molti Spiriti sofferenti da guidare?

«No. Ma non appena ne abbiamo ricondotto uno al bene, ne prendiamo un altro, senza per questo abbandonare i primi.»

— Come potete sopperire a una sorveglianza che deve moltiplicarsi all'infinito, nei secoli?

«Tu comprendi che quelli che abbiamo ricondotto al bene si purificano e progrediscono; dunque comportano per noi meno fatica; nello stesso tempo, poi, eleviamo noi stessi, e, nell'ascesa, le nostre facoltà progrediscono e il nostro potere risplende proporzionalmente alla nostra purezza.»

Osservazione: Gli Spiriti inferiori sono dunque assistiti dagli Spiriti buoni che hanno la missione di guidarli; questo compito non è affidato esclusivamente agli incarnati, ma questi devono concorrervi, poiché è per loro un mezzo di avanzamento. Allorché uno Spirito inferiore viene a mettersi di traverso durante una buona comunicazione, come nel presente caso, senza dubbio non sempre lo fa con buone intenzioni, ma gli Spiriti buoni lo permettono, sia come prova, sia perché colui al quale lo Spirito inferiore si rivolge lavori al suo miglioramento. La sua persistenza, è vero, degenera a volte in ossessione, ma più essa è tenace, più dimostra quanto grande sia il bisogno di aiuto. È quindi un errore respingerlo; bisogna considerarlo come un povero che venga a chiedere l'elemosina, e dirsi: "È uno Spirito infelice che i buoni Spiriti mi inviano per provvedere alla sua educazione. Se vi riuscissi, avrei la gioia di aver ricondotto un'anima al bene e di aver abbreviato le sue sofferenze". Questo compito è spesso faticoso; senza dubbio sarebbe più piacevole avere sempre delle belle comunicazioni e conversare soltanto con Spiriti di propria scelta. Ma non è cercando solo la propria soddisfazione e rifiutando le occasioni che ci si offrono per fare il bene, che meriteremo la protezione dei buoni Spiriti.

Il signor Van Durst

Ex funzionario, morto ad Anversa nel 1863, all'età di ottant'anni

Poco tempo dopo la sua morte, avendo un medium domandato alla sua guida spirituale se si poteva evocarlo, gli fu cosi risposto: "Questo Spirito sta lentamente uscendo dal suo turbamento. Egli potrebbe già rispondervi, ma la comunicazione gli costerebbe troppa fatica. Vi prego perciò di attendere ancora quattro giorni, ed egli vi risponderà. Da qui ad allora egli saprà delle buone intenzioni che voi avete espresso nei suoi riguardi, e vi verrà incontro riconoscente e da buon amico".

Quattro giorni più tardi lo Spirito dettò quanto segue:

"Amico mio, la mia vita fu di ben poco peso sulla bilancia dell'eternità; tuttavia io sono lontano dall'essere infelice; mi trovo nella condizione modesta, ma relativamente felice, di colui che praticò poco il male, senza per questo mirare alla perfezione. Se ci sono persone felici in una piccola sfera, ebbene, io sono tra queste! Non rimpiango che una cosa, ed è quella di non aver conosciuto ciò che voi ora sapete; il mio turbamento sarebbe stato meno lungo e meno penoso. Esso, in effetti, è stato grande: un vivere e non vivere; vedere il proprio corpo, esservi fortemente attaccato, e tuttavia non poter più servirsene; vedere quelli che abbiamo amato e sentire il pensiero, che ci unisce a loro, affievolirsi. Oh, come è terribile! Oh, che momento crudele! Che momento quello, allorché lo stordimento vi afferra e vi soffoca! E, un istante dopo, le tenebre. Sentire e, un istante dopo, essere annientati. Si vuole avere la coscienza del proprio io, e non si può ritrovarla; non si esiste più, e tuttavia si sente che si esiste; ma ci si trova in un turbamento profondo! E poi, dopo un tempo incommensurabile, un tempo di angosce represse, perché non si ha più la forza di sentirle, dopo questo tempo che pare interminabile, rinascere lentamente alla vita:

svegliarsi in un mondo nuovo! Niente più corpo materiale, niente più vita terrena: la vita immortale! Niente più uomini carnali, ma forme leggere, Spiriti che vagano da ogni parte, che volteggiano intorno a voi; e voi non potete abbracciarli tutti con lo sguardo, perché è nell'infinito ch'essi fluttuano! Avere davanti a sé lo spazio e poterlo varcare con la sola volontà; comunicare attraverso il pensiero con tutto ciò che vi circonda! Amico, quale nuova vita! Quale vita brillante! Quale vita di gioie!... Salve! Oh, salve eternità, che mi serri nel tuo seno!... Addio, Terra, che così a lungo mi trattenesti lontano dall'elemento naturale della mia anima! No. Io non voglio più saperne di te, perché tu sei terra d'esilio, e la tua più grande felicità è un nulla!

Ma se io avessi saputo ciò che voi sapete, quanto questa iniziazione all'altra vita mi sarebbe stata più facile e più piacevole! Avrei saputo prima di morire ciò che ho dovuto apprendere più tardi, al momento della separazione dal corpo, e la mia anima si sarebbe liberata più facilmente. Voi siete sulla via, ma non andrete mai e poi mai troppo lontano! Ditelo a mio figlio, ma diteglielo tante e tante volte finché vi creda e s'istruisca; allora, al suo arrivo qui, non saremo separati.

Addio a tutti, amici, addio. Vi attendo e, per tutto il tempo che voi sarete sulla Terra, verrò spesso a istruirmi presso di voi, perché io ancora non so tanto quanto parecchi di voi sanno. Ma imparerò velocemente qui, dove non ho più ostacoli che mi trattengono, e dove non ho più gli anni a indebolire le mie forze. Qui si vive a grandi tratti e si avanza, perché si vedono davanti a sé orizzonti così belli che si è impazienti di abbracciarli.

Addio, vi lascio, addio."

VAN DURST

Samuel Philippe

Samuel Philippe era un uomo dabbene, nella totale accezione del termine. Nessuno ricordava di avergli mai visto commettere una cattiva azione, né fare volontariamente un torto a chicchessia. D'una devozione senza limiti verso i suoi amici, si poteva star certi di trovarlo sempre disponibile quando si trattava di fare un favore, fors'anche a scapito dei suoi interessi. Pene, fatiche, sacrifici, nulla gli impediva di essere utile, ed egli faceva tutto naturalmente, senza alcuna ostentazione, meravigliandosi anzi che gliene si facesse un merito. Giammai ne ha voluto a coloro che gli avevano fatto del male, e poneva, nel rendere loro dei piaceri, altrettanta sollecitudine che se gli avessero fatto del bene. Quando aveva a che fare con degli ingrati, diceva: "Non me bisogna compiangere, bensì loro". Benché molto intelligente e benché dotato naturalmente di molto spirito, la sua vita, interamente fatta di lavoro, era stata oscura e disseminata di dure prove. Era una di quelle nature elette che fioriscono nell'ombra, di cui il mondo non parla, e il cui splendore non erompe su questa terra. Egli aveva attinto dalla conoscenza dello Spiritismo un'ardente fede nella vita futura e una grande rassegnazione riguardo ai mali della vita terrena. È morto nel dicembre del 1862, all'età di cinquant'anni, in seguito a una dolorosa malattia, sinceramente rimpianto dalla sua famiglia e dagli amici. È stato evocato parecchi mesi dopo la sua morte.

— Avete un ricordo preciso dei vostri ultimi istanti sulla Terra?

«Certamente. Questo ricordo mi è ritornato poco a poco, poiché in quel momento le mie idee erano ancora confuse.»

— Vorreste descriverci, per nostra istruzione e per l'interesse che ci ispira la vostra vita esemplare, come per voi si è effettuato il passaggio dalla vita corporale alla vita spirituale? E qual è la vostra situazione nel mondo degli Spiriti?

«Questa relazione non sarà utile soltanto a voi, ma lo sarà anche a me. Riportando i miei pensieri sulla Terra, il confronto mi farà ancor meglio apprezzare la bontà del Creatore.

Voi sapete di quante tribolazioni è stata disseminata la mia vita; ma io, grazie a Dio, non ho mai mancato di coraggio nelle avversità. E oggi ne gioisco. Quante cose avrei perduto se avessi ceduto allo scoraggiamento! E ancora tremo al solo pensiero che, per una mia debolezza, ciò che ho sopportato sarebbe stato senza alcuna utilità e tutto sarebbe stato da ricominciare daccapo. Oh, amici miei, possiate voi intimamente compenetrarvi in questa verità! Ne va della vostra felicità futura. No, siatene certi, non significa acquistare questa felicità a un prezzo troppo alto il pagarla con alcuni anni di sofferenza. Ah, se voi sapeste quanto siano pochi alcuni anni di fronte all'infinito!

Se la mia ultima esistenza ha avuto, ai vostri occhi, qualche merito, non altrettanto avreste detto di quelle che l'hanno preceduta. È a forza di lavoro su me stesso che io sono diventato quello che adesso sono. Per cancellare le ultime tracce dei miei errori anteriori, era necessario che io subissi ancora queste ultime prove che ho volontariamente accettato. Dalla fermezza delle mie risoluzioni ho attinto la forza per sopportarle senza lamentele. Oggi, quelle prove, io le benedico; grazie a esse, ho rotto con il passato, che per me altro non è che un ricordo, e posso ormai contemplare con legittima soddisfazione il cammino che ho percorso.

Oh voi, che mi avete fatto soffrire sulla Terra, che siete stati duri e maldisposti verso di me, che mi avete umiliato e riempito d'amarezza, o voi, la cui malafede mi ha spesso indotto alle più dure privazioni, non solo io vi perdono, ma vi ringrazio. Volendo farmi del male, voi non sospettavate che mi stavate facendo altrettanto bene.

È vero, pertanto, che è a voi che io devo in gran parte la felicità di cui ora godo, perché voi mi avete fornito l'occasione di perdonare e di rendere bene per male. Dio vi ha messo sulla mia strada per saggiare la mia pazienza, e perché io mi esercitassi nella pratica della carità, quella più difficile: l'amore per i propri nemici.

Non perdete la pazienza per questa mia digressione. Arrivo subito a ciò che mi avete domandato.

Nella mia ultima malattia, pur soffrendo crudelmente, io non ho avuto agonia; la morte è venuta per me, come viene il sonno, senza lotte e senza scosse. Non avendo alcun genere di apprensione per il futuro, non mi sono avvinghiato alla vita; non ho dovuto, di conseguenza, dibattermi sotto le ultime strette; la separazione si è conclusa senza sforzi, senza dolore e senza che io me ne accorgessi.

Non so quanto sia durato quest'ultimo sonno, ma credo sia stato breve. Il risveglio è stato di una calma che contrastava con il mio stato precedente. Non avvertivo più dolore e ne gioivo; volevo alzarmi, camminare, ma un intorpidimento che però non aveva niente di sgradevole, che aveva anzi una certa attrattiva, mi tratteneva, e io mi ci abbandonavo con una sorta di voluttà senza affatto rendermi conto della mia situazione e senza sospettare di aver lasciato la Terra. Ciò che mi circondava mi appariva come in un sogno. Vidi mia moglie e alcuni miei amici, in ginocchio nella stanza, che piangevano, e io mi dissi che senza dubbio essi mi credevano morto. Volli disincantarli, ma non riuscii ad articolare parola, dal che dedussi che stavo sognando. Ciò che mi confermò questa idea è il fatto che io mi vidi attorniato da molte persone care, morte da tempo, e da altre che di primo acchito non riconobbi, e che sembravano vegliare su di me e attendere il mio risveglio.

Questo stato fu inframmezzato da momenti di lucidità e di torpore, durante i quali recuperavo e perdevo alternativamente la coscienza del mio Io. A poco, a poco le mie idee acquisirono una maggiore nitidezza; la luce che intravedevo solo attraverso una specie di nebbia, divenne più brillante; allora incominciai a riconoscermi e compresi che non appartenevo più al mondo terreno. Se non avessi conosciuto lo Spiritismo, l'illusione si sarebbe senza dubbio protratta molto più a lungo.

La mia spoglia mortale non era stata ancora seppellita. La considerai con pietà, gioendo di essermene alla fine sbarazzato. Ero così felice di essere libero! Respiravo perfettamente a mio agio, come qualcuno che esca da un'atmosfera nauseabonda; una indicibile sensazione di felicità penetrava tutto il mio essere. La presenza di coloro che io avevo amato mi colmava di gioia, né ero per nulla sorpreso di vederli; ciò mi sembrava del tutto naturale, ma mi pareva di rivederli dopo un lungo viaggio. Una cosa mi stupì subito, ed era il fatto che ci comprendessimo senza articolare alcuna parola; i nostri pensieri si trasmettevano attraverso il solo sguardo e come per una penetrazione fluidica.

Tuttavia io non mi ero ancora del tutto liberato dalle idee terrene; il ricordo di ciò che avevo sopportato mi ritornava di tanto in tanto alla memoria, come per farmi meglio apprezzare la mia nuova situazione. Avevo sofferto fisicamente, ma soprattutto moralmente; ero stato bersaglio della maldicenza, di quelle mille preoccupazioni più penose forse a sopportarsi delle sofferenze reali, poiché sono causa di un'ansietà perpetua. Quella impressione non mi si era ancora completamente cancellata, e a volte io mi chiedevo se me ne fossi realmente liberato; mi sembrava di udire ancora certe sgradevoli voci; temevo quegli imbarazzi che tanto spesso mi avevano tormentato e, mio malgrado, tremavo. Mi tastavo, per così dire, per assicurarmi che non ero vittima di un sogno. E, quando raggiunsi la certezza che tutto quello era per davvero finito, mi sembrò che un peso enorme mi fosse stato levato via. È dunque vero, mi dicevo, che sono alfine libero da tutte quelle preoccupazioni che costituiscono il tormento della vita. E ne rendevo grazie a Dio. Ero come un povero al quale tutt'a un tratto tocchi in sorte una grande fortuna; per qualche tempo egli dubita della realtà e avverte ancora le apprensioni del bisogno. Oh, se gli uomini concepissero la vita futura! Quale forza, quale coraggio darebbe loro questo convincimento nelle avversità! Che cosa essi non farebbero, mentre sono sulla Terra, per assicurarsi la felicità che Dio riserva a quanti dei Suoi figli sono stati ligi alle Sue leggi! Vedrebbero essi quanto le gioie che invidiano siano ben poca cosa a fronte di quelle che trascurano!»

— Questo mondo — per voi così nuovo e al cui confronto il nostro è sì poca cosa — e i numerosi amici, che qui avete ritrovato, vi hanno fatto forse perdere di vista la vostra famiglia e i vostri amici ancora sulla Terra?

«Se li avessi dimenticati, sarei indegno della felicità di cui godo: Dio non ricompensa l'egoismo, lo punisce. Il mondo in cui mi trovo può farmi disdegnare la Terra, ma non gli Spiriti che vi sono incarnati. È soltanto fra gli uomini che notiamo come la prosperità faccia dimenticare i compagni di sventura. Io vado spesso a rivedere i miei; sono felice del buon ricordo ch'essi hanno serbato di me. Il loro pensiero mi attrae verso di loro; assisto alle loro conversazioni, gioisco delle loro gioie, le loro pene mi rattristano, ma non si tratta più di quella tristezza ansiosa della vita umana, perché comprendo che quelle pene non sono che temporanee e sono per il loro bene. Io sono felice al pensiero che un giorno essi verranno in questa fortunata dimora dove il dolore è sconosciuto. È in ciò che io mi impegno, al fine di renderli meritevoli di questo. Mi sforzo di suggerir loro la rassegnazione, che io stesso ho avuto, alla volontà di Dio. La mia più grande pena è quella di vederli protrarre questo momento con la loro mancanza di coraggio, con le loro lamentele, con i loro dubbi sull'avvenire o con qualche azione biasimevole. Cerco allora di allontanarli dalla cattiva strada; se ci riesco, è una grande felicità per me, e tutti qui ne esultiamo; se fallisco, mi dico con amarezza: ancora, per loro, un ritardo. Mami consolo pensando che nulla è irrimediabilmente perduto.»

Il signor Jobard

Direttore del Museo dell'Industria di Bruxelles; nato a Bissey (Alta Marna); morto a Bruxelles, d'un attacco di apoplessia fulminante, il 27 ottobre 1861, all'età di sessantanove anni

Il signor Jobard era presidente onorario della Società Spiritista di Parigi. Si era stabilito di evocarlo nella seduta dell'8 novembre, allorché egli prevenne il nostro desiderio, dandoci spontaneamente la comunicazione che segue.

"Eccomi, sono quello che voi state per evocare, e voglio manifestarmi subito al medium che finora ho vanamente sollecitato.

Innanzi tutto voglio raccontarvi le impressioni da me provate al momento della separazione della mia anima: ho avvertito in me una scossa incredibile, di colpo mi sono ricordato della mia nascita, della mia giovinezza, della mia età matura; tutta la mia vita è sfilata nitida nella mia memoria. Non provavo che un pio desiderio: quello di ritrovarmi nelle regioni rivelate dalla cara credenza; poi, tutto questo tumulto si è calmato. Io ero libero, e il mio corpo giaceva inerte. Ah, miei cari amici, quale ebbrezza liberarsi del peso del corpo! Quale ebbrezza abbracciare lo Spazio! Non dovete pensare tuttavia che io sia diventato tutt'a un tratto un eletto del Signore. No. Io mi trovo tra quegli Spiriti che, avendo imparato qualcosa, molto devono ancora imparare. Non ho tardato a ricordarmi di voi, miei fratelli in esilio, e, ve lo assicuro, siete stati circondati da tutta la mia simpatia e da tutti i miei auguri.

Volete sapere quali sono gli Spiriti che mi hanno ricevuto? Quali sono state le mie impressioni? Mi sono stati amici tutti coloro che noi evochiamo, tutti i fratelli che hanno partecipato ai nostri lavori. Ho conosciuto lo splendore, ma non riesco a descriverlo. Mi sono applicato per ravvisare ciò che c'era di vero nelle comunicazioni, pronto a rettificare tutte le asserzioni erronee; pronto, infine, a essere il cavaliere della verità nell'altro mondo come lo sono stato nel vostro."

Jobard

1. Quando eravate vivo, ci avevate raccomandato di chiamarvi quando avreste lasciato la Terra; lo stiamo facendo, non solo per conformarci al vostro desiderio, ma soprattutto per rinnovarvi la testimonianza della nostra vivissima e sincera simpatia, e anche nell'interesse della nostra istruzione, poiché voi, come nessun altro, siete in grado di offrirci degli insegnamenti precisi riguardo al mondo in cui vi trovate. Saremmo dunque felici se voi voleste rispondere alle nostre domande.

«In questo momento, ciò che importa di più è la vostra istruzione. Riguardo alla vostra simpatia, io la vedo e non ne avverto più la manifestazione solo attraverso le orecchie, la qual cosa costituisce un grande progresso.»

2. Per meglio fissare le nostre idee e per non parlare in modo vago, vi domanderemo subito quale posto, qui, voi occupate, e come vi vedremmo se potessimo vedervi.

«Mi trovo vicino al medium, e voi mi vedreste sotto le apparenze di quel Jobard che sedeva al vostro tavolo, poiché i vostri occhi mortali, ancora bendati, possano vedere gli Spiriti solo sotto le loro apparenze mortali.»

3. Avreste voi la possibilità di rendervi visibile a noi? E se non lo potete, che cosa vi si oppone?

«La predisposizione che, riguardo a ciò, voi avete e che è del tutto personale. Un medium veggente mi vedrebbe, ma gli altri non mi vedono.»

4. Questo posto è quello che voi occupavate da vivo, quando assistevate alle nostre sedute, e che noi vi abbiamo riservato. Quindi coloro che vi hanno visto qui devono immaginare di vedervi qui tale e quale eravate allora. Se non ci siete con il vostro corpo materiale, ci siete con il vostro corpo fluidico che ha la medesima forma. Se noi non vi vediamo con gli occhi del corpo, vi vediamo con quelli del pensiero; se voi non potete comunicare con la parola, potete farlo attraverso la scrittura con l'aiuto di un medium. I nostri rapporti con voi non sono dunque affatto interrotti a causa della vostra morte, e possiamo intrattenerci con voi altrettanto facilmente e altrettanto completamente come le altre volte. È dunque così che stanno le cose?

«Sì. E voi lo sapete da molto tempo. Occuperò spesso questo posto, e anche a vostra insaputa, perché il mio Spirito abiterà fra di voi.»

Osservazione: Richiamiamo l'attenzione su quest'ultima frase: "Il mio Spirito abiterà fra di voi". In questo caso, non si tratta di una figura retorica, ma di una realtà. In virtù della conoscenza che lo Spiritismo ci dà sulla natura degli Spiriti, sappiamo che uno Spirito può essere tra di noi non solamente con il pensiero, ma di persona, per mezzo del suo corpo etereo, che fa di lui una individualità ben distinta. Uno Spirito può dunque abitare tra di noi dopo la morte, come da vivo con il suo corpo; anzi, meglio ancora, poiché può andare e venire quando vuole. Noi abbiamo così una folla di ospiti invisibili, alcuni indifferenti, altri che sono a noi legati dall'affetto. È a questi ultimi soprattutto che si addice questa frase: "Essi abitano fra di noi," che può così tradursi: essi ci assistono, ci ispirano e ci proteggono.

5. Non è molto che, da vivo, voi sedevate in questo medesimo posto; le condizioni nelle quali vi trovate ora vi sembrano strane? Quale effetto produce in voi questo cambiamento?

«Queste condizioni non mi sembrano affatto strane, poiché il mio Spirito disincarnato gode di una chiarezza che non lascia in ombra nessuna delle questioni ch'egli considera.»

6. Vi ricordate di essere stato in questa medesima condizione prima della vostra ultima esistenza? E vi trovate in qualcosa cambiato?

«Ricordo le mie anteriori esistenze e trovo che sono migliorato; per questo mi identifico con ciò che vedo. All'epoca delle mie precedenti incarnazioni — il mio Spirito era turbato — mi accorgevo soltanto delle lacune terrene.»

7. Vi ricordate della vostra penultima esistenza, di quella che precedette l'esistenza del signor Jobard?

«Nella mia penultima esistenza, io ero un operaio meccanico, tormentato dalla miseria e dal desiderio di perfezionarmi nel mio lavoro. Ho realizzato, diventando Jobard, i sogni del povero operaio, e lodo Dio la cui bontà infinita ha fatto germogliare la pianta, di cui aveva deposto il seme nel mio cervello.»

8. Voi avete già comunicato da qualche altra parte?

«Finora non ho comunicato che molto poco. In molti luoghi, uno Spirito ha preso il mio nome; a volte ero vicino a lui, senza poterlo fare direttamente; la mia morte è così recente che ancora sono soggetto a certe influenze terrene. Dev'esserci una perfetta simpatia perché io possa esprimere il mio pensiero. Fra poco agirò incondizionatamente; ma, lo ripeto, attualmente non posso ancora farlo. Quando un uomo alquanto conosciuto muore, viene chiamato da tutte le parti; mille Spiriti s'impegnano a rivestire la sua individualità; è ciò che è accaduto anche a me in parecchie circostanze. Io vi assicuro che subito dopo la liberazione, non sono molti gli Spiriti che possono comunicare, neppure con il medium preferito.»

9. Vedete gli Spiriti, che sono qui con noi?

«Io vedo soprattutto Lazzaro ed Éraste, poi, più lontano, lo Spirito di Verità che plana nello Spazio; poi una folla di Spiriti amici, i quali vi attorniano solleciti e benevoli. Siate felici, amici, poiché buone influenze vi contendono alle calamità dell'errore.»

10. Quand'eravate vivo, voi condividevate l'opinione che era stata formulata sulla formazione della Terra, che essa, cioè, risulterebbe dall'incrostazione di quattro pianeti che sarebbero stati saldati insieme. Siete sempre di questa stessa opinione?

«Si tratta di un errore. Le recenti scoperte geologiche provano le convulsioni della Terra e la sua successiva formazione. La Terra, come gli altri pianeti, ha avuto la sua propria vita, e Dio non ha avuto bisogno di quel grande disordine o di quella aggregazione di pianeti. L'acqua e il fuoco sono i soli elementi organici della Terra.»

11. Voi pensavate anche che gli uomini potessero entrare in catalessi per un tempo illimitato? E che il genere umano fosse apparso sulla Terra in questo modo?

«Illusione della mia immaginazione che superava sempre il limite. La catalessi può essere lunga, ma non indeterminata. Tradizioni, grossolane leggende elaborate dall'immaginazione orientale. Amici miei, io ho già molto sofferto riandando col pensiero alle illusioni di cui ho nutrito il mio spirito: non ingannatevi a questo riguardo. Molto avevo appreso e, posso ben dirlo, la mia intelligenza, pronta ad appropriarsi di questi vasti e diversi studi, aveva mantenuto nella mia ultima incarnazione l'amore per il meraviglioso e per il complicato, attinto dalle immaginazioni popolari.

Io, per ora, mi sono poco occupato delle questioni puramente intellettuali, nel senso che intendete voi. E come potrei farlo, abbagliato e incantato come sono dallo spettacolo meraviglioso che mi circonda? Il vincolo dello Spiritismo, più forte di quanto voialtri potete immaginare, è il solo che può attirare il mio essere verso questa Terra che io abbandono, non con gioia — ciò sarebbe un'empietà ma con la profonda riconoscenza della liberazione.»

Al momento della sottoscrizione aperta dalla Società a favore degli operai di Lione, nel febbraio del 1862, un membro ha versato 50 franchi, di cui 25 a suo nome, e 25 a nome del signor Jobard. Questi fece, a tale proposito, la seguente comunicazione:

"Sono felice e riconoscente per non essere stato dimenticato dai miei fratelli spiritisti. Grazie al cuore generoso che vi ha portato l'offerta, che vi avrei data io stesso se avessi ancora abitato il vostro mondo. In quello in cui abito ora, non v'è bisogno di denaro. Perciò ho dovuto attingere nella borsa dell'amicizia per dare la prova materiale che anch'io ero rimasto profondamente turbato dall'infortunio occorso ai miei fratelli di Lione. Onesti lavoratori, che ardentemente coltivate la vigna del Signore, quanto ora dovete credere che la carità non è una vana parola, dal momento che piccoli e grandi vi hanno dimostrato simpatia e fraternità! Siete sulla grande strada umanitaria del progresso: possa Dio mantenervici, e possiate essere più felici. Gli Spiriti amici vi sosterranno, e voi trionferete!

Io incomincio a vivere spiritualmente, più calmo e meno tormentato dalle evocazioni che piovevano su di me da ogni parte. La moda impera anche sugli Spiriti. Quando la 'moda Jobard' farà posto a un'altra moda, e quando io rientrerò nel nulla dell'oblio umano, io, allora, pregherò i miei amici seri — intendo, attraverso questo termine, coloro la cui intelligenza non dimentica — e li pregherò di evocarmi; approfondiremo, allora, quelle questioni trattate troppo superficialmente, e il vostro Jobard, completamente trasfigurato, potrà essere utile, cosa ch'egli si augura di tutto cuore."

Jobard

Dopo i primi tempi, consacrati a rassicurare i suoi amici, il signor Jobard ha preso posto tra gli Spiriti che lavorano attivamente al rinnovamento sociale, attendendo il suo prossimo ritorno tra i vivi per prendere una parte ancora più attiva e diretta a tale movimento. Dopo questo periodo, ha sovente dato alla Società di Parigi, della quale egli tiene molto a restare membro, delle comunicazioni di incontestabile superiorità senza allontanarsi dall'originalità e dalle battute spiritose che costituivano il fondo del suo carattere e che lo fanno riconoscere prima ancora ch'egli vi abbia apposto la sua firma.




Capitolo III - SPIRITI IN UNA CONDIZIONE MEDIA

Joseph Bré

Morto nel 1840, evocato a Bordeaux nel 1862 da una sua nipote

L'uomo onesto secondo Dio o secondo gli uomini

1. Caro nonno, volete dirmi come state tra gli Spiriti e darmi qualche dettaglio istruttivo per il nostro avanzamento?

«Tutto ciò che vorrai, mia cara figliola. Io espio la mia mancanza di fede; ma la bontà di Dio è grande: Egli tiene conto delle circostanze. Soffro, non però come tu potresti intendere; soffro per il rimpianto di non aver impiegato bene il mio tempo sulla Terra.»

2. In che modo non l'avete impiegato bene? Voi avete sempre vissuto da uomo onesto.

«Sì, dal punto di vista degli uomini. Ma c'è un abisso tra l'uomo onesto davanti agli uomini e l'uomo onesto davanti a Dio. Tu vuoi istruirti, cara figliola; e io mi impegnerò a dimostrarti questa differenza!

Fra di voi, un uomo viene stimato onesto, quando rispetta le leggi del suo paese; e questo rispetto è, per molti, alquanto elastico. Quando non fa torto ad alcuno rubandogli manifestamente i suoi beni; ma poi, spesso, si tolgono al prossimo, senza scrupolo alcuno, l'onore e la felicità, dal momento che il vostro codice, o l'opinione pubblica, non può punire l'ipocrita colpevole. Quando ha potuto far incidere sulla sua pietra tombale un lungo elenco di virtù, di cui, fra di voi, ci si vanta e con cui si crede di aver pagato il proprio debito all'Umanità. Quale errore! Non è sufficiente, per essere onesti davanti a Dio, non aver infranto le leggi degli uomini, bisogna innanzi tutto non aver trasgredito le leggi divine.

L'uomo onesto davanti a Dio è colui che, pieno di devozione e amore, consacra la sua vita al bene e al progresso dei suoi simili. È colui che, animato da un fervore che egli attinge nel fine, è operoso nella vita: operoso per adempiere il compito materiale che gli viene assegnato, poiché deve insegnare ai suoi fratelli l'amore per il lavoro; operoso nelle opere buone, poiché non deve dimenticare ch'egli non è che un servitore, al quale il padrone domanderà conto, un giorno, dell'impiego del suo tempo; operoso nel fine, perché deve predicare con l'esempio l'amore verso il Signore e verso il prossimo. L'uomo onesto davanti a Dio deve evitare con cura quelle parole mordenti che, veleno nascosto sotto i fiori, distruggono la reputazione e spesso uccidono l'uomo morale coprendolo di ridicolo. L'uomo onesto davanti a Dio deve sempre avere il cuore sbarrato di fronte al minimo fermento d'orgoglio, d'invidia, di ambizione. Egli deve essere paziente e benevolo con coloro che lo attaccano; deve perdonare dal profondo del cuore, senza troppi sforzi e soprattutto senza ostentazione, chiunque l'abbia offeso; deve amare il suo Creatore in tutte le creature; deve infine mettere in pratica questo compendio così conciso e così grande dei doveri dell'uomo: amare Dio sopra tutte le cose e il proprio prossimo come sé stesso.

Ecco, mia cara figliola, ciò che pressappoco deve essere l'uomo onesto davanti a Dio. Ebbene, ho forse io fatto tutto questo? No. Io sono venuto meno a molte di queste condizioni e qui lo confesso senza arrossire. Non ho avuto l'operosità che l'uomo deve avere. L'oblio nei confronti del Signore mi ha condotto ad altri oblii, i quali, per il fatto di non essere passibili di condanna da parte della legge umana, non per questo cessano di essere delle prevaricazioni verso le leggi di Dio. Quando ho capito questo, ne ho sofferto molto. Ecco perché oggi io spero, ma con la consolante speranza nella bontà di Dio, ch'Egli veda il mio pentimento. Dillo, cara figliola, ripetilo a coloro che hanno la coscienza sporca; possano costoro coprire i loro errori a forza di opere buone, affinché la misericordia di Dio si stenda su di essi. I Suoi occhi paterni calcoleranno le espiazioni, e la Sua mano possente cancellerà le colpe.»

La signora Hélène Michel

Giovane donna di venticinque anni, morì improvvisamente, in pochi istanti, in casa sua, senza sofferenze e senza una causa in precedenza conosciuta. Era ricca, un po' frivola, e, in seguito alla leggerezza del suo carattere, si occupava più delle futilità della vita che delle cose serie; ma, nonostante ciò, era di buon cuore, era dolce, cordiale e caritatevole.

Evocata tre giorni dopo la sua morte, da persone che l'avevano conosciuta, si espresse così:

"Non so dove sono... quale confusione mi circonda!... Voi mi avete chiamata, e io sono venuta... Non capisco perché non sono a casa mia... mi si piange come se non ci fossi, e io sono là, e non posso farmi riconoscere da tutti loro... Il mio corpo non mi appartiene più, e tuttavia lo sento freddo, di ghiaccio... Voglio lasciarlo, e vi sono inchiodata; vi ritorno sempre... Ma io sono due persone... Oh, quando comprenderò ciò che mi accade?... Bisogna che io torni laggiù... il mio altro 'io' che cosa diverrebbe, me assente?... Addio."

Il sentimento della dualità, che non è ancora distrutto da un completo distacco, è qui evidente. Il carattere volubile e la sua condizione patrimoniale, che le permetteva di soddisfare ogni suo capriccio, dovettero favorire le sue naturali tendenze alla leggerezza. Non c'è dunque da meravigliarsi che il suo distacco sia stato poco rapido e che, tre giorni dopo la sua morte, ella si sentisse ancora legata al suo involucro corporale. Ma, siccome non c'era in lei alcun vizio grave e siccome in fondo era buona, questa situazione non aveva nulla di molto penoso e non è durata troppo a lungo. Nuovamente evocata da lì a qualche giorno, le sue idee erano già molto cambiate. Ecco ciò che disse:

"Grazie di aver pregato per me. Riconosco la bontà di Dio, che mi ha risparmiato le sofferenze e l'apprensione al momento del distacco del mio corpo e del mio Spirito. La mia povera madre stenterà molto a rassegnarsi. Ma sarà confortata. E quello che ai suoi occhi è una terribile disgrazia era indispensabile, affinché le cose del Cielo divenissero per lei ciò che devono essere: tutto. Io sarò accanto a lei fino alla fine della sua prova terrena e l'aiuterò a sopportarla. Non sono infelice, ma ho ancora molto da fare, per progredire verso la dimora beata. Pregherò Dio di permettermi di ritornare sulla Terra, perché devo riparare al tempo che vi ho perduto in questa esistenza. Che la fede vi sostenga, amici miei; abbiate fiducia nell'efficacia della preghiera, quando essa parta veramente dal cuore. Dio è buono."

— Siete stata a lungo senza riconoscervi?

«Ho compreso la morte lo stesso giorno in cui voi avete pregato per me.»

— Quello stato di turbamento era uno stato di sofferenza?

«No. Io non soffrivo. Credevo di sognare e attendevo il risveglio. La mia vita non è stata priva di dolori, ma ogni essere incarnato sulla Terra deve soffrire. Io mi sono rassegnata alla volontà di Dio, ed Egli ne ha tenuto conto. Vi sono riconoscente delle preghiere: esse mi hanno aiutato a riconoscermi. Grazie. Vi rivedrò sempre con piacere. Addio.»

Helene

Marchese de Saint-Paul

Morto nel 1860, evocato su richiesta della sorella, membro della Società di Parigi, il 16 marzo del 1861

1. Evocazione. «Eccomi.»

2. La vostra signora sorella ci ha pregato di evocarvi, sebbene sia medium lei stessa. Ma non è abbastanza allenata da sentirsi sicura di sé.

«Cercherò di rispondere facendo del mio meglio.»

3. Ella desidera innanzi tutto sapere se siete felice.

«Sono errante, e questo stato transitorio non porta mai né la felicità né il castigo in modo assoluto.»

4. Siete stato per molto tempo senza riconoscervi?

«Sono rimasto a lungo nel turbamento e non ne sono uscito che per benedire la pietà di coloro che non mi dimenticavano e pregavano per me.»

— Potreste valutare la durata di questo turbamento?

«No.»

5. Quali dei vostri parenti avete subito riconosciuto?

«Ho riconosciuto mia madre e mio padre, i quali mi hanno, tutti e due, accolto al risveglio; loro mi hanno iniziato alla nuova vita.»

6. Come mai, al termine della vostra malattia, voi sembraste conversare con coloro che avevate amato sulla Terra?

«Perché ho avuto, prima di morire, la rivelazione del mondo che avrei abitato. Prima di morire io ero veggente, e i miei occhi si sono velati durante il passaggio della definitiva separazione dal corpo, poiché i legami carnali erano ancora molto vigorosi.»

7. Come mai sembrò che vi tornassero di preferenza i ricordi dell'infanzia?

«Perché l'inizio si identifica più con la fine che con la parte centrale della vita.»

— Come spiegate questo?

«Vuol dire che i moribondi ricordano e vedono, come in un miraggio di consolazione, la purezza infantile dei primi anni.»

È probabilmente per un simile provvidenziale motivo che i vecchi, nella misura in cui si avvicinano al termine della vita, hanno a volte un ricordo così preciso dei minimi dettagli dei loro primi anni.

8. Perché, parlando del vostro corpo, parlavate sempre in terza persona?

«Perché ero veggente, ve l'ho già detto, e perché sentivo nettamente le differenze che esistono tra il fisico e il morale. Queste differenze, legate tra loro dal fluido della vita, diventano evidentissime agli occhi dei moribondi chiaroveggenti.»

È una particolare singolarità quella che la morte di questo signore ha presentato. Nei suoi ultimi istanti, egli diceva in continuazione: "Ha sete, bisogna dargli da bere; ha freddo, bisogna riscaldarlo; soffre nel tal punto ecc". E quando gli si diceva: "Ma siete voi che avete sete?", egli rispondeva: "No. È lui". Qui si delineano perfettamente le due esistenze: l' io pensante è nello Spirito e non nel corpo; lo Spirito, già in parte liberato, considerava il suo corpo come un'altra individualità che, propriamente parlando, non gli apparteneva più. Era dunque al suo corpo che bisognava dar da bere, e non a lui Spirito. Questo fenomeno si osserva anche in taluni sonnambuli.

9. Ciò che avete detto del vostro stato erratico e della durata del vostro turbamento porterebbe a credere che non siete molto felice, e tuttavia le vostre qualità dovrebbero far supporre il contrario. D'altronde ci sono Spiriti erranti che sono felici, come ce ne sono di infelici.

«Io mi trovo in uno stato transitorio. Le virtù umane acquisiscono qui il loro vero valore. Senza dubbio, il mio stato è mille volte preferibile a quello dell'incarnazione terrena, ma ho sempre portato in me le aspirazioni del vero bene e del vero bello, e la mia anima non sarà appagata se non quando volerà ai piedi del suo Creatore.»

Il signor Cardon, medico

Il signor Cardon aveva passato una parte della sua vita nella marina mercantile, in qualità di medico su una baleniera, e lì aveva preso delle abitudini e delle idee un po' materialistiche. Ritiratosi nel villaggio di J., vi esercitava la modesta professione di medico di campagna. Dopo qualche tempo aveva acquisito la certezza di essere stato colpito da una ipertrofia cardiaca. Sapendo che questa malattia è incurabile, il pensiero della morte lo gettava in una cupa malinconia da cui nulla poteva distrarlo. Due mesi prima circa, predisse la sua fine in un determinato giorno. Quando si sentì vicino a morire, radunò attorno a sé la famiglia per darle l'ultimo addio. Sua moglie, sua madre, i suoi tre figli e altri parenti erano raccolti intorno al suo letto; nel momento in cui sua moglie provò a sollevarlo, si accasciò, divenne livido, quasi bluastro, gli occhi gli si chiusero e lo si credette morto; la moglie gli si pose davanti per cercar di nascondere quello spettacolo ai figli. Dopo alcuni minuti egli riaprì gli occhi; i suoi lineamenti, per così dire illuminati, assunsero un'espressione di radiosa beatitudine ed egli gridò: "Oh, figli miei, com'è bello! Com'è sublime! Oh, la morte! Quale beneficio! Quale dolce cosa! Io ero morto e ho sentito la mia anima elevarsi alta, altissima; ma Dio mi ha permesso di ritornare per dirvi: 'Non temete la morte. Essa è la liberazione...' Perché non riesco a descrivervi la magnificenza di ciò che ho visto e le impressioni da cui mi sono sentito penetrare? Ma non potreste comprendere... Oh, figli miei, comportatevi sempre in maniera tale da meritarvi questa ineffabile felicità, riservata agli uomini dabbene! Vivete secondo la carità; se qualcosa possedete, donatene una parte a coloro che mancano del necessario... Sposa mia cara, ti lascio in una condizione che non è propriamente felice; qualcuno ci deve del denaro, ma, te ne scongiuro, non tormentare coloro che ce lo devono; se si trovano in ristrettezze, attendi fino a quando potranno sdebitarsi; e, riguardo a coloro che non lo potranno, fa' di ciò il tuo sacrificio: Dio te ne ricompenserà. Tu, figlio mio, lavora per sostenere tua madre, sii sempre un uomo onesto e guardati dal fare una qualsiasi cosa che possa disonorare la nostra famiglia. Prendi questa croce tramandatami da mia madre; non abbandonarla mai, e che essa ti ricordi i miei ultimi consigli... Figli miei, aiutatevi e sostenetevi l'un l'altro; che la buona armonia regni tra di voi; non siate né vacui né orgogliosi; perdonate ai vostri nemici, se volete che Dio perdoni voi..." Poi, avendo fatto avvicinare a sé i suoi figli, tese verso di loro le mani e aggiunse: "Vi benedico, figli miei". E questa volta i suoi occhi si chiusero per sempre. Ma i suoi lineamenti conservarono una espressione così solenne che, fino al momento in cui fu sepolto, una folla numerosa andò a contemplarlo con ammirazione.

Poiché tali interessanti dettagli ci sono stati forniti da un amico della famiglia, abbiamo pensato che questa evocazione potrebbe essere istruttiva per tutti e che, nel medesimo tempo, potrebbe essere utile allo Spirito.

1. Evocazione. «Sono accanto a voi.»

2. Ci è stato riferito dei vostri ultimi istanti, che ci hanno riempito di ammirazione. Vorreste essere così cortese da descriverci, più dettagliatamente di quanto non abbiate fatto finora, ciò che avete visto nell'intervallo di quelle che si potrebbero chiamare le vostre due morti?

«Ciò che io ho visto potreste voi mai comprenderlo? Non lo so, perché dubito di riuscire a trovare espressioni capaci di rendere comprensibile ciò che ho potuto vedere durante alcuni istanti, in cui mi è stato possibile abbandonare le mie spoglie mortali.»

3. Avete consapevolezza del luogo in cui siete stato? È lontano dalla Terra, in un altro pianeta o nello Spazio?

«Lo Spirito non conosce il valore delle distanze allo stesso modo con cui lo considerate voi. Trasportato da non so quale potere meraviglioso, ho visto lo splendore d'un cielo come solo i sogni potrebbero realizzarlo. Questa corsa attraverso l'infinito è stata fatta così rapidamente che io non posso precisare i minuti impiegati dal mio Spirito.»

4. Attualmente godete della felicità che avete intravisto?

«No. Vorrei tanto poterne godere, ma Dio non può ricompensarmi così. Troppo spesso mi sono ribellato ai pensieri benedetti che il cuore mi dettava, e, inoltre, la morte mi sembrava un'ingiustizia. Medico miscredente, avevo attinto dall'arte di guarire un'avversione contro la seconda natura che è il nostro impulso intelligente, divino. L'immortalità dell'anima era per me una finzione atta a sedurre le nature poco elevate; nondimeno il vuoto mi spaventava, perché molto spesso maledicevo questo agente misterioso che colpisce perennemente. La filosofia mi aveva fuorviato, impedendomi di comprendere tutta la grandezza dell'Eterno che sa ripartire il dolore e la gioia, quale insegnamento per l'Umanità.»

5. Al momento della vostra vera morte, vi siete subito riconosciuto?

«No. Mi sono riconosciuto durante la transizione che il mio Spirito ha subito per percorrere i luoghi eterei. Ma non subito dopo la morte reale: sono stati necessari alcuni giorni per il mio risveglio.

Dio mi aveva concessa una grazia. Ve ne dirò la ragione.

La mia miscredenza primitiva non esisteva più. Prima della mia morte, ero diventato credente, perché, dopo aver sondato scientificamente la materia che mi faceva deperire, io non avevo trovato, alla fine di ogni ragione terrena, che la ragione divina. Essa mi aveva ispirato e consolato, e il mio coraggio era più forte del dolore. Benedicevo ciò che avevo maledetto. La fine mi appariva come la liberazione. Il pensiero di Dio è grande come il mondo! Oh, quale suprema consolazione nella preghiera che dà commozioni ineffabili! Essa è l'elemento più certo della nostra natura immateriale; attraverso la preghiera io ho compreso, io ho fermamente e sovranamente creduto, ed è per questo che Dio, tenendo conto delle mie azioni, ha voluto ricompensarmi prima ancora che la mia incarnazione terminasse.»

6. Si potrebbe dire che la prima volta voi eravate morto?

«Sì e no. Avendo lo Spirito abbandonato il corpo, la carne, allora, andava naturalmente spegnendosi. Ma, riprendendo possesso della mia dimora terrena, la vita è ritornata al corpo, il quale aveva subito una transizione, un sonno.»

7. In quel momento sentivate i legami che vi riattaccavano al vostro corpo?

«Senza dubbio. Lo Spirito ha un legame difficile da spezzare e ha bisogno dell'ultimo trasalimento della carne per ritornare alla sua vita naturale.»

8. Come mai, al momento della vostra morte apparente e per alcuni minuti,il vostro Spirito ha potuto liberarsi istantaneamente e senza turbamento, mentre la morte reale è stata seguita da un turbamento di parecchi giorni? Sembra che nel primo caso i legami tra l'anima e il corpo sussistano più che nel secondo, e il distacco perciò dovrebbe essere più lento; ciò che è accaduto è invece il contrario.

«Voi avete spesso fatto l'evocazione di uno Spirito incarnato e ne avete ricevuto delle risposte reali; io mi trovavo nella condizione di quegli Spiriti. Dio mi chiamava, e i Suoi servitori mi avevano detto: "Vieni...". Io ho obbedito e ho ringraziato Dio del favore speciale che ha voluto concedermi; ho potuto vedere la Sua infinita grandezza e rendermene conto. Grazie a voi che mi avete permesso, prima della morte reale, d'indottrinare i miei, affinché le loro siano incarnazioni buone e giuste.»

9. Da dove vi venivano le belle e buone parole che, al momento del vostro ritorno alla vita, avete indirizzato alla vostra famiglia?

«Esse erano il riflesso di ciò che io avevo visto e inteso. I buoni Spiriti ispiravano la mia voce e animavano il mio viso.»

10. Quale impressione credete che abbia fatto la vostra rivelazione sugli astanti e sui vostri figli in particolare?

«Sorprendente, profonda. La morte non è mentitrice. I figli, per quanto ingrati possano essere, s'inchinano di fronte all'incarnazione che se ne sta andando via. Se si potesse scrutare il cuore dei propri figli, accanto a una tomba semiaperta, si sentirebbero palpitare soltanto sentimenti veri, toccati profondamente dalla mano segreta degli Spiriti, che dicono in tutti i pensieri: "Tremate se siete nel dubbio. La morte è la riparazione, è la giustizia di Dio". E io, malgrado gli increduli, ve lo assicuro: i miei amici e la mia famiglia crederanno alle parole che la mia voce ha pronunciato prima di morire. Io ero l'interprete di un altro mondo.»

11. Avete detto che non godete di quella felicità che avevate intravisto. Siete infelice allora?

«No, poiché io credevo prima di morire; e questo avveniva nella mia anima e nella mia coscienza. Il dolore è tormentoso sulla Terra, ma fortifica dal punto di vista del futuro spirituale. Osservate che Dio ha voluto tener conto delle mie preghiere e della mia fede in Lui. Io sono sulla strada che conduce alla perfezione e arriverò al termine che mi è stato permesso d'intravedere. Pregate, amici miei, per questo mondo invisibile che presiede ai vostri destini; questo scambio fraterno è scambio di carità ed è una leva poderosa che pone in comunione gli Spiriti di tutti i mondi.»

12. Vorreste rivolgere qualche parola a vostra moglie e ai vostri figli?

«Io prego i miei tutti di credere nel Dio potente, giusto e immutabile; nella preghiera che conforta e solleva; nella carità che è l'atto più puro dell'incarnazione umana. Ch'essi ricordino che si può dare anche poco: l'obolo del povero è il più meritorio davanti a Dio, il quale sa che un povero dà molto donando poco; occorre che il ricco dia molto e spesso, per meritare tanto quanto quello.

L'avvenire è la carità, è la benevolenza in tutte le azioni; è credere che tutti gli Spiriti sono fratelli, non vantandosi essi mai di tutte quelle puerili vanità della Terra.

Famiglia mia amatissima, avrai dure prove da affrontare; possa tu affrontarle coraggiosamente, pensando che Dio le vede.

Recitate spesso, miei cari, questa preghiera:

"Dio d'amore e di bontà, che dai tutto e sempre, concedici quella forza che non viene meno di fronte ad alcuna pena. Rendici buoni, dolci e caritatevoli, piccoli nella fortuna, grandi nel cuore. Che il nostro Spirito sia spiritista sulla Terra per meglio comprenderVi e amarVi.

Che il Vostro nome, emblema di libertà, sia, o mio Dio, il fine consolatore di tutti gli oppressi, di tutti coloro che hanno bisogno di amare, di perdonare e di credere."»

Cardon

Éric Stanislas

(Comunicazione spontanea; Società di Parigi, agosto del 1863)

"Quale felicità ci procurano le emozioni vivamente sentite dai cuori calorosi! Oh, dolci pensieri che venite ad aprire una via di salvezza a tutto ciò che vive, a tutto ciò che respira materialmente e spiritualmente, non cessi il vostro balsamo consolatore di spandersi a larghi fiotti su di voi e su di noi! Quali espressioni scegliere per tradurre la felicità che provano tutti i vostri fratelli d'oltretomba nella contemplazione del puro amore che vi unisce tutti?

Ah, fratelli, quanto bene dappertutto, quanti dolci sentimenti, elevati e semplici come voi, come la vostra dottrina, voi siete chiamati a seminare sulla lunga strada che dovete ancora percorrere! Ma come tutto ciò vi sarà reso, e ancor prima del momento in cui ne avrete diritto!

Ho assistito a tutta questa serata; ho ascoltato, ho inteso, ho compreso e potrò così, a mia volta, compiere il mio dovere e istruire la classe degli Spiriti imperfetti.

Ascoltate: io ero lontano dall'essere felice; immerso nell'immensità, immerso nell'infinito, le mie sofferenze erano tanto più vive in quanto non potevo rendermene esattamente conto. Dio sia benedetto! Egli mi ha permesso di recarmi in un santuario che i malvagi non possono impunemente varcare. Amici, quanto vi sono riconoscente! Quanta forza ho attinto da voi!

Oh, uomini dabbene, riunitevi spesso! Fate opera d'istruzione, poiché non sarete proprio voi a dubitare di quanti frutti portino le riunioni serie che avete tra di voi. Gli Spiriti, che hanno ancora molte cose da imparare, e coloro che restano volontariamente inattivi, pigri e sono dimentichi dei loro doveri possono trovarsi, sia per una circostanza fortuita, sia per altri motivi, tra di voi. Colpiti da un trauma terribile, essi possono — ed è cosa che capita spesso — ripiegarsi su sé stessi, riconoscersi, intravedere la meta da raggiungere e, forti dell'esempio che voi date loro, cercare quei mezzi in grado di farli uscire dallo stato penoso in cui si trovano. Con assai grande felicità, mi rendo interprete delle anime sofferenti, poiché è a uomini di cuore che io mi rivolgo, e so che non ne sarò respinto.

Vogliate dunque ancora un volta, o uomini generosi, ricevere l'espressione della mia personale riconoscenza e quella di tutti i nostri amici, ai quali voi avete fatto, senza che voi forse lo sospettaste, tanto bene."

Eric Stanislas


La guida del medium. Figli miei, questo è uno Spirito che è stato molto infelice, per il fatto che per lungo tempo fu sviato dalla retta via. Ora ha compreso i suoi torti, si è pentito e ha finalmente rivolto il suo sguardo verso Dio ch'egli aveva rinnegato; la sua condizione non è quella della felicità; ma vi aspira e non ne soffre più. Dio gli ha permesso di venire ad ascoltare e poi di andare in una sfera inferiore a istruire e a far avanzare gli Spiriti che, come lui, hanno trasgredito le leggi dell'Eterno; questa è la riparazione che gli compete. Ormai conquisterà la felicità, perché ne ha la volontà.

La signora Anna Belleville

Giovane donna, morì a trentacinque anni, dopo una lunga e crudele malattia. Vivace, spirituale, dotata di rara intelligenza, d'una grande rettitudine di giudizio e di eccellenti qualità morali, sposa e madre di una famiglia devota, possedeva inoltre una non comune forza di carattere e uno spirito ricco di risorse, che le permettevano di non essere mai presa alla sprovvista, neppure nelle circostanze più critiche della vita. Senza rancori verso coloro da cui ella aveva maggiormente avuto motivo di dolersi, era, all'occasione, sempre pronta a render loro un servigio. Personalmente legati a lei per lunghi anni, abbiamo potuto seguire tutte le fasi della sua esistenza e tutte le traversie della sua fine.

Un incidente provocò la terribile malattia che doveva portarla via e che per tre anni la costrinse a letto, in preda alle più atroci sofferenze, che essa sopportò fino all'ultimo istante con eroico coraggio, e in mezzo alle quali la sua naturale gaiezza non venne mai meno. Credeva fermamente all'anima e alla vita futura, ma se ne preoccupava molto poco; tutti i suoi pensieri erano indirizzati alla vita presente, alla quale teneva moltissimo, senza tuttavia aver paura della morte e senza ricercare le gioie materiali, poiché la sua vita era molto semplice, e faceva a meno, senza alcuna difficoltà, di ciò che non poteva procurarsi; ma essa possedeva istintivamente il gusto del buono e del bello di cui sapeva ammantare anche le più piccole cose. Voleva vivere, più che per sé stessa, per i suoi figli, per i quali sentiva di essere necessaria; ed è per questo che si aggrappava alla vita. Conosceva lo Spiritismo, senza averlo studiato a fondo; vi si interessava e, tuttavia, non giunse mai a fissare i suoi pensieri sull'avvenire; questa era per lei un'idea vera, ma che non lasciava, nel suo spirito, nessuna impressione profonda. Quanto ella faceva di bene era il risultato d'un moto naturale e spontaneo, e non ispirato dal pensiero di una ricompensa o di pene future.

Dopo lungo tempo, il suo stato era ormai disperato, e ci si attendeva di vederla andar via da un momento all'altro; lei stessa non si faceva illusioni. Un giorno — suo marito era essente — si sentì mancare, e comprese che la sua ora era giunta. La vista le si era annebbiata, il turbamento la pervadeva tutta, ed ella provava tutte le angosce del distacco. Tuttavia, morire prima del ritorno di suo marito le costava grandemente. Facendo uno sforzo supremo su sé stessa, si disse: "No. Io non voglio morire!" Sentì allora la vita rinascerle dentro e recuperò il pieno uso delle sue facoltà. Quando suo marito tornò, gli disse: "Stavo per morire, ma ho voluto attendere che tu fossi accanto a me, perché avevo ancora molte raccomandazioni da farti". La lotta tra la vita e la morte si prolungò così per tre mesi, che non furono altro che una lunga e dolorosa agonia.

Evocazione, il giorno dopo la sua morte. «Miei buoni amici, grazie di interessarvi a me; del resto, voi siete stati per me come dei buoni parenti. Ebbene, rallegratevi, io sono felice. Rassicurate il mio povero marito e vegliate sui miei figli. Io sono andata subito accanto a loro.»

— Sembra che il turbamento non sia stato lungo, poiché voi ci rispondete con lucidità.

«Miei amici, ho tanto sofferto, e voi sapete che io soffrivo con rassegnazione! Ebbene, la mia prova è terminata! Dirvi che sono completamente liberata no, non è possibile; ma non soffro più, e questo è per me un così gran sollievo! Questa volta sono radicalmente guarita, ve lo assicuro, ma ho bisogno che mi si aiuti per mezzo delle preghiere, per poter venire in seguito a lavorare con voi.»

— Quale ha potuto essere la causa delle vostre lunghe sofferenze?

«Un passato terribile, amico mio.»

— Potete dirci qual è stato questo passato?

«Oh, lasciatemelo per un po' dimenticare! L'ho pagato così caro!»

— Un mese dopo la sua morte. Ora che dovete essere completamente liberata e che vi riconoscete meglio, saremmo molto felici di avere con voi una conversazione più esplicita. Potreste rivelarci qual è stata la causa della vostra lunga agonia? Perché, per tre mesi, siete stata tra la vita e la morte?

«Grazie, miei buoni amici, del vostro ricordo e delle vostre buone preghiere! Quanto esse mi sono salutari e quanto hanno contribuito alla mia liberazione! Io ho bisogno d'essere ancora sostenuta; continuate a pregare per me. Comprendete l'importanza della preghiera, voi. Non sono formule banali quelle che voi dite; tanti altri, invece, non si rendono conto dell'effetto che produce una buona preghiera.

Molto ho sofferto, ma le mie sofferenze mi vengono largamente calcolate, e mi è permesso di essere spesso accanto ai miei cari figli, che ho lasciato con tanto rimpianto.

Ho prolungato io stessa le mie sofferenze. Il mio ardente desiderio di vivere, per amore dei miei figli, faceva sì che mi aggrappassi in qualche modo alla materia e che, contrariamente agli altri, mi radicassi a questo disgraziato corpo né volessi abbandonarlo, quantunque con esso dovessi rompere i legami e quantunque fosse per me lo strumento di tante torture. Ecco la vera causa della mia lunga agonia. La mia malattia, le sofferenze che ho patito? Un'espiazione del passato, un debito più che pagato.

Ahimè, miei buoni amici, se vi avessi ascoltato, quale immenso cambiamento nella mia vita attuale! Quale sollievo avrei provato nei miei ultimi istanti! Quanto questa separazione sarebbe stata più facile, se, invece di contrastarla, io mi fossi lasciata andare con fiducia alla volontà di Dio, alla corrente che mi trascinava! Ma, invece di indirizzare i miei sguardi verso l'avvenire che mi attendeva, io non vedevo che il presente che stavo per abbandonare!

Quando ritornerò sulla Terra, sarò Spiritista, ve lo assicuro. Quale immensa scienza! Assisto assai spesso alle vostre riunioni e alle istruzioni che vi vengono date. Se, quando ero sulla Terra, avessi potuto capire, le mie sofferenze sarebbero state di molto alleviate; ma non era ancora venuta l'ora. Oggi io comprendo la bontà di Dio e la Sua giustizia; ma non sono ancora abbastanza avanzata da non occuparmi delle cose della vita; ancora mi legano a essa soprattutto i miei figli, non più per viziarli, ma per vegliare su di loro e fare in modo che seguano la strada che lo Spiritismo sta tracciando in questo momento. Sì, miei buoni amici, io ho ancora delle serie preoccupazioni; una, soprattutto, poiché l'avvenire dei miei figli dipende da essa.»

— Potete darci qualche spiegazione riguardo al passato che voi deplorate?

«Ahimè, miei buoni amici, sono del tutto pronta a farvi la mia confessione. Io non avevo voluto ammettere la sofferenza; avevo visto soffrire mia madre senza averne pietà e l'avevo trattata da malata immaginaria. Non vedendola mai allettata, supponevo ch'essa non soffrisse e ridevo delle sue sofferenze. Ecco come Dio punisce.»

Sei mesi dopo la sua morte. Ora che è trascorso un tempo abbastanza lungo dacché avete lasciato il vostro involucro terreno, abbiate la bontà di illustrarci la vostra situazione e le vostre occupazioni nel mondo degli Spiriti.

«Durante la mia vita terrena, io ero ciò che si dice, comunemente, una brava persona, ma amavo prima di tutto il mio benessere. Compassionevole per natura, forse non sarei stata capace d'un penoso sacrificio per alleviare una disgrazia. Oggi tutto è cambiato. Sono, sì, sempre io, ma la me stessa di una volta ha subito delle modifiche. E ci ho guadagnato. Vedo che non ci sono né ranghi né condizioni se non il merito personale, nel mondo degli invisibili, dove un povero, caritatevole e buono, è al di sopra del ricco orgoglioso che lo umiliava con la sua elemosina. Io veglio soprattutto sulla classe di coloro che si affliggono per tormenti di famiglia, per la perdita di parenti o dei loro beni. La mia missione è di consolarli e incoraggiarli, e io sono felice di farlo.»

Anna

Una importante questione nasce dai fatti sopradescritti. Ed è la seguente: può una persona, con uno sforzo della sua volontà, ritardare il momento della separazione dell'anima dal corpo?

Risposta dello Spirito di san Luigi. «Questo problema, se risolto in maniera affermativa e senza restrizioni, potrebbe dar luogo a false conseguenze. Certamente uno Spirito incarnato può, in determinate circostanze, prolungare l'esistenza corporea per portare a termine delle istruzioni indispensabili o ritenute tali. Ciò può essergli concesso sia in casi come quello di cui si tratta, sia in altri di cui si hanno parecchi esempi. Questo prolungamento della vita non potrebbe, in ogni caso, essere che di breve durata, poiché non può essere concesso all'uomo di sovvertire l'ordine delle leggi della Natura, né di provocare un reale ritorno alla vita, quando questa è giunta al suo termine; non è, quindi, che un rinvio momentaneo. Dalla possibilità di un fatto, non bisogna tuttavia concludere che esso possa essere generale, né credere perciò che da ciascuno dipenda prolungare la sua esistenza. Come prova per lo Spirito, o nell'interesse di una missione da concludere, gli organi usurati possono ricevere un supplemento di fluido vitale che permette loro di aggiungere alcuni istanti alla manifestazione materiale del pensiero. Ma casi simili sono delle eccezioni e non la regola. Non bisogna neppure vedere in questo fatto una deroga di Dio all'immutabilità delle Sue leggi, ma una conseguenza del libero arbitrio dell'anima umana, la quale, all'ultimo istante, ha coscienza della missione di cui è stata investita, e vorrebbe attuare, malgrado la morte, ciò che non ha potuto portare a termine. Il fatto di accordare a un'anima un prolungamento di vitalità, di cui necessariamente soffre, può anche essere, talvolta, una sorta di punizione inflitta allo Spirito che dubita dell'avvenire.»

San Luigi

Ci si potrebbe stupire della rapidità del distacco di questo Spirito, tenuto conto del suo attaccamento alla vita corporea; ma bisogna considerare che questo attaccamento non aveva niente di sensuale né di materiale; esso aveva anzi un suo lato morale, poiché era motivato dall'interesse per i suoi figli in tenera età. Questo era, inoltre, uno Spirito avanzato in intelligenza e moralità: un gradino di più e sarebbe stato tra gli Spiriti beati. Non c'era, dunque, nei legami perispiritistici, la tenacia che risulta dall'identificazione con la materia. Si può dire che la vita, indebolita da una lunga malattia, non stava più attaccata che a pochi fili; sono questi fili che lo Spirito voleva impedire che si rompessero. Tuttavia egli è stato punito, per la sua resistenza, con il protrarsi delle sofferenze, che attenevano alla natura della malattia e non alla difficoltà del distacco. È per questo che, dopo la liberazione, il turbamento è stato di breve durata.

Un fatto ugualmente importante scaturisce da questa evocazione, così come da quelle che sono avvenute in tempi diversi, più o meno lontani dalla morte. Si tratta del cambiamento che si verifica gradualmente nelle idee dello Spirito, e delle quali si può seguire il progresso. In questo Spirito il cambiamento si traduce non propriamente in sentimenti migliori, ma in un più sano apprezzamento delle cose. Il progresso dell'anima nella vita spirituale è dunque un fatto dimostrato dall'esperienza; la vita corporea è la messa in pratica di questo progresso, è la prova delle sue risoluzioni, il crogiuolo in cui si purifica.

Dall'istante in cui, dopo la morte, l'anima progredisce, la sua sorte non può essere irrevocabilmente fissata, perché il fissaggio definitivo della sorte è, come altrove abbiamo già detto, la negazione del progresso. Non potendo le due cose esistere simultaneamente, resta quella che ha dalla sua parte la convalida dei fatti e della ragione.




Capitolo IV - SPIRITI SOFFERENTI

Il castigo

Esposizione generale dello stato dei colpevoli, al loro ingresso nel mondo degli Spiriti, dettata alla Società Spiritista di Parigi nell'ottobre del 1860

Gli Spiriti malvagi, egoisti e duri sono, subito dopo la morte, presi da un dubbio crudele riguardo al loro destino presente e futuro. Essi si guardano intorno; e dapprima non vedono alcun soggetto sul quale possa esercitarsi la loro malvagia personalità, poi la disperazione s'impadronisce di loro, poiché l'isolamento e l'inattività sono intollerabili per gli Spiriti malvagi. Essi non levano mai lo sguardo sui luoghi abitati dai puri Spiriti; considerano soltanto ciò che li circonda. E ben presto, colpiti dall'avvilimento degli Spiriti fragili e in punizione, si avventano su di loro come su di una preda, servendosi del ricordo delle passate colpe di costoro, colpe che essi continuamente mettono in campo per le loro gesta derisorie. Non essendo questo ludibrio a loro sufficiente, si precipitano sulla Terra come avvoltoi affamati; cercano fra gli uomini l'anima che aprirà un più facile accesso alle loro tentazioni; se ne impossessano, eccitano le sue bramosie e cercano di spegnere la sua fede in Dio. Quando, infine, padroni di una coscienza, vedono assicurata la loro preda, estendono il loro fatale contagio a tutto ciò che è vicino alla loro vittima.

Lo Spirito malvagio nel manifestare la sua rabbia è quasi felice; soffre soltanto nei momenti in cui non agisce e anche in quelli in cui il bene ha ragione del male.

Tuttavia i secoli passano. Il cattivo Spirito sente tutt'a un tratto le tenebre invaderlo. Il suo cerchio d'azione si restringe. La sua coscienza, muta fino ad allora, gli fa sentire le fitte acute del pentimento. Inattivo, trascinato dal turbine, egli erra, sentendo, come dicono le Scritture, i peli della sua carne rizzarsi per il terrore. Ben presto un grande vuoto si fa in lui e attorno a lui. Il momento è giunto: deve espiare. La reincarnazione è là, minacciosa; egli vede, come in un miraggio, le prove terribili che lo attendono; vorrebbe indietreggiare e invece avanza. Precipitato nell'abisso spalancato della vita, rotea atterrito finché il velo dell'ignoranza ripiomba sui suoi occhi. Vive, agisce, è ancora colpevole; avverte in sé un indefinito ricordo inquieto, presentimenti che lo fanno tremare, ma non allontanare dalla via del male. Al termine delle sue forze e delle sue colpe, egli è sul punto di morire. Disteso su di un giaciglio o sul suo letto — che importa! — l'uomo colpevole sente, sotto la sua apparente immobilità, muoversi e vivere dentro di sé un mondo di sensazioni dimenticate. Sotto le palpebre chiuse vede balenare un chiarore, e sente anche strani suoni; la sua anima che sta per lasciare il corpo si agita impaziente, mentre le sue mani raggrinzite tentano di aggrapparsi ai drappi. Vorrebbe parlare, vorrebbe gridare a coloro che lo attorniano: "Trattenetemi! Io vedo il castigo!" Ma non può. La morte si fissa sulle sue labbra illividite, e gli astanti dicono: "Eccolo in pace!"

Tuttavia egli ode tutto; fluttua attorno al suo corpo che non vorrebbe abbandonare; una forza segreta lo attira; vede, riconosce ciò che ha già visto. Terrorizzato, si lancia nello Spazio dove vorrebbe nascondersi. Niente riparo! Niente riposo! Altri Spiriti gli rendono il male che ha fatto. A sua volta castigato, deriso e confuso, erra ed errerà finché la luce divina penetrerà nella sua durezza e lo rischiarerà per mostrargli il Dio che riscatta, il Dio che trionfa su tutti i mali, e che egli potrà placare solo a forza di gemiti ed espiazioni.

Georges

Mai quadro più eloquente, più terribile e più vero è stato tracciato sulla sorte del malvagio. È dunque necessario far ricorso alla fantasmagoria delle fiamme e delle torture fisiche?

Novel

(Lo Spirito si rivolge al medium, che l'aveva conosciuto da vivo)

"Sto per raccontarti ciò che ho sofferto quando sono morto. Il mio Spirito, attaccato al mio corpo dai legami materiali, ha avuto una grande difficoltà a liberarsene, la qual cosa è stata una prima e dura angoscia. La vita che avevo lasciata a ventiquattro anni era ancora così forte in me, che non potevo credere alla sua perdita. Cercavo il mio corpo, ed ero stupito e spaventato di vedermi sperduto in mezzo a questa folla di ombre. Alla fine, la coscienza del mio stato e la rivelazione degli errori, che avevo commesso in tutte le mie incarnazioni, mi colpirono tutt'a un tratto. Una luce implacabile illuminò le pieghe più recondite della mia anima, che si sentì nuda, schiacciata da una vergogna insopportabile. Cercavo di eluderla interessandomi agli oggetti nuovi, e tuttavia conosciuti, che mi circondavano. Gli Spiriti radiosi, che fluttuavano nell'etere, mi davano l'idea di una felicità alla quale io non potevo aspirare. Forme oscure e desolate, alcune piombate in una cupa disperazione, altre ironiche o furiose, aleggiavano intorno a me e sulla Terra a cui continuavo a restare attaccato. Vedevo gli umani, di cui invidiavo l'ignoranza, agitarsi; tutta una serie di sensazioni sconosciute, o ritrovate, m'invase tutt'a un tratto. Come trascinato da una forza irresistibile, cercando di sfuggire a quel dolore esasperato, superavo le distanze, gli elementi, gli ostacoli, senza che le bellezze della natura e gli splendori celesti potessero calmare per un istante né il tormento della mia coscienza né la paura che la rivelazione dell'eternità mi procurava. Un mortale può avere presentimenti sulle torture materiali attraverso i brividi della carne, ma i vostri fragili dolori, addolciti dalla speranza, temperati dalle distrazioni, uccisi dall'oblio, non potranno mai farvi comprendere le angosce di un'anima che soffre senza tregua, senza speranza, senza pentimento. Ho passato un certo tempo, di cui non posso valutare la durata, individuando gli eletti di cui intravedevo lo splendore, detestando i cattivi Spiriti che mi perseguitavano con i loro motteggi, disprezzando gli umani di cui vedevo le turpitudini, passando da un profondo avvilimento a una rivolta insensata. Alla fine tu mi hai chiamato e, per la prima volta un sentimento dolce e tenero mi ha calmato. Ho ascoltato gli insegnamenti che ti danno le tue guide; la verità mi ha pervaso, e io ho pregato. Dio mi ha ascoltato; Egli si è rivelato a me nella Sua clemenza, così come mi si era rivelato nella Sua giustizia."

Novel

August Michel

(Le Havre, marzo del 1863)

Era un giovane ricco e gaudente, che amava largamente ed esclusivamente la vita materiale. Benché intelligente, l'indifferenza per le cose serie era il tratto saliente del suo carattere. Senza vistose malignità, più buono che cattivo, era apprezzato dai suoi compagni di piacere e molto ricercato nell'alta società per le sue qualità d'uomo di mondo; senza aver fatto del male, non aveva neppur fatto del bene. È morto per una caduta dalla carrozza durante una passeggiata. Evocato, qualche giorno dopo la sua morte, da un medium che lo conosceva indirettamente, egli dà successivamente le comunicazioni che qui di seguito riportiamo.

8 marzo 1863 — "Misono appena distaccato dal mio corpo; così, riesco a parlarvi, anche se con una certa difficoltà. La terribile caduta che fece morire il mio corpo mette il mio Spirito in un grande turbamento. Sono inquieto perché non so che cosa sto per diventare, e questa incertezza è crudele. L'orrenda sofferenza che il mio corpo ha provato è nulla in confronto al turbamento in cui ora mi trovo. Oh, quale dolore! Grazie, mio Dio! Quale dolore! Addio."

18 marzo — "Mi sono già presentato a voi, ma non ho potuto parlarvi che con estrema difficoltà. E anche in questo momento, a fatica posso comunicare con voi. Siete il solo medium a cui io possa chiedere delle preghiere affinché la bontà di Dio mi sottragga al turbamento in cui mi trovo. Perché soffrire ancora quando il mio corpo non soffre più? Perché questo orrendo dolore, questa orribile angoscia sono sempre presenti? Pregate! Oh, pregate perché Dio mi conceda riposo...Oh, quale crudele incertezza! Io sono ancora attaccato al mio corpo. Soltanto a stento riesco a vedere dove posso essere; il mio corpo è là, e perché io rimango sempre là? Venite a pregare su di lui perché io sia liberato da questa morsa crudele. Dio vorrà pur perdonarmi, spero! Vedo gli Spiriti che sono accanto a voi: è grazie a loro che io posso parlarvi. Pregate per me."

6 aprile — "Sono io e vengo a voi per chiedervi di pregare per me. Bisognava andare sul luogo dove giace il mio colpo e pregare l'Onnipotente di placare le mie sofferenze. Io soffro! Oh, io soffro! Andate in quel luogo — è necessario — e rivolgete al Signore una preghiera perché mi conceda il perdono. Vedo che potrei essere più sereno, ma ritorno senza tregua verso il luogo dove hanno deposto ciò che era di mia pertinenza."

Il medium, non essendosi reso conto dell'insistenza dello Spirito che lo sollecitava ad andare a pregare sulla sua tomba, aveva dimenticato di farlo. Vi andò, tuttavia, più tardi e ricevette la comunicazione che segue.

11 maggio — "Vi attendevo. Con speranza attendevo il momento in cui voi sareste venuto, nel luogo dove il mio Spirito sembra fissato al suo involucro, per implorare il Dio di misericordia, affinché la Sua bontà calmi le mie sofferenze. Voi potete farmi del bene con le vostre preghiere. Non fermatevi, ve ne supplico. Vedo bene come la mia vita sia stata all'opposto di ciò che avrebbe dovuto essere; vedo bene gli errori che ho commesso. Sono stato tra gli esseri più inutili al mondo; non ho fatto nessun buono impiego delle mie facoltà; la mia fortuna ad altro non è servita che a soddisfare le mie passioni, i miei capricci di lusso, la mia vanità; non ho pensato che alle gioie del corpo e non alla mia anima. La misericordia di Dio scenderà mai su di me, povero Spirito che ancora soffre delle colpe terrene? Pregate perché Egli mi perdoni, e perché io sia liberato dai dolori di cui ancora risento. Vi ringrazio per essere venuto qui a pregare per me."

8 giugno — "Posso parlarvi e ringrazio Dio di permettere ciò. Ho visto i miei errori e spero che Dio mi perdonerà. Seguite sempre nella vostra vita la fede che vi anima, poiché essa vi riserva, più tardi, una pace che io ancora non possiedo. Grazie delle vostre preghiere. Arrivederci."

L'insistenza dello Spirito perché si vada a pregare sulla sua tomba è una particolarità degna di nota, ma che ha la sua ragion d'essere, se si considera quanto fossero tenaci i legami che lo trattenevano al suo corpo, e quanto la separazione fosse difficile e si protraesse nel tempo, in seguito alla materialità della sua esistenza. Ben si comprende come, avvicinandosi al corpo, la preghiera avrebbe potuto esercitare una sorta d'azione magnetica più potente, atta a facilitare il distacco. L'usanza quasi generale cli pregare presso i corpi dei defunti, non potrebbe provenire dall'intuizione inconscia che si avrebbe di questo effetto? L'efficacia della preghiera, in tal caso, avrebbe un risultato nello stesso tempo morale e materiale.

I rimorsi di un gaudente

(Bordeaux, 19 aprile 1862)

30 luglio — "Ora sono meno infelice, perché non sento più la catena che mi legava al mio corpo. Alfine sono libero, ma non ho ancora del tutto espiato. È necessario che io recuperi il tempo perduto, se non voglio veder prolungare le mie sofferenze. Dio — io lo spero — vedrà il mio pentimento sincero e vorrà accordarmi il Suo perdono. Pregate ancora per me, ve ne supplico.

Uomini, fratelli miei, io ho vissuto soltanto per me stesso, e oggi io espio ciò e soffro! Che Dio conceda a voi la grazia di evitare le spine che ora lacerano me. Proseguite il vostro cammino sulla larga strada del Signore e pregate per me, poiché io ho abusato dei beni che Dio presta alle Sue creature!

Colui che sacrifica agli istinti brutali l'intelligenza e i buoni sentimenti, che Dio ha collocato in lui, assomiglia all'animale ch'egli spesso maltratta. L'uomo deve usare con sobrietà i beni di cui è depositario; deve abituarsi a vivere soltanto in vista dell'eternità che l'attende e, di conseguenza, distaccarsi dai piaceri materiali. La sua alimentazione non deve avere altro scopo che la sua vigoria; il suo lusso deve essere subordinato alle strette esigenze della sua posizione; i suoi gusti e anche le sue naturali passioni devono essere rette dalla più forte delle ragioni, poiché senza tutto ciò egli si materializzerà sempre di più, anziché purificarsi. Le passioni umane sono catene che penetrano strettamente a spirale nella carne: non rinserratele in essa, dunque. Vivete, ma non siate dei gaudenti. Voi non sapete quanto ciò costi, quando si torna in patria! Le passioni terrene vi spogliano prima ancora di lasciarvi, e voi giungete al cospetto del Signore nudi, completamente nudi. Oh! Ricopritevi di opere buone. Esse vi aiuteranno a superare lo spazio che vi separa dall'Eternità. Manto splendente, esse nasconderanno le vostre umane turpitudini. Avvolgetevi di carità e d'amore, vesti divine che durano eternamente."

Istruzioni della guida del medium. Questo Spirito è sulla buona strada, poiché al pentimento aggiunge dei consigli per mettere in guardia contro i pericoli della via ch'egli ha seguito. Riconoscere i propri torti è già un merito è, di fatto, un passo verso il bene; per questo la sua situazione, senza essere felice, non è più quella d'uno Spirito sofferente. Egli si pente. Gli resta la riparazione che compirà in un'altra esistenza di prova. Ma prima di arrivare a ciò, sapete voi qual è la situazione di questi uomini dalla vita completamente sensuale, che non hanno dato al loro Spirito altra attività che quella d'inventare senza tregua nuovi piaceri? L'influenza della materia li segue nell'oltretomba, né la morte pone fine a quegli appetiti. La loro vista, limitata quanto lo era sulla Terra, cerca invano i mezzi per soddisfarli. Non avendo mai ricercato il nutrimento spirituale, la loro anima erra nello Spazio, senza scopo, senza speranza, in preda all'ansia dell'uomo che non ha davanti a sé che la prospettiva di uno sconfinato deserto. La nullità dei loro impegni intellettuali, durante la vita corporea, causa naturalmente la nullità del lavoro dello Spirito dopo la morte. Non potendo più soddisfare il corpo, non resta loro nulla per soddisfare lo Spirito. Da qui, una noia mortale di cui non presagiscono il termine e a cui preferirebbero il nulla. Ma il nulla non esiste. Hanno potuto uccidere il corpo, ma non possono uccidere lo Spirito. Dovranno vivere in queste torture morali finché, vinti dalla stanchezza, si decideranno a levare uno sguardo verso Dio.

Lisbeth

(Bordeaux, 13 febbraio 1862)

Uno Spirito sofferente si firma con il nome di Lisbeth.

1. Volete darmi qualche particolare sulla vostra situazione e dirmi la causa delle vostre sofferenze?

«Sii umile di cuore, sottomessa alla volontà di Dio, paziente nelle difficoltà, caritatevole verso il povero, rassicurante verso il debole, sensibile a tutte le sofferenze, e non subirai le torture che io sopporto.»

2. Se gli errori vi hanno portata a individuarne le opposte qualità, voi sembrate così dolervi di quegli errori. Non dovrebbe, il vostro pentimento, consolarvi?

«No. Il pentimento è sterile quando è solo la conseguenza della sofferenza. Il pentimento fecondo è quello che ha alla base il dolore, per aver offeso Dio, e l'ardente desiderio di riparare a ciò. Io, sfortunatamente, non sono ancora a questo punto. Raccomandatemi alle preghiere di tutti coloro che si consacrano alle sofferenze. Ne ho bisogno.»

Questa è una grande verità. La sofferenza strappa a volta un grido di pentimento, che non è, però, l'espressione sincera del dispiacere d'aver agito male. Infatti, se lo Spirito non soffrisse più, sarebbe pronto a ricominciare. Ecco perché non sempre il pentimento determina l'immediata liberazione dello Spirito. Vi si dispone, ecco tutto. Ma egli deve dimostrare la sincerità e la solidità delle sue risoluzioni attraverso nuove prove, che sono la riparazione del male che ha commesso. Se si esaminano con attenzione tutti gli esempi che noi citiamo, si troveranno nelle parole, anche in quelle degli Spiriti più infimi, seri argomenti d'istruzione, perché esse ci iniziano ai dettagli più profondi della vita spirituale. Mentre l'uomo superficiale non vedrà in questi esempi null'altro che dei racconti più o meno pittoreschi, l'uomo serio e riflessivo vi troverà una ricca sorgente di studi.

3. Farò ciò che voi desiderate. Mi dareste qualche dettaglio sulla vostra ultima esistenza? Per noi potrebbe risultarne un utile insegnamento, e voi rendereste in tal modo il vostro pentimento proficuo.

(Lo Spirito è fortemente indeciso nel rispondere a questa domanda e ad alcune altre di quelle che seguono.)

«Ho avuto natali di elevata condizione. Possedevo tutto ciò che gli uomini considerano fonte di felicità. Ricca, sono stata egoista; bella, sono stata civetta, noncurante e ingannatrice; nobile, sono stata ambiziosa. Ho schiacciato con il mio potere coloro che non si prosternavano abbastanza davanti a me, e schiacciavo ancor di più coloro che già si trovavano sotto i miei piedi, senza pensare che la collera del Signore schiaccia anche, presto o tardi, le fronti più altere.»

4. In quale epoca siete vissuta?

«Centocinquant'anni fa, in Prussia.»

5. Dopo questo tempo, non avete fatto alcun progresso come Spirito?

«No. La materia si ribellava sempre. Tu non puoi comprendere l'influenza che essa ancora esercita, nonostante la separazione del corpo e dello Spirito. L'orgoglio, vedi, vi stringe nelle sue bronzee catene, i cui anelli si rinserrano sempre di più attorno allo sventurato che gli consegna il suo cuore. L'orgoglio! Questa idra dalle cento teste che sempre rinascono, che sa modulare i suoi sibili velenosi in modo tale che uno li prende per musica celeste! L'orgoglio! Questo demone dai mille aspetti che si piega a tutte le aberrazioni del vostro Spirito, che si nasconde nei più intimi recessi del vostro cuore, penetra nelle vostre vene, vi avviluppa, vi consuma e vi trascina nelle tenebre della geenna eterna!... Sì, eterna!»

Lo Spirito sostiene che non ha fatto alcun progresso, senza dubbio perché la sua situazione è sempre penosa; ma la maniera con cui descrive l'orgoglio, deplorandone le conseguenze, è incontestabilmente un progresso. Certamente, infatti, non avrebbe potuto ragionare così né da vivo né poco dopo la sua morte. Egli ora comprende il male, ed è già qualcosa. Il coraggio e la volontà di evitarlo gli verranno in seguito.

6. Dio è troppo buono per condannare le Sue creature a delle pene eterne. Confidate nella Sua misericordia.

«A ciò può esserci un termine. Così si dice. Ma dove? Da lungo tempo io lo cerco questo termine, ma non vedo altro che sofferenza. Sempre! Sempre! Sempre!»

7. Come siete venuta qui oggi?

«Uno Spirito, che mi segue spesso, mi ha qui condotta.»

— Da quanto vedete questo Spirito?

«Non è da molto.»

— Da quando vi siete resa conto degli errori che avete commesso? (Dopo una lunga riflessione.) «Sì, hai ragione; è da allora che lo vedo.»

8. Non comprendete ora il rapporto che c'è tra il vostro pentimento e l'aiuto manifesto che vi offre il vostro Spirito protettore? Ravvisate in ciò, quale origine di questo appoggio — l'amore di Dio — e quale scopo, il Suo perdono e la Sua infinita misericordia.

«Oh, come lo vorrei!»

— Io credo di potervelo promettere nel nome sacro di Colui che non è stato mai sordo alla voce dei Suoi figli in disgrazia. InvocateLo dal profondo del vostro pentimento. Egli vi ascolterà.

«Non posso. Ho paura.»

9. Preghiamo insieme. Egli ci ascolterà. (Dopo la preghiera.) Siete ancora lì?

«Sì, grazie! Non dimenticherò.»

10. Venite qui, inseritevi ogni giorno.

«Sì, sì, verrò sempre.»

La guida del medium. " Non dimenticare mai gli insegnamenti che ricavi dalle sofferenze dei tuoi protetti e, soprattutto, dalle cause di queste sofferenze. Che esse servano a voi tutti d'insegnamento per preservarvi dai medesimi pericoli e dai medesimi castighi. Purificate i vostri cuori, siate umili, amatevi e aiutatevi l'un l'altro, e che il vostro cuore riconoscente non dimentichi mai la fonte di tutte le grazie, la fonte inesauribile dove ciascuno di voi può attingere in abbondanza, la fonte d'acqua viva che disseta e nello stesso tempo nutre, la fonte di vita e di felicità eterna. Andateci, miei amatissimi; attingete lì con fede; gettate lì le vostre reti, ed esse usciranno da quelle onde cariche di benedizioni. Fatene partecipi i vostri fratelli, avvertendoli dei pericoli che possono incontrare. Diffondete le benedizioni del Signore; esse rinascono di continuo; più voi le diffonderete intorno a voi, più esse si moltiplicheranno. Voi le avete nelle vostre mani, perché dicendo ai vostri fratelli: 'Là sono i pericoli, là sono gli scogli; seguiteci per evitarli; imitate noi, noi che diamo l'esempio', voi diffondete le benedizioni del Signore su coloro che vi ascoltano.

Benedetti siano i vostri sforzi, miei amatissimi. Il Signore ama i cuori puri. Meritate il Suo amore."

Saint Paulin

Il principe Ouran

(Bordeaux, 1862)

Uno Spirito che soffre si presenta sotto il nome di Ouran, un tempo principe russo.

— Vorreste darci qualche dettaglio sulla vostra situazione?

Oh, beati gli umili di cuore, a essi appartiene il regno dei cieli! Pregate per me. Beati sono , coloro che, umili di cuore, scelgono una posizione modesta per superare le prove! Voi, voi tutti che l'invidia divora, non sapete in quale stato è ridotto uno di quelli che voi chiamate i felici della Terra. Voi non sapete nulla dei carboni ardenti che si ammassano sulle loro teste. E nulla sapete dei sacrifici che la ricchezza impone, quando da essa si vuole ottenere la salvezza eterna! Che il Signore permetta a me, a me orgoglioso despota, di venire a espiare — tra coloro che io ho schiacciato con la mia tirannia — i delitti che l'orgoglio mi ha fatto commettere! Orgoglio! Ripetete di continuo questa parola, così da non dimenticare mai che l'orgoglio è la fonte di tutte le sofferenze che ci prostrano. Sì, io ho abusato del potere e del favore di cui ho goduto. Sono stato duro e crudele verso i miei sottoposti, i quali dovevano piegarsi a tutti i miei capricci, e soddisfare tutte le mie depravazioni. Avevo voluto per me i titoli nobiliari, gli onori, la ricchezza e sono caduto sotto il peso che io stesso avevo scelto al di sopra delle mie forze.»

Gli Spiriti che soccombono sono generalmente portati a dire che essi avevano un peso al di sopra delle loro forze. È un modo per scusarsi davanti ai loro stessi occhi; è ancora un gesto di orgoglio: essi non vogliono aver fallito per loro stessa colpa. Dio non dà a nessuno al di là di quanto si può sopportare. A nessuno Egli chiede più di quanto Gli si può dare. Egli non esige che l'albero che sta crescendo porti i frutti di quello che è del tutto cresciuto. Dio dà agli Spiriti la libertà; ciò che loro manca è la volontà, e la volontà dipende solo da essi. Con la forza della volontà, non ci sono inclinazioni viziose che non si possano vincere. Ma, allorché di una inclinazione ci si compiace, è naturale che non si facciano sforzi per superarla. Non si deve quindi prendersela che con sé stessi per le conseguenze che ne risultano.

— Avete consapevolezza dei vostri errori. E questo è un primo passo verso il miglioramento.

«Questa consapevolezza è anche una sofferenza. Per molti Spiriti, la sofferenza è un effetto quasi materiale, perché, essendo ancora attaccati all'umanità della loro ultima esistenza, non percepiscono le sensazioni morali. Il mio Spirito si è liberato dalla materia, e il sentimento morale ha aumentato di tutto quanto avevano di orribile le sensazioni credute fisiche.»

— Intravedete un termine alle vostre sofferenze?

«Io so che esse non saranno eterne; ma il termine ancora non lo intravedo. Bisogna che prima ricominci la prova.»

— Sperate di ricominciarla presto?

«Ancora non lo so.»

— Avete memoria delle vostre precedenti esistenze? Ve lo chiedo con intento istruttivo.

«Sì. Le tue guide, le quali sanno ciò di cui hai bisogno, sono qui. Io ho vissuto sotto Marco Aurelio. Là, ancora potente, avevo già ceduto all'orgoglio, causa di tutte le cadute. Dopo aver errato per secoli, ho voluto sperimentare una vita oscura. Povero studente, ho mendicato il mio pane, ma l'orgoglio mi possedeva sempre. Lo Spirito aveva guadagnato in scienza, ma non in virtù. Dotto e ambizioso, ho venduto la mia anima ai maggiori offerenti, servendo tutte le vendette e tutti gli odii. Mi sentivo colpevole, ma la sete di onori e ricchezze soffocava il grido della mia coscienza. L'espiazione è stata finora lunga e crudele. Infine, nella mia ultima incarnazione, ho voluto ricominciare una vita di lusso e di potere. Pensando di riuscire a superare le difficoltà, non ho voluto ascoltare gli avvertimenti. Era l'orgoglio che mi portava ancora una volta a confidare nel mio stesso giudizio, piuttosto che in quello dei miei amici protettori, i quali non cessano mai di vegliare su di noi. Il risultato di questo mio ultimo tentativo tu lo conosci. Oggi, finalmente, ho compreso e spero nella misericordia del Signore. Metto ai Suoi piedi il mio orgoglio sconfitto e Gli chiedo di caricare le mie spalle del più pesante dei Suoi fardelli d'umiltà. Aiutato dalla Sua grazia, il fardello mi sembrerà leggero. Pregate con me e per me; pregate anche perché questo demone di fuoco non divori in voi gli istinti che vi elevano verso Dio. Fratelli nella sofferenza, che il mio esempio vi serva, e non dimenticate mai che l'orgoglio è il nemico della felicità, perché da esso derivano tutti i mali che affliggono l'Umanità e la perseguitano fin nelle regioni celesti.»

La guida del medium. Tu hai concepito dei dubbi su questo Spirito, perché il suo linguaggio non ti è sembrato in accordo con il suo stato di sofferenza, il che prova la sua inferiorità. Vai senza paura: tu hai ricevuta un'istruzione seria. Per quanto questo Spirito possa essere sofferente, egli è abbastanza elevato intellettualmente, per parlare come ha parlato. Mancava solo di quella umiltà senza la quale nessuno Spirito può assurgere fino a Dio. Questa umiltà egli l'ha conquistata ora, e noi speriamo che, con la perseveranza, egli uscirà trionfante da una nuova prova.

Il nostro Padre celeste è pieno di giustizia nella Sua saggezza; Egli tiene conto degli sforzi che l'uomo fa per domare i suoi cattivi istinti. Ogni vittoria riportata su voi stessi è un gradino superato di quella scala, un'estremità della quale poggia sulla vostra Terra, e l'altra estremità si arresta ai piedi del Giudice supremo. Salite dunque con coraggio: leggeri da superare sono quei gradini per coloro che hanno una volontà tenace. Guardate sempre in alto per darvi coraggio, perché disgrazia incoglie a colui che si ferma e volge indietro la testa! Egli viene allora colpito da capogiro; il vuoto che lo circonda lo spaventa; si ritrova senza forze e dice: "A che pro voler avanzare ancora? Ho fatto così poco cammino!" No, amici miei, non volgete mai indietro la testa. L'orgoglio è insito nell'uomo. Ebbene, impiegate questo orgoglio per darvi forza e coraggio per terminare la vostra ascensione. Impiegatelo per debellare le vostre debolezze e salite fino alla sommità della montagna eterna.

Pascal Lavic

(Le Havre, 9 agosto 1863)

Questo Spirito comunica spontaneamente con il medium, senza che questi l'abbia conosciuto da vivo, neppure di nome.

"Io credo nella bontà di Dio che vorrà aver misericordia del mio povero Spirito. Io ho sofferto, ho molto sofferto, e il mio corpo è perito in mare. Il mio Spirito era sempre attaccato al mio corpo, e per lungo tempo è andato errando nei flutti. Dio..."

(La comunicazione viene interrotta; il giorno dopo, lo Spirito continua.)

"... Dio ha voluto permettere che le preghiere di coloro che ho lasciato in Terra mi traessero dallo stato di turbamento e d'incertezza in cui il mio Spirito era piombato. Per lungo tempo essi mi hanno atteso, poi hanno potuto ritrovare il mio corpo. Ora esso riposa, e il mio Spirito, a fatica liberatosi, vede gli errori commessi. A prova consumata, Dio giudica con giustizia, e la Sua bontà si estende su tutti i pentiti. Se per lungo tempo il mio Spirito ha errato con il mio corpo, è per il fatto che dovevo espiare. Seguite la retta via, se volete che Dio prontamente ritiri il vostro Spirito dal suo involucro. Vivete nel Suo amore, pregate, e la morte, così terribile per certuni, sarà dolce per voi, perché voi sapete la vita che vi attende. Io sono perito in mare, e per lungo tempo sono stato atteso. Non potermi distaccare dal mio corpo era per me una terribile prova. È per questo che ho bisogno delle vostre preghiere, di voi che avete fatto il vostro ingresso nel credo che salva, di voi che potete pregare per me il Dio di giustizia Io mi pento e spero ch'Egli vorrà perdonarmi. Il mio corpo è stato rinvenuto il 6 agosto. Ero un povero marinaio e sono morto molto tempo fa. Pregate per me!"

Pascal Lavic

— Dove siete stato ritrovato?

«Non molto lontano da voi.»

Il Journal du Havre dell'il agosto 1863 conteneva l'articolo che qui di seguito riportiamo e di cui il medium non poteva essere a conoscenza.

"Abbiamo già dato notizia che, il giorno 6 di questo mese, è stato rinvenuto il tronco mutilato di un cadavere, arenatosi tra Bléville e La Hève. Esso mancava della testa, delle braccia e del busto. Cionondimeno si è potuta costatare la sua identità attraverso le calzature ancora ai piedi. È stato così riconosciuto che quello era il corpo del pescatore Lavic, il quale era morto 1'11 dicembre, scaraventato in mare da un'ondata, davanti a Tronville, mentre si trovava a bordo del peschereccio l'Alerte. Lavic aveva quarantanove anni ed era nato a Calais. Ne ha costatata l'identità la vedova del defunto."

Il 12 agosto, mentre si discuteva di tale avvenimento, nel circolo dove questo Spirito si era manifestato la prima volta, questi diede di nuovo e spontaneamente la seguente comunicazione:

"Sono in realtà Pascal Lavic e ho bisogno delle vostre preghiere.

Voi potete farmi del bene, perché la prova che ho subito è stata terribile. La separazione del mio Spirito dal mio corpo è avvenuta solo allorché ho riconosciuto le mie colpe. Oltre a ciò, non ancora totalmente distaccato, il mio Spirito continuava a seguire il mio corpo sul mare che lo aveva inghiottito. Pregate dunque Dio di perdonarmi. Pregate perché mi dia la pace. Pregate ve ne supplico. Che questa terribile fine di una esistenza terrena disgraziata sia per voi un ben grande insegnamento! Voi dovete pensare alla vita futura e non dovete mancare di chiedere a Dio la Sua misericordia. Pregate per me.

Ho bisogno che Dio abbia pietà di me."

Pascal Lavic

Ferdinand Bertin

Un medium, che abitava a Le Havre, stava evocando lo Spirito di una persona che era a lui nota. Questo Spirito risponde: "Io voglio comunicare, ma non riesco a superare l'ostacolo che c'è tra di noi. Sono perciò costretto a lasciare che questi sventurati che soffrono si avvicinino a voi". Ed egli riceve pertanto la seguente comunicazione spontanea:

"Mitrovo in un abisso spaventoso! Aiutatemi… O mio Dio! Chi mi trarrà fuori da questo gorgo?... Chi tenderà una mano soccorritrice al disgraziato che il mare inghiotte?... La notte è così nera che io ho paura... Dappertutto il mugghiare dei marosi, e nessuna parola amica per consolarmi e aiutarmi in questo momento supremo; perché questa notte profonda è la morte in tutto il suo orrore, e io non voglio morire!... O mio Dio! Questa non è la morte futura, questa è la morte passata!... Sono separato per sempre da coloro che amo... Vedo il mio corpo, e ciò che provavo poco fa altro non è che il ricordo della spaventosa angoscia della separazione... Abbiate pietà di me, voi che conoscete le mie sofferenze. Pregate per me, perché non voglio provare di nuovo, come mi è accaduto dopo quella notte fatale, tutte le lacerazioni dell'agonia!... Questa, tuttavia, è la mia punizione; lo presagisco... Pregate, ve ne scongiuro!... Oh il mare!... il freddo... sto per essere inghiottito!... Aiuto!... Abbiate pietà! Non respingetemi!... Ci salveremo in due su quel relitto!... Oh, affogo!... Le onde stanno per inghiottirmi, e i miei cari non avranno neppure la triste consolazione di rivedermi!... Ma non è così! Vedo che il mio corpo non è più sballottato dalle onde... Le preghiere di mia madre saranno ascoltate... La mia povera madre! Se potesse immaginare come in realtà sia sventurato suo figlio, pregherebbe di più. Ma ella crede che la causa della mia morte abbia santificato il mio passato. Mi piange come un martire e non come un disgraziato punito!... Oh! voi che sapete, sarete voi senza pietà? No! Voi pregherete."

François Bertin


Questo nome, completamente sconosciuto, non suggeriva al medium alcun ricordo. Egli pensò allora che, senza dubbio, era lo Spirito di qualche sventurato naufrago che veniva a manifestarsi spontaneamente a lui, come già gli era accaduto parecchie volte. Poco più tardi seppe che quello era il nome d'una delle vittime di un grande disastro marittimo, che era accaduto nei paraggi il 2 dicembre 1863. La comunicazione era stata data il giorno 8 dello stesso mese, cioè sei giorni dopo la catastrofe. L'uomo era perito mentre faceva inauditi tentativi per salvare l'equipaggio e nel momento stesso in cui credeva d'essersi assicurata la salvezza.

Questo individuo non era legato al medium da nessun vincolo, né di parentela né di conoscenza. Perché allora si è manifestato a lui piuttosto che a qualche membro della sua famiglia? Il fatto è che gli Spiriti non in tutti trovano le condizioni fluidiche necessarie alla manifestazione. Nel turbamento in cui si trovava, egli non aveva d'altra parte alcuna libertà di scelta. Istintivamente e attrattivamente era stato portato verso questo medium, dotato, a quanto pareva, di una speciale attitudine per le comunicazioni spontanee di quel genere. Senza dubbio presentiva anche che avrebbe trovata in lui una particolare simpatia, come l'avevano trovata altri in circostanze simili. La sua famiglia, estranea allo Spiritismo, forse contraria a questa credenza, non avrebbe accolto la sua rivelazione, come invece poteva fare questo medium.

Benché la morte risalisse a qualche giorno addietro, lo Spirito ne subiva ancora tutte le angosce. È evidente che non si rendeva assolutamente conto della sua situazione. Egli si credeva ancora vivo, mentre lottava contro i flutti. Tuttavia parla del suo corpo come se ne fosse separato. Grida al soccorso, dice che non vuole morire e un istante dopo parla della causa della sua morte, ch'egli riconosce essere un castigo. Tutto ciò denota la confusione di idee che quasi sempre fa seguito alle morti violente.

Due mesi più tardi, il 2 febbraio 1864, egli comunica di nuovo spontaneamente col medesimo medium e gli detta ciò che segue: "La pietà che voi avete dimostrato per le mie sofferenze così orribili mi ha confortato. Comprendo la speranza; intravedo il perdono, ma dopo il castigo per la colpa commessa. Io soffro sempre, e se Dio permette che, per alcuni istanti, io intraveda la fine della mia disgrazia, è solo alle preghiere delle anime caritatevoli, impietosite dalla mia situazione, che io devo questo addolcimento. O speranza, raggio del Cielo, che tu sia benedetta quando ti sento nascere nella mia anima!... Ma, ohimè, l'abisso si squarcia! Il terrore e la sofferenza cancellano quel ricordo di misericordia... La notte. Sempre la notte!... L'acqua, il fragore delle onde che hanno inghiottito il mio corpo non sono che una fragile immagine dell'orrore che circonda il mio povero Spirito... Io sono più calmo quando posso stare accanto a voi; perché allo stesso modo che un terribile segreto, allorché venga deposto nel cuore di un amico, dà sollievo a colui che ne era oppresso, così la vostra pietà, mossa dalla rivelazione delle mie miserie, placa il mio male e dà tregua al mio Spirito... Le vostre preghiere mi fanno bene; non negatemele. Non voglio ripiombare in quell'orribile incubo che diventa realtà quando lo vedo... Prendete più spesso quella matita. Mi fa tanto bene comunicare con voi!"

A qualche giorno di distanza, a questo stesso Spirito, evocato in una riunione spiritista di Parigi, furono rivolte le domande sottoelencate, alle quali egli rispose, con una sola e stessa comunicazione, per mezzo di un altro medium.

— Che cosa vi ha spinto a manifestarvi spontaneamente al primo medium col quale avete comunicato? — Quanto tempo era trascorso da quando eravate morto a quando vi siete manifestato? — Quando avete comunicato, sembravate incerto se foste ancora vivo o già morto, e provavate tutte le angosce d'una morte terribile. Vi rendete più chiaramente conto, ora, della vostra situazione? — Avete detto, in modo assoluto, che la vostra morte era una espiazione. Vorreste dircene la causa? Ciò sarà per noi un insegnamento, e per voi un sollievo. Attraverso questa confessione sincera voi vi attirerete la misericordia di Dio, che noi solleciteremo con le nostre preghiere.

«Sembra impossibile, di primo acchito, che una creatura possa soffrire così crudelmente. Dio! Com'è angoscioso vedersi costantemente in mezzo alla furia delle onde, e sentire senza tregua questa amarezza, questo freddo glaciale che sale, che afferra lo stomaco! Ma a che serve intrattenervi sempre su questo spettacolo? Non dovrei forse — per obbedire alle leggi della riconoscenza — incominciare col ringraziare voi tutti, che mostrate un così grande interesse per i miei tormenti? Voi mi domandate se io mi sia manifestato molto tempo dopo la mia morte. Non mi è possibile rispondere tanto facilmente. Pensate e giudicate in quale orribile situazione io ancora mi trovo! Tuttavia, sono stato condotto accanto al medium, io credo, da una volontà estranea alla mia. Inoltre — cosa che non mi è possibile comprendere — io mi servivo del suo braccio con la medesima facilità con cui mi servo del vostro in questo momento, convinto ch'esso mi appartenesse. Al momento io sento, perfino, che questa è una gioia ben grande, come un particolare sollievo che, ahimè, ben presto finirà. Ma, Dio mio, dovrei fare una confessione; ne avrò la forza?»

Dopo molti incoraggiamenti, lo Spirito aggiunge: «Io sono molto colpevole! Ciò che soprattutto mi addolora è il fatto che si creda che io sia un martire; niente affatto... In una precedente esistenza, io ho fatto mettere in un sacco parecchie vittime e le ho fatte gettare in mare... Pregate per me!»

Istruzione di san Luigi su questa comunicazione. Questa confessione sarà, per questo Spirito, causa di grande consolazione. Sì, egli è stato grandemente colpevole! Ma l'esistenza che ha appena lasciato è stata onorevole. Egli era amato e stimato dai suoi capi. E questo è il frutto del suo pentimento e delle buone risoluzioni che aveva preso prima di ritornare sulla Terra, dove ha voluto essere tanto umano quanto era stato crudele nella precedente esistenza. L'abnegazione di cui ha dato prova era già una riparazione, ma era necessario ch'egli riscattasse le passate colpe con un'ultima espiazione, quella della morte crudele ch'egli ha subito. Ha voluto lui stesso purificarsi subendo le torture che aveva fatto patire agli altri. Osservate, poi, che un'idea lo perseguita: il dolore di costatare che si guardi a lui come a un martire. Credetemi, si terrà conto di questo suo sentimento d'umiltà. Ormai egli ha lasciato la via dell'espiazione per entrare in quella della riabilitazione. Con le vostre preghiere voi potete sostenerlo in ciò, e farlo procedere con passo più fermo e più sicuro.

François Riquier

François Riquier era un comunissimo uomo, un vecchio avaro e un vecchio scapolo, morto a C... nel 1857, lasciando un patrimonio abbastanza considerevole ai parenti collaterali. Egli era stato un tempo il padrone di casa di una signora, la quale in seguito l'aveva completamente dimenticato e non sapeva neppure se egli fosse ancora di questo mondo. Nel 1862, la figlia di questa signora, che è soggetta a crisi di catalessi, seguite da un sonno magnetico spontaneo, e che è inoltre un'ottima medium scrivente, vide, in uno di questi sonni, il signor Riquier il quale, disse, voleva rivolgersi a sua madre. Dopo alcuni giorni, poiché si era manifestato spontaneamente e aveva espresso il desiderio di parlare con quella signora, avvenne con lui la seguente conversazione:

— Che cosa volete da noi?

I miei averi! Mi hanno preso tutto, quei miserabili, per dividerselo tra loro! Hanno venduto le mie fattorie, le mie case, tutto, per dividerselo. Hanno dilapidato i miei beni, come se non appartenessero a me. Fate che mi sia resa giustizia, perché a me loro non danno retta, e io non voglio tollerare tali infamie. Che ero un usuraio, dicono, e intanto si trattengono il mio denaro! Perché non vogliono rendermelo, dal momento che ritengono che sia stato mal guadagnato?»

— Ma voi siete morto, caro il mio buonuomo. Non avete più bisogno di denaro. Chiedete piuttosto a Dio di darvi una nuova esistenza del tutto povera, così da espiare l'avarizia dell'ultima.

«No. Io non potrei vivere da povero. Ci vuole il mio denaro per farmi vivere. D'altronde io non ho bisogno di vivere un'altra vita, dal momento che attualmente sono vivo.»

(La domanda che segue è formulata con lo scopo di ricondurlo alla realtà.)

— Soffrite?

«Oh sì! Soffro torture peggiori della malattia più crudele, perché è la mia anima che patisce queste torture. Ho sempre davanti alla mente l'iniquità della mia vita, che è stata oggetto di scandalo per molti. So bene d'essere stato un miserabile indegno di pietà; ma soffro tanto che bisogna aiutarmi a uscire da questo miserabile stato.»

— Noi pregheremo per voi.

«Grazie! Pregate perché io possa dimenticare le mie ricchezze terrene. Senza di ciò io non potrò mai pentirmi. Addio e grazie.»

François Riquier
Rue de la Charité, n. 14


È abbastanza curioso vedere questo Spirito dare il suo indirizzo, come se fosse ancora vivo. La signora, che tale indirizzo ignorava, si premurò di andare a verificarlo; e fu molto sorpresa nel costatare che la casa indicata era proprio l'ultima in cui il signor Riquier aveva abitato. Così, dopo cinque anni, egli non si credeva morto e si trovava ancora nell'angoscia, terribile per un avaro, di vedere i suoi beni spartiti tra gli eredi. L'evocazione, senza dubbio provocata da qualche buono Spirito, ha avuto per effetto di fargli comprendere la sua posizione e di disporlo al pentimento.

Claire

(Società Spiritista di Parigi, 1861)

Lo Spirito che ha dettato le comunicazioni, che riportiamo qui sotto, è quello di una donna che il medium aveva conosciuto da viva, e la cui condotta e il cui carattere giustificano anche troppo i tormenti ch'ella patisce. La donna era soprattutto dominata da un esasperato sentimento d'egoismo e di orgoglio personale, che si riflette nella terza comunicazione, con la pretesa di volere che il medium si occupi soltanto di lei. Queste comunicazioni sono state ottenute in epoche diverse; le ultime tre denotano un sensibile progresso nelle predisposizioni dello Spirito, grazie alle cure del medium, il quale aveva intrapreso la sua educazione morale.

I. "Eccomi qui, sono io, la sventurata Claire. Che cosa vuoi che ti dica? La rassegnazione e la speranza sono soltanto delle parole per chi sa che, innumerevoli come i ciottoli del greto di un fiume, le sue sofferenze dureranno per tutto l'interminabile susseguirsi dei secoli. Che ne dici? Posso addolcirle? Quali vaghe parole! Dove trovare il coraggio, la speranza per tutto questo? Cerca dunque, cervello limitato, di comprendere che questo è un giorno che non finisce mai. È un giorno, un anno, un secolo? Che ne so io? Le ore non lo dividono, le stagioni non lo variano. Eterno e lento come l'acqua che stilla da una roccia, questo giorno esecrato, questo giorno maledetto pesa su di me come una cassa di piombo...Io soffro!... Non vedo attorno a me che ombre silenziose e indifferenti...Io soffro!

Eppure lo so. Al di sopra di questa miseria regna Dio, il Padre, il Maestro, Colui verso il quale tendono tutte le cose. Voglio pensare a Lui. Voglio implorarLo.

Io mi dibatto e mi trascino come uno storpio che si inerpica lungo il cammino. Io non so quale potere mi attiri verso di te. Sei tu forse la salvezza? Ti lascio e mi sento un po' quietata, un po' riscaldata. Come un vecchio tremante è rianimato da un raggio di sole, così la mia anima ghiacciata attinge nuova vita avvicinandosi a te."

II. "La mia sventura aumenta di giorno in giorno; aumenta nella misura in cui la consapevolezza dell'eternità si sviluppa in me. O meschinità, quanto vi maledico ore colpevoli, ore d'egoismo e d'oblio, in cui, disconoscendo ogni carità e ogni dedizione, io non pensavo che al mio benessere! Siate maledetti umani interessi e vane preoccupazioni materiali! Siate maledetti, voi che mi avete accecata e perduta! Io sono rosa dal continuo rimpianto del tempo passato. Che cosa dirò a te che mi ascolti? Veglia di continuo su te stesso; ama gli altri più di te stesso; non attardarti sulla via del benessere; non ingrassare il tuo corpo a spese della tua anima; stai attento, come diceva il Salvatore ai suoi discepoli. Non ringraziarmi per questi consigli, il mio Spirito li comprende, ma il mio cuore non li ha mai ascoltati. Come un cane frustato, la paura mi fa rabbrividire, ma io non conosco ancora l'amore spontaneo. Tarda molto a levarsi la sua divina aurora! Prega per la mia anima arida e così miserabile!"

III. "Vengo a cercarti fin qui, poiché tu mi stai dimenticando. Credi dunque che delle preghiere isolate, pronunciate a mio nome, saranno sufficienti all'appagamento della mia pena? No. Cento volte no. Io fremo di dolore. Erro senza tregua, senza asilo, senza speranza, sentendo l'eterno aculeo del castigo affondare nella mia anima che si ribella. Rido quando sento i vostri lamenti, quando vi vedo abbattuti. Che cosa sono le vostre effimere miserie, che cosa le vostre lacrime, che cosa i vostri tormenti che il sonno interrompe? E io, dormo forse io? Io voglio — capisci? — io voglio che tu ti occupi di me! Lascia stare le tue dissertazioni filosofiche! Lascia che se ne occupino gli altri. Io non trovo espressioni atte a dipingere l'angoscia di questo tempo che scorre, senza che le ore ne scandiscano i periodi. A stento vedo un flebile raggio di speranza, e questa speranza sei stato tu a darmela. Non abbandonarmi, dunque."

IV. Lo Spirito di san Luigi. Questo quadro è anche troppo vero. Non è affatto esagerato. Forse, ci si domanderà che cosa ha potuto mai fare questa donna per essere così sventurata. Ha, forse, ella commesso qualche orribile crimine? Ha ella rubato, ucciso? No. Ella non ha commesso nulla che potesse meritare la giustizia degli uomini. Godeva, al contrario, di ciò che voi chiamate le felicità terrene. Bellezza, ricchezza, piaceri, adulazioni, tutto le sorrideva, nulla le mancava, e, vedendola, di lei si diceva: "Che donna fortunata!" e si invidiava la sua sorte. Che cosa ha fatto? È stata egoista. Aveva tutto, eccetto il buon cuore. Se essa non ha violato la legge degli uomini, ha violato la legge di Dio, perché ha disconosciuto la carità, la prima delle virtù. Essa non ha amato che sé stessa, ora non è amata da nessuno. Nulla ha dato, nulla le si dà. È isolata, abbandonata, trascurata, perduta nello Spazio dove nessuno pensa a lei, nessuno si occupa di lei. È questo che rende il suo castigo un supplizio. Siccome non ha ricercato che le gioie mondane — e oggi queste gioie non esistono più per lei — le si è fatto il vuoto intorno. Essa non vede che il nulla, e il nulla le sembra l'eternità. Non patisce torture fisiche: i diavoli non vanno a tormentarla; ma ciò non è necessario: è lei a tormentare sé stessa. Così soffre ben di più, perché questi diavoli sarebbero pur sempre degli esseri che penserebbero a lei. L'egoismo ha determinato la sua gioia sulla Terra: ora, esso la perseguita. Questo è ora il verme che le rode il cuore, questo il suo vero demone.

San Luigi


V. "Vi parlerò, ora, dell'importante differenza che esiste tra la morale divina e la morale umana. La prima assiste la donna adultera nel suo abbandono, e dice ai peccatori: "Pentitevi, e il regno dei cieli vi sarà aperto". La morale divina, infine, accetta tutti i pentimenti e tutte le colpe confessate, mentre la morale umana li respinge e ammette, sorridendo, i peccati nascosti che, dice, sono per metà perdonati. All'una la grazia del perdono, all'altra l'ipocrisia. Scegliete, Spiriti avidi di verità! Scegliete, tra i cieli aperti al pentimento e la tolleranza che ammette il male quando non disturbi l'egoismo e le sue false convenzioni, ma che respinge la passione e i singhiozzi di colpe confessate alla luce del sole. Pentitevi, voi tutti che peccate! Rinunciate al male, ma rinunciate soprattutto all'ipocrisia, che nasconde l'abiezione con la maschera ridente e ingannatrice delle mutue convenzioni.

VI. Io sono ora calma e sono rassegnata alla espiazione delle colpe che ho commesso. Il male è in me e non fuori di me. È dunque me stessa che devo cambiare e non le cose esterne. Noi portiamo dentro di noi il nostro Cielo e il nostro inferno. Le nostre colpe, impresse nella coscienza, sono correntemente lette nel giorno della resurrezione e siamo noi allora i giudici di noi stessi, poiché lo stato della nostra anima ci innalza o ci precipita. E mi spiego: uno Spirito impuro e sovraccarico di colpe non può né concepire né desiderare una elevazione che non saprebbe sopportare. Davvero, credete: come le differenti specie di esseri vivono ciascuna nella sfera che le è propria, così gli Spiriti, a seconda del loro grado di avanzamento, si muovono nell'ambiente adeguato alle loro facoltà. Essi non concepiscono altro fin quando il progresso, strumento della lenta trasformazione delle anime, non li sottrae alle loro basse tendenze; li fa dispogliare della crisalide del peccato, affinché essi possano svolazzare, prima di lanciarsi, rapidi come frecce, verso Dio divenuto loro unico e desiderato fine. Ahimè, io neppure ancora mi trascino, ma non odio più e comprendo l'ineffabile felicità dell'amore divino. Prega dunque sempre per me, che spero e attendo."

Nella comunicazione che segue, Claire parla di suo marito — dal quale molto ella aveva avuto a soffrire da viva — e della posizione in cui egli si trova oggi nel mondo degli Spiriti. Questo quadro, che non ha potuto completare da sé stessa, è stato completato dalla guida spirituale del medium.

VII. "Vengo da te, da te che da lungo tempo mi tieni nell'oblio. Ma io ho conquistato la rassegnazione e non sono più disperata. Tu vuoi sapere qual è la situazione del povero Felix. Egli era nelle tenebre, in preda a un profondo denudamento dell'anima. Il suo essere superficiale e leggero, avvilito dal sensualismo, ha sempre ignorato l'amore e l'amicizia. Neppure la passione, coi suoi cupi bagliori, l'ha illuminato. Io paragono il suo stato presente a quello di un bambino inabile alle funzioni della vita e privato dell'aiuto da parte di coloro che lo assistono. Felix erra con terrore in questo mondo a lui estraneo, in cui tutto risplende della luce di quel Dio, che egli ha negato..."

VIII. La guida del medium. Claire non può continuare l'analisi delle sofferenze di suo marito senza risentirne lei stessa. Perciò parlerò io per lei.

Felix, che era superficiale intellettivamente quanto sentimentalmente, violento perché era debole, debosciato perché era freddo, è entrato nel mondo degli Spiriti nudo moralmente come nudo era stato fisicamente. Entrando nella vita terrena, nulla egli ha acquisito e, di conseguenza, tutto egli deve ricominciare. Quale uomo che si svegli da un lungo sogno e riconosca quanto inutile sia stata l'agitazione dei suoi nervi, questo povero essere, uscendo dal perturbamento, riconoscerà che è vissuto di chimere che hanno ingannato la sua vita. Maledirà il materialismo che l'ha indotto ad abbracciare il nulla, quando credeva di stringere la realtà. Maledirà il positivismo che gli faceva definire come chimere le idee di una vita futura, come follie le aspirazioni, e come debolezza la fede in Dio. Lo sventurato, svegliandosi, vedrà che quei nomi da lui scherniti sono la formula della verità, e che, al contrario della favola, la caccia alla preda è stata meno proficua di quella all’ombra.

Georges


Studi sulle comunicazioni di Claire


Queste comunicazioni sono istruttive soprattutto in quanto ci mostrano uno dei lati più volgari della vita: quello dell'egoismo. Non si tratta qui di quei gravi crimini che fanno inorridire tutti — anche gli uomini perversi —, ma si tratta della condizione di una folla di persone le quali vivono in questo mondo onorate e venerate, sia perché hanno una certa vernice, sia perché le loro azioni non cadono sotto la pena delle leggi sociali. Neppure nel mondo degli Spiriti ci sono punizioni eccezionali, il cui quadro potrebbe far rabbrividire, ma v'è una situazione semplice e naturale, conseguenza del loro modo di vivere e dello stato della loro anima. L'isolamento, l'abbandono, ecco la punizione di colui che ha vissuto solo per sé stesso. Claire, era come abbiamo visto, uno Spirito molto intelligente, ma anche un cuore arido. Sulla Terra, la sua posizione sociale, le sue ricchezze, le sue prerogative fisiche le procuravano omaggi che appagavano la sua vanità, e ciò le era sufficiente. Qui ella non incontra altro che indifferenza, e intorno a lei si fa il vuoto. Punizione questa ancora più cocente del dolore, poiché è mortificante. Il dolore, infatti, ispira pietà, compassione: è ancora un modo per attirare gli sguardi, per far sì che ci si occupi di noi, che ci si interessi alla nostra sorte.

La sesta comunicazione racchiude un'idea perfettamente vera, in quanto spiega l'ostinazione di certi Spiriti nel commettere il male. Ci si stupisce nel vedere che alcuni di essi sono insensibili all'idea e anche allo spettacolo della felicità di cui godono i buoni Spiriti. Essi si trovano esattamente nella posizione di quegli uomini degradati che, nel fango, godono dei volgari piaceri sensuali. Qui, questi uomini sono in qualche modo nel loro ambiente; essi non concepiscono la delicatezza di certe gioie. Preferiscono i loro luridi cenci a un abbigliamento dignitoso e decente — perché vi si trovano più a loro agio —, le loro feste orgiastiche ai piaceri della buona compagnia. Si sono talmente identificati con questo genere di vita da diventare essa quasi una loro seconda natura; inoltre si ritengono incapaci di elevarsi al di sopra della loro sfera — ed è per questo che vi restano —, finché una trasformazione del loro essere non abbia dischiuso la loro intelligenza, sviluppando in essi il senso morale e rendendoli aperti a sensazioni più sottili.

Questi Spiriti, allorché sono disincarnati, non possono istantaneamente acquisire delicatezza dei sentimenti, cosicché durante un periodo di tempo più o meno lungo, essi occuperanno i bassifondi del mondo spirituale, così come hanno occupato i bassifondi del mondo corporale; e vi resteranno fintantoché saranno ribelli al progresso. Ma con il passar del tempo, con l'esperienza, le tribolazioni, le miserie delle incarnazioni successive, arriva il momento in cui essi concepiscono che esiste qualcosa di meglio di ciò che hanno, e le loro aspirazioni s'innalzano. Incominciano a comprendere che cos'è ciò che loro manca ed è allora che fanno degli sforzi per ottenerlo e per elevarsi. Una volta imboccata questa strada, la percorrono con rapidità, perché hanno assaporato una soddisfazione che appare loro ben superiore e al cui confronto le altre, essendo solo delle grossolane sensazioni, finiscono per ispirar loro della ripugnanza.

— (Domanda rivolta a san Luigi) Che cosa bisogna intendere per tenebre, quelle cioè in cui sono immerse certe anime sofferenti? Si tratta delle tenebre di cui tanto spesso si parla nelle Scritture?

«Le tenebre in questione sono realmente quelle designate da Gesù e dai profeti, quando parlano del castigo riservato ai malvagi. Ma questo altro non è, anche qui, che un'allegoria destinata a colpire i sensi materiali dei contemporanei, che non avrebbero potuto concepire una punizione di carattere spirituale. Certi Spiriti sono immersi nelle tenebre, ma con questo si deve intendere una vera e propria notte dell'anima paragonabile all'oscurità da cui viene colpita l'intelligenza dell'idiota. Non si tratta di una follia dell'anima, ma di una inconsapevolezza di sé stessa e di ciò che la circonda, che avviene sia in presenza sia in assenza della luce materiale. È, soprattutto, la punizione di coloro che hanno dubitato della destinazione del loro essere. Essi hanno creduto nel nulla, e l'apparenza di questo nulla diventerà il loro supplizio, finché l'anima, ritornata in sé stessa, non lacererà con energia la rete di prostrazione morale che l'ha fino ad allora catturata. Allo stesso modo, un uomo, oppresso da un sogno angoscioso, lotta a un dato momento, con tutta la forza delle sue facoltà, contro i terrori da cui all'inizio si è lasciato dominare. Questa momentanea riduzione dell'anima a un nulla fittizio, con la consapevolezza della sua esistenza, è una sofferenza più crudele di quanto si possa immaginare, a causa di questa quiete apparente da cui essa è colpita; è questo riposo forzato, questa nullità del suo essere, questa incertezza che costituiscono il suo supplizio. Ma è la noia da cui è oppressa il suo più terribile castigo, poiché nulla essa percepisce attorno a sé, né cose né esseri. In tutto ciò consistono le sue vere tenebre.»

San Luigi


(Claire) "Eccomi! Anch'io posso rispondere alla domanda riguardo alle tenebre, poiché ho errato e sofferto per lungo tempo in questi limbi, dove tutto è pianto e miserie. Sì, le tenebre visibili di cui parlano le Scritture esistono. I disgraziati che, terminate le loro prove terrene, lasciano la vita, ignoranti o colpevoli, vengono sprofondati nella gelida regione, inconsapevoli di sé stessi e dei loro destini. Essi credono che quella loro situazione sia eterna, balbettano ancora quelle parole della vita dalle quali sono stati sedotti, e si stupiscono e si spaventano di quella loro grande solitudine. Quel luogo vuoto eppur popolato, quello spazio in cui, trascinati via pallidi e gementi, gli Spiriti errano senza consolazione, senza affetti, senza soccorso di sorta, sono le tenebre. A chi rivolgersi?... Essi sentono là l'eternità pesare su di loro. Tremano e rimpiangono i meschini interessi che scandivano le loro ore; rimpiangono la notte che, succedendo al giorno, traduceva spesso i loro affanni in un sogno felice. Pertanto le tenebre sono per gli Spiriti: l'ignoranza, il vuoto e l'orrore dell’ignoto... Non posso continuare..."

Claire


Di questa oscurità è stata data anche la seguente spiegazione:

"Il perispirito possiede, per sua natura, una proprietà luminosa che si sviluppa sotto il dominio dell'attività e delle qualità dell'anima. Si potrebbe dire che queste qualità stanno al fluido del perispirito come il frizionamento sta al fosforo. L'intensità della luce è in ragione della purezza dello Spirito; le più piccole imperfezioni morali la oscurano e la indeboliscono. La luce che s'irradia da uno Spirito è perciò tanto più vivida quanto questi è più avanzato. Essendo, in qualche modo, ogni Spirito portatore della sua stessa luce, egli vedrà proporzionalmente alla intensità della luce che produce. Da ciò risulta che coloro i quali non ne producono affatto si trovano nell'oscurità più assoluta."

Questa teoria è perfettamente esatta riguardo all'irraggiamento del fluido luminoso da parte degli Spiriti superiori, ed è confermata dall'osservazione. Ma questa non pare essere la vera causa o, almeno, l'unica del fenomeno di cui stiamo parlando, considerato che: 1°) non tutti gli Spiriti inferiori sono nelle tenebre; 2°) il medesimo Spirito non può trovarsi alternativamente nella luce e nella oscurità; 3°) la luce può essere un castigo per certi Spiriti molto molto imperfetti. Se l'oscurità in cui sono immersi certi Spiriti fosse inerente alla loro personalità, essa sarebbe permanente e generale per tutti gli Spiriti malvagi — cosa che non è affatto —, poiché Spiriti di estrema perversità vedono perfettamente, mentre altri, che non potremmo definire perversi, si trovano temporaneamente in tenebre profonde. Tutto prova dunque che, oltre quella che è loro propria, gli Spiriti ricevono egualmente una luce esterna, che viene loro a mancare a seconda delle circostanze. Da tutto ciò bisogna concludere che questa oscurità dipende da una causa o da una volontà estranea, e che essa costituisce una punizione speciale per dei casi stabiliti dalla sovrana giustizia.

(Domanda rivolta a san Luigi.) Qual è la causa per cui l'educazione morale degli Spiriti disincarnati è più facile di quella degli incarnati? 4 rapporti stabiliti dallo Spiritismo tra gli uomini e gli Spiriti dimostrano come questi ultimi si correggano più rapidamente — sotto l'influenza di salutari consigli — di coloro che sono incarnati, come si può ben vedere attraverso le cure delle ossessioni.»

(Società di Parigi.) «L'incarnato, per sua stessa natura, si trova in uno stato di lotta senza tregua per via degli elementi contrari di cui è composto, e che devono condurlo alla sua fine provvidenziale, reagendo l'uno sull'altro. La materia subisce facilmente il predominio di un fluido esterno; se l'anima non reagirà, con tutta la forza morale di cui è capace, si lascerà dominare dall'intermediario del suo corpo. Non solo, ma seguirà l'impulso delle influenze perverse da cui è circondata, e con una facilità ben più grande, in quanto gli invisibili che la assediano attaccano di preferenza i punti più vulnerabili, le tendenze verso la passione dominante.

Per lo Spirito disincarnato, è tutt'altra cosa. Egli, è vero, è ancora sotto un'influenza semi materiale, ma questo stato non ha nulla di paragonabile con quello dell'incarnato. Il rispetto umano, così preponderante tra gli uomini, è inesistente per lo Spirito disincarnato, e questo solo pensiero è sufficiente per indurlo a non resistere a lungo alle ragioni che il suo proprio interesse gli presenta come buone. Può lottare, e in genere lotta, con maggiore violenza dell'incarnato — perché è più libero —, ma nessuna meschina visione d'interesse materiale o di posizione sociale ostacolerà il suo giudizio. Egli lotta per amore del male, ma ben presto acquisisce il senso della propria impotenza di fronte alla superiorità morale che lo domina. La prospettiva di un avvenire migliore gli è più accessibile, perché si trova nella stessa vita in cui questo avvenire deve completarsi, e anche perché questa visione non è oscurata dal turbinio dei piaceri umani. In poche parole, non essendo più sotto l'influenza della carne, tutto ciò rende più facile la sua conversione, soprattutto da quando egli ha raggiunto un certo progresso, grazie alle prove che ha compiuto. Uno Spirito completamente primitivo sarebbe poco incline al raziocinio, diversamente avviene, invece, per colui che ha già sperimentato la vita. D'altra parte, presso l'incarnato come presso il disincarnato, è sull'anima — attraverso il sentimento — che bisogna agire. Ogni azione materiale può sospendere momentaneamente le sofferenze dell'uomo vizioso, ma la medesima azione non può distruggere il principio morboso che è nell'anima. Ogni atto che non tenda a migliorare l'anima non può allontanarla dal male.»

San Luigi




Capitolo V - SUICIDI

Il suicida della Samaritaine

Il 7 aprile 1858, verso le sette di sera, un uomo d'una cinquantina d'anni, dignitosamente vestito, si presentò nello stabilimento della Samaritaine, a Parigi, e si fece preparare un bagno. Il ragazzo addetto ai servizi, meravigliandosi che, dopo due ore, quell'individuo non avesse ancora chiamato, decise di entrare nella stanza da bagno per vedere se si fosse sentito male. Fu così che divenne testimone d'un orrendo spettacolo: il disgraziato si era reciso la gola con un rasoio, e tutto il suo sangue si era mescolato all'acqua della vasca. Non essendosi potuta stabilire l'identità, il cadavere fu trasportato all'Istituto di Medicina Legale.

Lo Spirito di quest'uomo, evocato presso la Società Spiritista di Parigi sei giorni dopo la sua morte, diede le risposte che qui di seguito riportiamo.

1. Evocazione. (Risposta della guida del medium.) «Attendete... è qui.»

2. Dove siete ora?

«Io non lo so... Ditemelo voi dove sono.»

3. Siete in un'assemblea di persone che si occupano di studi spiritisti e che sono molto ben disposte verso di voi.

«Ditemi se sono vivo... Soffoco in questa bara.»

La sua anima, benché separata dal corpo, è ancora completamente immersa in ciò che si potrebbe chiamare vortice della materia corporale. Le idee terrene sono ancora forti. Egli non crede di essere morto.

4. Chi vi ha costretto a venire da noi?

«Mi sono sentito confortato.»

5. Quale il motivo che vi ha portato a suicidarvi?

«Io sarei morto? No... Abito il mio corpo... Voi non sapete quanto io soffra!... Soffoco... Che una mano compassionevole provi a finirmi!»

6. Perché non avete lasciato alcuna traccia che potesse farvi riconoscere?

«Sono abbandonato! Ho fuggito la sofferenza per trovare la tortura.»

7. E ora avete gli stessi motivi per restare sconosciuto?

«Sì. Non rigirate il ferro rovente nella piaga che sanguina.»

8. Non vorreste dirci il vostro nome, la vostra età, la vostra professione, il vostro domicilio?

«No... a tutto no.»

9. Avevate una famiglia, una moglie, dei figli?

«Ero abbandonato. Nessun essere al mondo mi amava.»

10. Che cosa avevate commesso per non essere amato da nessuno?

«Quanti, quanti ce ne sono come me!... Un uomo può sentirsi abbandonato anche in seno alla sua stessa famiglia, quando nessun cuore lo ama.»

11. Al momento di commettere il suicidio, non avete avuto alcuna esitazione?

«Avevo sete di morte... Attendevo il riposo.»

12. Come mai il pensiero del futuro non vi ha fatto rinunciare al vostro proposito?

«Non ci credevo più... al futuro. Ero senza speranze. Il futuro è speranza.»

13. Quali riflessioni avete fatto al momento in cui avete sentito la vita spegnersi in voi?

«Io non ho riflettuto. Io sento... Ma la mia vita non è spenta... La mia anima è legata al mio corpo... sento i vermi divorarmi.»

14. Quale sentimento avete provato nel momento in cui la morte è stata completa?

«Ma lo è completa?»

15. Il momento in cui la vita si spegneva in voi è stato doloroso?

«Meno doloroso che in seguito. Solo il corpo ne ha sofferto.»

16. (Allo Spirito di san Luigi.) Che cosa intende lo Spirito dicendo che il momento della morte è stato meno doloroso che in seguito?

«Lo Spirito si liberava di un fardello che lo opprimeva. Egli provava la voluttà del dolore.»

17. Questo stato è sempre la conseguenza del suicidio?

«Sì. Lo Spirito del suicida è legato al suo corpo fino al termine della sua vita. La morte naturale è la liberazione della vita; il suicidio la spezza completamente.»

18. Accade lo stesso in ogni morte accidentale indipendente dalla volontà, e che abbrevi la durata naturale della vita?

«No... Che cosa intendete voi per suicidio? Lo Spirito è responsabile solo dei suoi atti.»

Questo dubbio, riguardo alla propria mente, è molto comune presso le persone decedute da poco, e soprattutto presso quelle che, durante la loro vita, non hanno elevato la loro anima al di sopra della materia. È, di primo acchito, un fenomeno che può apparire bizzarro, ma che si spiega molto naturalmente. Se a un individuo, posto per la prima volta in stato di sonnambulismo, si chiede se stia dormendo, quasi sempre egli risponde negativamente. E questa sua risposta è logica: è l'interrogante che pone male la domanda, poiché si serve di un termine improprio. L'idea di sonno, nella nostra lingua abituale, è legata alla sospensione di tutte le nostre facoltà sensitive. Orbene, il sonnambulo, che pensa, che vede, che sente, che ha coscienza della sua libertà morale, non crede affatto di dormire; e in effetti egli non dorme, secondo l'accezione comune del termine. È per questo che risponde negativamente, almeno finché non abbia familiarizzato con questa maniera d'intendere il fatto. La stessa cosa avviene per l'uomo che è appena morto; per lui la morte era l'annientamento dell'essere. Come il sonnambulo, egli vede, sente e parla; quindi, secondo lui, egli non è morto, e lo afferma fin quando non abbia acquisito l'intuizione del suo nuovo stato. Questa illusione è sempre più o meno penosa, perché non è mai completa e lascia lo Spirito in una sorta d'ansietà. Nell'esempio qui citato si tratta di un vero e proprio supplizio, per la sensazione dei vermi che corrodono il corpo, e anche per la sua durata, che deve essere quella che avrebbe avuto la vita di quest'uomo, se egli non l'avesse abbreviata. Questo stato è frequente nei suicidi, ma non sempre si presenta in condizioni identiche; tale stato varia soprattutto riguardo alla durata e all'intensità, a seconda delle circostanze aggravanti o attenuanti della colpa. La sensazione dei vermi e della decomposizione del corpo non è neppure una peculiarità dei suicidi; essa, per esempio, è frequente presso coloro che hanno vissuto più della vita materiale che della vita spirituale. In linea di massima, non esistono colpe che rimangano impunite; ma non ci sono regole uniformi e assolute circa i mezzi di punizione.

Il padre e il coscritto

All'inizio della guerra d'Italia, nel 1859, un negoziante di Parigi, padre di famiglia, il quale godeva della stima generale di tutti i suoi vicini, aveva un figlio che la sorte aveva chiamato sotto le armi. Trovandosi, per la sua posizione, nell'impossibilità di richiederne l'esonero dal servizio, ebbe l'idea di suicidarsi, di modo che il figlio fosse esentato come figlio unico di madre vedova. Il suicida è stato evocato un anno dopo, presso la Società di Parigi, su richiesta di una persona che l'aveva conosciuto e che desiderava conoscere la sua sorte nel mondo degli Spiriti.

(A san Luigi) Vogliate dirci se possiamo fare l'evocazione dell'uomo di cui si è appena parlato.

«Ma certo. Egli ne sarà anzi molto felice, perché si sentirà un po' sollevato.»

1. Evocazione. «Oh, grazie! Io soffro molto, ma... è giusto. Tuttavia Egli mi perdonerà.»

Lo Spirito scrive con grande difficoltà; i caratteri sono irregolari e mal formati. Dopo la parola ma, egli si arresta, invano cerca di continuare a scrivere e non fa che qualche segno indecifrabile e dei puntini. È evidente che è la parola Dio che non è riuscito a scrivere.

2. Abbiate la bontà di colmare la lacuna che avete lasciato.

«Non ne sono degno.»

3. Dite di soffrire e avete avuto senza dubbio torto a suicidarvi. Ma il motivo che vi ha spinto a quel gesto non vi ha procurato qualche indulgenza?

«La mia punizione sarà meno lunga, ma l'azione non è per questo meno malvagia.»

4. Potreste descriverci la punizione che state subendo?

«Soffro doppiamente nell'anima e nel corpo: soffro nel corpo pur non possedendolo più, proprio come l'amputato che soffre in quel suo arto che non ha più.»

5. Il vostro gesto ha avuto vostro figlio come unico movente, oppure siete stato sollecitato da qualche altra causa?

«Il solo amore paterno mi ha guidato, ma purtroppo mi ha guidato male. È grazie a questo motivo che la mia pena sarà abbreviata.»

6. Prevedete il termine delle vostre sofferenze?

«Non ne conosco il termine; ma ho la sicurezza che questo termine esiste, la qual cosa è per me un sollievo.»

7. Poco fa non avete potuto scrivere il nome di Dio. Tuttavia noi abbiamo visto degli Spiriti, molto sofferenti, che lo hanno scritto. Ciò fa forse parte della vostra punizione?

«Con grandi sforzi di pentimento, potrei farlo.»

8. Ebbene, fateli questi grandi sforzi e cercate di scriverlo. Siamo convinti che se ci riusciste, ciò sarebbe per voi una grande consolazione.

Lo Spirito finì con lo scrivere in caratteri irregolari, tremolanti e molto grossi: "Dio è molto buono".

9. Sappiamo che siete venuto di buon grado al nostro invito e pregheremo Dio per voi, per richiamare la Sua misericordia su di voi.

«Oh, sì, ve ne prego!»

(A san Luigi) Potreste darci un vostro personale giudizio sul gesto dello Spirito che abbiamo appena evocato?

«Questo Spirito soffre, e giustamente. Egli, infatti, ha mancato della fede in Dio, cosa che è sempre soggetta a punizione. La sua punizione sarebbe più terribile e molto più lunga se non vi fosse a suo favore un lodevole motivo, quello, cioè, d'impedire che suo figlio andasse incontro alla morte. Dio, che vede al fondo dei cuori, e che è giusto, non lo punisce che secondo le sue opere.»

Osservazioni. A tutta prima, questo suicidio appare giustificabile, poiché può essere considerato come un atto di abnegazione. In effetti lo è, ma non lo è in modo assoluto. Come dice lo Spirito di san Luigi, a quest'uomo è mancata la fede in Dio. Forse, con il suo gesto ha impedito che il destino di suo figlio si compisse. Prima di tutto, non è affatto certo che il figlio dovesse morire in guerra; può anzi darsi che la carriera militare avrebbe potuto fornirgli l'occasione di compiere qualcosa che sarebbe stato utile al suo avanzamento. Le sue intenzioni erano senza dubbio buone, e anche di ciò gli si è tenuto conto. L'intenzione attenua il male e merita indulgenza, ma non impedisce che ciò che è male continui a essere male. Senza questo, con la scusa dell'intenzione, si arriverebbe a scusare ogni delitto, e si potrebbe anche uccidere col pretesto di rendere un servigio. Una madre che uccidesse la sua creatura, nella convinzione di mandarla dritta in cielo, è forse meno colpevole, perché lo fa con una buona intenzione? Con questo sistema si giustificherebbero tutti i crimini che un cieco fanatismo ha spinto a commettere nelle guerre di religione.

In linea di massima, l'uomo non ha il diritto di disporre della sua vita, perché essa gli è stata data in vista dei doveri ch'egli deve compiere sulla Terra, ed è per questo che non deve abbreviarla volontariamente per nessun motivo. Siccome ha il suo libero arbitrio, nessuno può impedirglielo, ma sempre ne subisce le conseguenze. Il suicidio più severamente punito è quello che viene compiuto per disperazione, e con la prospettiva di liberarsi delle miserie della vita. Essendo queste miserie delle prove e allo stesso tempo delle espiazioni, sottrarsi a esse vuol dire indietreggiare di fronte all'impegno che uno aveva pur accettato, a volte anche di fronte alla missione che uno avrebbe dovuto compiere.

Il suicidio non consiste soltanto nell'atto volontario che porta alla morte istantanea. Esso consiste anche in tutto ciò che si fa, con cognizione di causa, per affrontare in modo prematuro l'estinzione delle forze vitali.

Non s i può assimilare al suicidio l'abnegazione di colui che si espone a una morte imminente per salvare un suo simile. Innanzi tutto perché non c'è, in questo caso, nessuna intenzione premeditata di sottrarsi alla vita; in secondo luogo, perché non c'è pericolo da cui la Provvidenza non possa trarci, se l'ora di lasciare la Terra non è ancora arrivata. La morte — se essa avviene in simili circostanze — è un sacrificio meritorio, perché è un gesto di abnegazione a vantaggio altrui. (Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V, nn. 5, 6, 18 e 19).

Louvet François-Simon (di Le Havre)

La comunicazione che qui riportiamo è stata spontaneamente resa, in una riunione spiritista, a Le Havre, il 12 febbraio 1863.

"Potrete voi aver mai pietà di un povero miserabile che da sì lungo tempo soffre di tanto crudeli torture? Oh, il vuoto... lo spazio... cado, io cado, aiuto!... Mio Dio, ho avuto una così miserabile vita!... Ero un povero diavolo. Spesso, nei giorni della mia vecchiaia, soffrivo la fame; è per questo che mi ero messo a bere e avevo vergogna e disgusto di tutto... Ho deciso di morire e mi sono gettato... Oh, mio Dio, che momento!... Ma perché desiderare di farla finita quando ero così vicino alla fine? Pregate! Perché io più non veda sempre quel vuoto sotto di me. . . Sto per sfracellarmi su quelle rocce!... Ve ne scongiuro!... Io mi rivolgo a voi, a voi che conoscete le miserie di quelli che non sono più sulla Terra, a voi, benché voi non mi conosciate, perché io soffro tanto... Perché volere delle prove? Soffro, non è abbastanza? Se io avessi fame invece di questa sofferenza ben più terribile, ma invisibile per voi, non esitereste a consolarmi dandomi un pezzo di pane. Vi chiedo di pregare per me... non posso restare più a lungo... Domandate a uno di questi beati che si trovano qui, e saprete chi erro. Pregate per me."

François-Simon Louvet


La guida del medium. Colui che si è rivolto a te, figlio mio, è un povero disgraziato, che aveva sulla Terra la prova della miseria; ma il disgusto l'ha sopraffatto, il coraggio gli è venuto meno, e lo sventurato, invece di guardare al cielo, come avrebbe dovuto fare, si è dato al bere. Ha toccato i limiti estremi della disperazione e ha posto fine alla sua triste prova gettandosi dalla torre di Francesco I, il

22 luglio 1857. Abbiate pietà della sua povera anima, che non è progredita, ma che ha tuttavia una tale cognizione della vita futura tanto da soffrire e desiderare una nuova prova. Pregate Dio perché gli accordi questa grazia, e farete un'opera buona.

Fatte le dovute ricerche, si trovò nel Journal du Havre del 23 luglio 1857 il seguente articolo, che così vi riassumiamo:

"Ieri, alle quattro pomeridiane, quanti passeggiavano sul molo sono rimasti dolorosamente impressionati da un tragico incidente: un uomo si è lanciato dalla torre ed è andato a sfracellarsi sulle rocce. Si tratta di un vecchio mozzo d'alzaia, che il vizio del bere ha condotto al suicidio. Si chiamava Frarwois-Victor-Simon Louvet. Il suo corpo è stato trasportato in casa di una delle sue figlie, in me de la Corderie. Aveva sessantasette anni."

Dopo circa sei anni dacché quest'uomo è morto, egli si vede sempre precipitare giù dalla torre e andare a sfracellarsi sulle rocce. Il vuoto che ha davanti a sé lo terrorizza; vive le angosce della caduta... e questo dopo ben sei anni! Quanto durerà tutto ciò? Non ne sa niente, e tale incertezza aumenta le sue angosce. Non vale forse questo l'inferno e le sue fiamme? Chi ha rivelato questi castighi? Sono forse stati inventati? No! Sono quelli stessi che li hanno patiti che vengono a descriverceli; così come altri ci descrivono le loro gioie. Spesso essi lo fanno spontaneamente, senza che si pensi a loro, il che esclude qualsiasi ipotesi circa il fatto che si possa esser vittime della propria immaginazione.

Una madre e suo figlio

Nel mese di marzo del 1865, M. C..., una negoziante di una piccola città vicino a Parigi, aveva in casa il maggiore dei suoi figli, di ventuno anni, gravemente ammalato. Questo giovane uomo, sentendosi sul punto di spirare, chiamò sua madre ed ebbe ancora la forza di abbracciarla. Ella, piangendo a dirotto, gli disse: "Va', figlio mio, precedimi, io non tarderò a seguirti". Detto questo, uscì dalla stanza nascondendosi il volto fra le mani.

Le persone presenti a questa scena straziante considerarono le parole della signora C... semplicemente un'esplosione di dolore che il tempo e la ragione avrebbero placato. Tuttavia, il malato spirò e si dovette cercare la madre per tutta la casa. La si trovò: impiccata in un granaio. Il funerale della madre fu fatto contemporaneamente a quello di suo figlio.

(Evocazione del figlio, parecchi giorni dopo l'avvenimento) Siete venuto a conoscenza della morte di vostra madre, la quale si è suicidata non avendo retto alla disperazione che le ha procurato la vostra perdita?

«Sì. Senza il dolore che mi ha causato la messa in atto della sua fatale risoluzione, io sarei perfettamente felice. Povera, la mia meravigliosa madre! Essa non ha saputo sopportare la prova di questa separazione momentanea, e ha preso, per essere riunita a suo figlio che tanto amava, la strada che l'avrebbe allontanata da lui e, ahimè, per lungo tempo. Ha così ritardato indefinitamente questo ricongiungimento che sarebbe stato tanto rapido se la sottomissione alla volontà del Signore avesse colmato la sua anima, e se ella si fosse rassegnata, umile e ravveduta, davanti alla prova che stava per subire, e alla espiazione che l'avrebbe purificata!

Pregate! Oh, pregate per lei!... E, soprattutto, oh madri che vi siete commosse al triste racconto della sua morte, non imitatela! Non crediate ch'ella amasse meglio di altre madri questo figlio che era la sua gioia e il suo orgoglio. No. Non amava meglio, ma ha mancato di coraggio e di rassegnazione. Madri che mi ascoltate, quando vedrete il tormento dell'agonia velare gli occhi spenti dei vostri figli, ricordatevi che, come Cristo, essi stanno salendo verso la vetta del calvario, da dove si innalzeranno nella gloria eterna.»

BENJAMIN C...


Evocazione della madre. Voglio vedere mio figlio! Voi avete il potere di rendermelo?... Crudeli!... Me l'hanno preso per condurlo nella luce e mi hanno lasciata nelle tenebre!... Io lo voglio, lo voglio... mi appartiene!... Non vale dunque nulla l'amore materno?... Insomma averlo portato in grembo nove mesi; avere nutrito col proprio latte la carne della propria carne, il sangue del proprio sangue; aver guidato i suoi primi passi; avergli insegnato a balbettare il nome sacro di Dio e il dolce nome di mamma; averne fatto un uomo pieno di energie, d'intelligenza, di onestà, di dirittura morale, di amore filiale, e perderlo quando si stavano realizzando le speranze che erano state concepite per lui, quando un brillante avvenire stava schiudendosi davanti a lui! No. Dio non è giusto; questo non è il Dio delle madri; Egli non comprende la loro disperazione e il loro dolore... e quando mi dò la morte per non lasciare il mio ragazzo di nuovo me lo si toglie!... Figlio, figlio mio dove sei?

L'evocatore. Povera madre, noi abbiamo compassione del vostro dolore, ma voi avete adottato un triste mezzo per ricongiungervi a vostro figlio. Il suicidio è un delitto agli occhi di Dio, e voi avreste dovuto sapere che Egli punisce ogni infrazione alle Sue leggi. La mancata visione di vostro figlio è la vostra punizione.

La madre. No! Io credevo Dio migliore degli uomini. Io non credevo al Suo inferno, ma al ricongiungimento eterno delle anime che si sono amate come noi ci amavamo. Mi sono ingannata... Egli non è quel Dio giusto e buono, dal momento che non ha compreso l'immensità del mio dolore e del mio amore!... Oh! Chi mi renderà mio figlio? L'ho, dunque, perduto per sempre? Pietà! Pietà, mio Dio!

L'evocatore. Andiamo, calmate la vostra disperazione. Pensate che, se esiste un mezzo per rivedere vostro figlio, questo non è certo quello di bestemmiare Dio, come voi state facendo. Invece di renderveLo propizio, voi attirate su di voi una Sua maggiore severità.

La madre. Mi hanno detto che non lo rivedrò mai più. Ho capito che è in paradiso che l'hanno condotto. E io? Io sono dunque all'inferno?... L'inferno delle madri? Esiste... Esiste, lo vedo anche troppo!

L'evocatore. Vostro figlio non è affatto perduto; non è perduto per sempre, credetemi. Voi lo rivedrete di certo. Ma è necessario meritarlo con la vostra sottomissione alla volontà di Dio. Invece, con la ribellione voi potreste ritardare questo momento indefinitamente. Ascoltatemi; Dio è infinitamente buono, ma è anche infinitamente giusto. Egli non punisce mai senza una causa, e se vi ha inflitto dei grandi dolori sulla Terra, è perché voi li avevate meritati. La morte di vostro figlio era una prova per la vostra rassegnazione. Sfortunatamente voi avete ceduto da viva, ed ecco che, dopo la vostra morte, di nuovo cedete. Come volete che Dio ricompensi i suoi figli ribelli? Ma Egli non è inesorabile: Egli accoglie sempre il pentimento del colpevole. Se voi aveste accettato senza lamentele e con umiltà la prova ch'Egli vi inviava con questa separazione momentanea, e se pazientemente aveste atteso il momento in cui a Lui fosse piaciuto portarvi via dalla Terra, al vostro ingresso nel mondo in cui siete, immediatamente avreste rivisto vostro figlio, che sarebbe venuto a ricevervi e a tendervi le braccia. Voi avreste avuto la gioia di vederlo radioso dopo questa assenza. Ciò che avete fatto e ciò che ancora state facendo in questo momento, alza una barriera tra voi e lui. Non crediate ch'egli sia disperso tra le profondità dello Spazio. No! Egli vi è più vicino di quanto possiate credere. Ma un velo impenetrabile lo sottrae alla vostra vista. Egli vi vede, vi vuole sempre bene e soffre per la dolorosa posizione in cui vi ha sprofondata la vostra mancanza di fede in Dio. Vivamente egli si augura che giunga presto il felice momento in cui gli sarà permesso di mostrarsi a voi. Dipende solo da voi accelerare o ritardare questo momento. Pregate Dio e dite con me: "Mio Dio, perdonatemi d'aver dubitato della Vostra giustizia e della Vostra bontà. Se mi avete punita, io riconosco di averlo meritato. DegnateVi di accettare il mio pentimento e la mia sottomissione alla Vostra santa volontà."

La madre. Quale luce di speranza voi state per far splendere nella mia anima! È un bagliore, in questa notte che mi circonda. Grazie!

Vado a pregare. Addio!

C...


La morte, anche a causa del suicidio, non ha prodotto in questo Spirito l'illusione di credersi ancora vivo; egli ha perfetta consapevolezza del suo stato. Presso altri, invece, la punizione consiste proprio in questa illusione, nei legami, cioè, che li vincolano ancora ai loro corpi. Questa donna ha voluto lasciare la Terra per seguire suo figlio nel mondo in cui egli era entrato: era necessario ch'ella sapesse che si trovava in quel mondo, dove non avrebbe ritrovato il figlio, per aver meritato d'essere punita. La sua punizione consiste precisamente nel sapere ch'essa non vive più fisicamente, e nella consapevolezza della sua condizione. Avviene così che ogni colpa è punita dalle circostanze che l'accompagnano e che non ci sono punizioni uniformi e costanti per gli errori del medesimo genere.

Doppio suicidio, per amore e per dovere

Un giornale del 13 giugno 1862 riportava il resoconto del seguente fatto di cronaca:

"La signorina Palmyre, modista, che abitava con i suoi genitori, era dotata di un aspetto seducente cui si univa il più amabile dei caratteri; perciò riceveva molte richieste di matrimonio. Fra gli aspiranti alla sua mano, ella aveva notato il signor B..., il quale provava per lei una viva passione. Pur essendone molto innamorata lei stessa, ella credette tuttavia di dover sottomettersi, per amore filiale, ai desideri dei suoi genitori, sposando il signor D..., la cui posizione sociale sembrava loro più vantaggiosa rispetto a quella del suo rivale.

Il signor B... e il signor D... erano intimi amici. Pur non essendoci tra loro alcun rapporto d'interessi, essi non cessarono di vedersi. Il reciproco amore di B... e di Palmyre, divenuta la signora D..., non si era per nulla affievolito; e quantunque cercassero entrambi di soffocarlo, questo aumentava d'intensità, in ragione proporzionalmente diretta al loro sforzo per soffocarlo. Per cercare di spegnerlo, B... prese la decisione di sposarsi. Sposò una giovane donna che possedeva eccellenti qualità, e fece tutto il possibile per amarla. Ma non tardò ad accorgersi che questo eroico mezzo non serviva a guarirlo. Nondimeno, per quattro anni, né B... né la signora D... vennero meno ai loro doveri. Ciò che dovettero soffrire non si può esprimere, perché D..., che voleva veramente bene al suo amico, lo invitava sempre a casa sua, e quando quello voleva fuggirsene via, lo costringeva a restare.

I due innamorati, ritrovatisi un giorno l'uno accanto all'altra per una circostanza fortuita, che essi non avevano affatto cercata, si misero l'un l'altra a parte del loro sentimento e furono d'accordo nel ritenere che la morte era il solo rimedio alle sofferenze che pativano. Stabilirono di darsi la morte insieme e di mettere in atto il loro piano il giorno dopo, poiché il signor D... si sarebbe dovuto assentare dalla sua abitazione per gran parte della giornata. Dopo aver fatto i loro ultimi preparativi, scrissero una lunga e toccante lettera, spiegando che il motivo per cui essi si davano la morte era quello di non voler mancare ai loro doveri. La lettera terminava con una richiesta di perdono e con la preghiera d'essere riuniti nella stessa tomba.

Allorché il signor D... fece ritorno, li trovò asfissiati. Egli ha rispettato le loro ultime volontà e ha voluto che nel cimitero essi non fossero separati."

Proposto questo fatto alla Società di Parigi, come soggetto di studio, uno Spirito rispose:

"I due innamorati che si sono suicidati non sono ancora in grado di rispondervi. Io li vedo: sono immersi nel perturbamento e terrorizzati dalla prospettiva dell'eternità. Le conseguenze morali della loro colpa peseranno su di loro durante migrazioni successive, nelle quali le loro anime, separate, si cercheranno incessantemente e soffriranno il doppio supplizio di presentirsi e di desiderarsi invano. Compiutasi l'espiazione, essi saranno riuniti per sempre in seno all'eterno amore. Entro otto giorni, nella vostra prossima seduta, voi potrete evocarli. Verranno, ma tra di loro non si vedranno: una notte profonda li nasconderà per lungo tempo l'uno dall'altra."

1. Evocazione della donna. Vedete qui il vostro innamorato, con il quale vi siete suicidata?

«Non vedo nulla. Non vedo neppure quegli Spiriti che soffrono con me, nella dimora dove io mi trovo. Che notte! Che notte! E che velo spesso sul mio volto!»

2. Che sensazione avete provato quando vi siete risvegliata dopo la morte?

«Una sensazione strana! Avevo freddo, eppure bruciavo; scorreva ghiaccio nelle mie vene, e c'era fuoco sulla mia fronte! Che strana cosa, che mescolanza inaudita! Ghiaccio e fuoco sembrano circondarmi! Pensai che stavo per morire una seconda volta!»

3. Provate qualche dolore fisico?

«Ogni mia sofferenza è qua, e qua.»

— Che cosa intendete dire con qua e qua?

«Qua nel mio cervello. Qua nel mio cuore.»

È probabile che, se si fosse potuto vedere lo Spirito, lo si sarebbe visto portarsi la mano alla fronte e al cuore.

4. Credete che vi troverete sempre in questa situazione?

«Oh, sempre! Sempre! A volte sento delle risate infernali, delle voci spaventose che mi urlano queste parole: "Sempre così!"»

5. Ebbene noi possiamo dirvi con tutta sicurezza che non sarà sempre così. Pentendovi, voi otterrete il vostro perdono.

«Che cosa avete detto? Non sento.»

6. Vi ripeto che le vostre sofferenze avranno un termine, e che voi potrete accelerare questo termine con il vostro pentimento, mentre noi vi aiuteremo in questo con la preghiera.

«Io non ho sentito che una sola parola e alcuni suoni. Questa parola è grazia! È della grazia che avete voluto parlare? Voi avete parlato di grazia; ma senza dubbio vi siete rivolti all'anima che mi passa accanto, povera creatura che piange e spera.»

Una signora della Società disse che aveva appena rivolto a Dio una preghiera per quella sventurata, e che senza dubbio era questo che l'aveva colpita; poiché, in effetti, essa aveva mentalmente implorato per lei la grazia di Dio.

7. Voi dite che siete nelle tenebre. E non vedete neppure noi?

«Riesco appena a udire qualcuna delle parole che voi pronunciate, ma null'altro vedo se non un velo nero, sul quale, in certe ore, si disegna un volto piangente.»

8. Se non vedete il vostro innamorato, non ne avvertite la presenza accanto a voi? Egli è qui, infatti.

«Ah, non parlatemi di lui! Per ora devo dimenticarlo, se voglio che dal velo si cancelli l'immagine che vi scorgo tracciata.»

9. Qual è questa immagine?

«Quella di un uomo che soffre e di cui io ho ucciso, per lungo tempo, l'esistenza morale sulla Terra.»

Leggendo questa cronaca, si è a tutta prima portati a trovare per questo suicidio delle circostanze attenuanti, a guardare a esso, anzi, come a un atto eroico, poiché è stato causato dal sentimento del dovere. Si vede che è stato giudicato altrimenti, e si ha una pena dei colpevoli così lunga e terribile per essersi volontariamente rifugiati nella morte al fine di sfuggire alla lotta. L'intenzione di non mancare ai loro doveri era senza dubbio onorevole — e di questo sarà loro tenuto conto più tardi — ma il vero merito sarebbe stato quello di vincere la tentazione, mentre essi si sono comportati come il disertore, il quale fugge nel momento del pericolo.

La pena dei due colpevoli consisterà, come si vede, nel cercarsi a lungo senza incontrarsi, sia nel mondo degli Spiriti, sia in altre incarnazioni terrene. Tale pena è momentaneamente aggravata dall'idea che il loro stato presente debba durare per sempre. Poiché questo pensiero fa parte del castigo, non è stato loro permesso d'intendere le parole di speranza che venivano loro rivolte. A quanti trovassero questa pena troppo terribile e troppo lunga — soprattutto se essa non deve cessare che dopo parecchie incarnazioni — noi diremo che la sua durata non è assoluta, e che essa dipenderà dal modo con cui essi sopporteranno le loro prove future; a questo li si può aiutare con la preghiera. Saranno essi stessi, come tutti gli Spiriti colpevoli, arbitri del loro stesso destino. Ciò, tuttavia, non è sempre meglio della dannazione eterna, senza speranza, a cui sono irrevocabilmente condannati, secondo la dottrina della Chiesa, che li considera per sempre votati all'inferno, tanto che ha rifiutato loro le ultime preghiere, ritenendole senza dubbio inutili?

Louis e la cucitrice di stivaletti

Da circa setto od otto mesi, un certo Louis G..., operaio calzaturiero, faceva la corte a una signorina, Victorine R, cucitrice di stivaletti, con la quale si sarebbe dovuto sposare di lì a poco, visto che le pubblicazioni di nozze erano già in corso. Trovandosi le cose a questo punto, i due giovani si consideravano quasi come se fossero definitivamente uniti, e, per motivi di economia, l'operaio andava ogni giorno a pranzare a casa della sua futura sposa.

Un giorno, venuto Louis a pranzo, come al solito, a casa della ragazza, esplose tra loro un litigio per futili motivi. Ci si ostinò da una parte e dall'altra, e le cose arrivarono a un punto tale che Louis lasciò la tavola e se ne andò giurando che non sarebbe tornato mai più.

Il giorno dopo, tuttavia, l'operaio andò a chiedere perdono: la notte, si sa, porta consiglio. Ma la ragazza, prevedendo forse, dopo la scena del giorno prima, ciò che sarebbe potuto accadere quando non ci fosse più stato tempo di indietreggiare, rifiutò di riconciliarsi. Nulla poté commuoverla: né le sue proteste né le sue lacrime né la sua disperazione. Parecchi giorni erano ormai passati dal giorno del litigio, e Louis, sperando che la fidanzata fosse nel frattempo divenuta più trattabile, volle fare un ultimo tentativo. Egli dunque va e bussa in modo da farsi riconoscere, ma dall'altra parte ci si rifiuta di aprirgli. Allora, nuove suppliche da parte dell'innamorato respinto, nuove proteste attraverso la porta, ma niente può toccare il cuore dell'implacabile ragazza. "E allora addio, malvagia!" urla infine il povero giovine. "Addio per sempre! Provatevi a incontrarlo un marito che vi ami tanto quanto me!" Nello stesso momento, la ragazza sente una sorta di gemito soffocato, poi come il rumore di un corpo che cade scivolando lungo la sua porta. Quindi tutto ripiomba nel silenzio. Allora ella s'immagina che Louis si sia installato sulla soglia, per attenderla non appena fosse uscita. Ma la ragazza si ripromette di non mettere il piede fuori fin tanto che lui fosse rimasto là.

Era appena passato un quarto d'ora dacché ciò era successo, quando un inquilino, passando sul pianerottolo con una lampada in mano, lanciò un grido di spavento e chiese aiuto. Subito arrivano i vicini, e la signorina Victorine, che nel frattempo ha aperto la porta, getta un grido d'orrore scorgendo disteso sul pavimento il suo innamorato, pallido ed esanime. Ciascuno si avvicina a lui per prestargli soccorso, ma ben presto ci si accorge che tutto è inutile, e che lo sventurato ha cessato di vivere. L'infelice giovine si era conficcato il suo trincetto nel cuore e il ferro era rimasto nella ferita.

(Società Spiritista di Parigi, agosto 1858)

1. Allo Spirito di san Luigi. La ragazza, causa involontaria della morte del fidanzato, ne è responsabile?

«Sì, perché non lo amava.»

2. Per evitare questa disgrazia, avrebbe dovuto sposarlo malgrado la sua ritrosia?

«Ella cercava un'occasione per separarsi da lui e ha fatto, all'inizio della loro relazione, ciò che avrebbe fatto più tardi.»

3. Così la sua colpevolezza consisterebbe nell'aver alimentato in lui dei sentimenti ch'ella non condivideva, sentimenti che sono stati la causa della morte del giovane?

«Sì. È proprio così.»

4. Allora la sua responsabilità, in questo caso, deve essere proporzionale alla sua colpa. Non deve, cioè, essere tanto rilevante quanto quella che avrebbe avuta se ella avesse volontariamente provocata la sua morte. È così?

«Questo salta agli occhi.»

5. Il suicidio di Louis trova una